Cerca nel blog

domenica 19 maggio 2019

La battaglia di El Alamein II Parte

APPROFONDIMENTI




di Igino Gravina





24 Ore di ritardo
Il piano britannico, (denominato "piano Lightfoot”) minutamente elaborato dal Maresciallo Montgomery, consisteva in quello di scardinare "la cerniera della porta" a nord con i Corpi d'Armata XXX e X, e di esercitare nel contempo una forte e costante pressione, a sud con il XIII, al fine di vincolare in questo settore le divisioni “Ariete” e 21 germanica.
Il piano prevedeva lo sviluppo dell’azione in tre fasi successive: prima fa- se: sfondamento del settore nord, previa apertura di due corridoi fra le alture di Tell El Eisa e Miteiriya; seconda fase: demolizione sistematica delle fanterie dell'Asse, che presidiavano la fascia dei campi minati; terza fase: eruzione in campo aperto e distruzione delle forze corazzate italo-tedesche previo lo impiego del X Corpo d'Armata corazzato.
Alle ore 20,40 del 23 ottobre, nella “brillante luce lunare, circa mille pezzi medi e da campagna”- scrive Montgomery nel suo volume “Da El Alamein al fiume Sangro”- aprirono simultaneamente il fuoco sulle nostre batterie già individuate. Dopo una brevissima pausa di cinque minuti, alle ore 21 il fuoco venne spostato sulle nostre posizioni già avanzate e contemporaneamente le fanterie del XXX e XIII. Corpo d‘Armata mossero all‘attacco. In seguito ad aspri combattimenti, protrattisi tutta la notte e nel mattino successivo, alcuni reparti del 62° reggimento fanteria (divisione “Trento”) furono sommersi, mentre “due battaglioni della 164a divisione fanteria (germanica) furono annientati dal fuoco concentrico delle armi britanniche” (Rommel: “Guerra senza odio"). Malgrado tali successi, “il tentativo di irrompere nel campo di mine occidentali fallì” (Montgomery), in quanto le divisioni 9a australiana « 51a britannica (XXX Corpo d'Armata) furono inchiodate sul posto   
dal violento fuoco delle artiglierie e dei pezzi anticarro della difesa. “Questo fu un serio ritardo”- scrive il generale Alexander - in quanto era essenziale che il X Corpo d'Armata corazzato “sfociasse ed ottenesse libertà di manovra” per poter sfruttare la “nostra grande potenza corazzata”, In conseguenza di tali avvenimenti, Montgomery ordinò il giorno 24 ai Corpi d'Armata XXX e X di “spazzare il corridoio senza ritardo”. Alle ore 15, pertanto, l'attacco fu ripreso nel settore settentrionale con maggiore violenza: furono conseguiti buoni risultati. Ma lo “spazzamento.” del corridoio meridionale, in corrispondenza dell‘altura di Miteiriya, ottenne qualche successo solo al mattino del 25, ossia “con 24 ore di ritardo sul programma” prestabilito, commenta amaramente Alexander.

Il campo di mine
Nel settore sud, intanto, il XIII Corpo d‘Armata tenta inutilmente di irrompere nel campo di mine, per cui le unità impegnate (7a divisione corazzata, 44a divisione e Ia brigata combattenti francesi) ricevettero l‘ordine di ritirarsi, giacche’ era chiaro che qualsiasi tentativo di forzare il passaggio attraverso le difese “avrebbe avuto come risultato gravi perdite che non potevano essere accettate” (Alexander).
Da quanto sopra esposto risulta evidente che i successi ottenuti dall’VIII Armata britannica nei primi due giorni di lotta (24-25 ottobre) non furono brillanti o, perlomeno, non corrisposero alle aspettative od ai progetti prestabiliti. Resero dura, aspra e talvolta incerta la lotta, oltre la tenace resistenza delle unità di fanteria in linea, anche e principalmente i furiosi contrattacchi sferrati dalle divisioni corazzate “Littorio” e "15a" tedesca a nord e da reparti delle divisioni corazzate "Ariete”(V Gruppo semovente in particolare) e 21a tedesca a sud..
Stanti le difficoltà di sfociare dai due corridoi aperti – ma non sufficientemente approfonditi - in corrispondenza dell‘altura di Miteiriya, Montgomery decise nel pomeriggio del 25 di “spostare l’azione principale di demolizione nel settore australiano” ossia verso il mare, L’attacco sferrato nella notte dal 25 al 26 ottobre riuscì, ma più a sud le posizioni occidentali di quota 28 furono valorosamente e sanguinosamente riconquistate dall’ XI battaglione del 7° bersaglieri con il concorso di reparti della “Littorio” e germanici.
Il Maresciallo Rommel, che si trovava in Europa per un breve periodo di cura e riposo, interpellato da Hitler accettò di rientrare in Africa, malgrado non si fosse rimesso ancora bene in salute. Partì in aereo ed alla sera del 25 riprese il comando dell’A.C.I.T.  - Il giorno prima il generale Von Stumme - comandante interinale - era deceduto per collasso cardiaco in seguito ad un mitragliamento nemico dell’auto su cui viaggiava: lo sostituì il generale Von Thoma, comandante del Corpo tedesco d‘Africa.
La lenta e contrastata avanzata oltre l’altura di Miteiriya: l’arresto del X Corpo d‘Armata, bloccato da una robusta cortina di fuoco anticarro e dalla vivace reazione delle truppe nobili italo-tedesche; i limitati. successi ottenuti nel settore meridionale dal XIII Corpo d’Armata britannico indussero il comando inglese, nel pomeriggio del 26, a disporre una sosta su tutto a fronte per riorganizzare e raggruppare le forze, in vista di una nuova spallata da effettuare con la massima potenza d’urto. I due giorni successivi - 27 e 28 - furono pertanto utilizzati dai britannici per i necessari spostamenti e sostituzione delle truppe in linea, che maggiormente avevano sofferto perdite, senza tuttavia, che la lotta languisse, giacche‘ gli italo-tedeschi sferrarono contrattacchi or qua or la’ specie in corrispondenza del ciglione di quota 28. Nel la notte tra il 28 e il 29 un fortunato attacco degli australiani verso la costa riuscì ad intrappolare reparti della 164a divisione tedesca, che rimasero chiusi in una sacca. Nei giorni successivi, tuttavia, gran parte di quei reparti si aprirono combattendo la strada verso ovest.
Contemporaneamente a questo lavoro di riorganizzazione anche lo schieramento dell'A.C.I.T. venne rimaneggiato: e ciò in considerazione che esso non rispondeva alla situazione che si era venuta a creare, essendo chiaro che il nemico avrebbe continuato ad esercitare lo sforzo principale nel settore nord. In considerazione di tale constatazione, la 21a divisione corazzata tedesca e taluni. reparti dell'Ariete, già dislocati a sud, vennero richiamati verso nord; così pure la 90a divisione leggera germanica e la “Trieste”, che si trovavano nelle retrovie a cavallo della strada costiera, vennero fatte affluire sul tergo immediato del settore settentrionale.


La gravità della situazione, per quanto non ancora disperata, non sfuggì al nostro Comando Supremo, né a Rommel. Nel colloquio avuto il 28 ottobre con il generale Barbasetti di Prun – capo della delegazione del Comando Supremo in Africa settentrionale (Delease) - il comandante tedesco precisò che per attenuare la gravità della situazione stessa occorreva l‘urgente invio in Africa di forti quantità di munizioni “perché se ne consumano in quantità superiori agli arrivi’, di benzina “perché oggi la limitatissima disponibilità costringe a tenere i carri fermi o a limitare i movimenti per non restare più fermi;” di uomini “perché la truppa è esausta”. Tenuto conto pertanto di tali deficienze, che non permettevano di rompere il combattimento con la manovra per sottrarsi all'avversario, Rommel concludeva, quasi con rammarico e con un certo senso di fatalismo, che non c'era che la soluzione di dare battaglia fino allo estremo sul fronte di El Alamein. In effetti, se queste erano le dichiarazioni fatte al rappresentante del nostro comando superiore in Africa, le intenzioni di Rommel erano diverse. Egli fin dal mattino del 28 stesso - come scrive nella sua opera - decise “di arretrare sulla posizione di Fuka ancor prima che la battaglia avesse raggiunto il suo acme, qualora la pressione britannica fosse diventata troppo forte”.



III.
Creatasi una buona testa di ponte, si trattava ora di dare l’ultima spallata alla “cerniera della porta” affinché questa fosse Spalancata: a tale operazione il Maresciallo Montgomery diede il nome di "Surcharge" ("Supercarica”), che aveva lo scopo di “farci erompere in paese aperto e condurre alla di disintegrazione delle forze di Rommel in Egitto”. L’azione sarebbe stata preceduta nella notte tra il 30 e il 31 ottobre da una puntata della 9a divisione australiana verso il mare, al fine di confermare i timori di Rommel per l'estremo nord e quindi vincolare la 90a divisione leggera germanica, già in quel settore nei pressi di Sidi Abd El Rahman. Ottenuto tale risultato, il comandante dell’VIII Armata britannica si riprometteva di vibrare il colpo fra tedeschi e italiani.

Valorosa resistenza
In aderenza a tali intendimenti, alle ore 23 del: 30 ottobre, dopo intensa preparazione di artiglieria, gli australiani attaccarono a sud di Bir Sultan Homar, investendo i capisaldi dei 125° reggimento granatieri tedeschi e le postazioni del CCCLVII Gruppo da 75/27 italiano “i cui uomini - scrive Rommel – opposero una valorosa resistenza e caddero sul campo o riuscirono ad aprirsi la via combattendo fino al vicino settore”. Rinserrati verso il mare, i granatieri tedeschi riuscirono nel pomeriggio del 31 a trovare scampo verso ovest in seguito a contrattacchi sferrati da elementi della 90a divisione leggera e 21a corazzata tedesche e della “Littorio" che sfondarono la sacca lungo la strada costiera.
All’una del mattino del 2 novembre la "Supercarica” si iniziò: la preparazione di artiglieria, di straordinaria intensità, precedette l’avanzata di poderose forze di fanteria e corazzate. “Come fu giorno - scrive Montgomery - la IX brigata Corazzata. leggera (britannica) urtò contro un formidabile sbarramento anticarro e durante tutta la giornata soffrì perdite superiori al 75%… Anche la 1a divisione corazzata si trovò impegnata nei pressi di Tell El Aqqaqir e ne seguì un’accanita battaglia di carri che costò perdite ad ambo le parti”. “Fu qui - aggiunge Alexander a sua volta - che si svolse quella che fu chiamata la battaglia di Tell El Aqqaqir, che fu il più grande scontro di formazioni corazzate di tutta la compagnia”. E Rommel, con maggiori dovizie di particolari: “Divampò una delle più dure battaglie di carri armati. Le squadriglie aeree ed i reggimenti di artiglieria britannici martellarono ininterrottamente le nostre truppe, sulle quali, nello spazio di un’ora intorno a mezzogiorno, lanciarono il loro carico per sette volte formazioni di 18 bombardieri per volta”. E dopo avere amaramente constatato che persino i famosi cannoni da 88 mm tedeschi “furono messi fuori combattimento in numero sempre maggiore” aggiunge: “I carri armati della “Littorio” e della “Trieste” venivano abbattuti uno dopo l’altro dai britannici. I cannoni italiani da 44 mm, esattamente come i nostri da 50 mm, non avevano alcuna efficacia contro i carri armati inglesi”.
Per tutta la giornata del 2 novembre le truppe italo-tedesche combatterono strenuamente. Radio Londra comunicò testualmente: “Il nemico ha combattuto bene e caparbiamente nei

novembre. Segnalava di aver raggiunto il meridiano di El Dab'a (50 Km. a sud della costa) e di essere in contatto con elementi corazzati nemici e chiedeva carburanti, acqua e viveri.
Poi più nulla. Rimasti con irrisorie scorte di viveri e quasi senza acqua, gruppi di uomini isolati cercano di raggiungere i resti dell’Armata. Alcuni ci riescono dopo sforzi sovrumani; altri soggiacciono nell'ampia distesa delle sabbie; altri ancora seguono la sorte comune delle claudicanti colenne, formate dalle divisioni "Brescia”, “Pavia” e "Folgore” con le quali vengo no catturati dal nemico. Sì, seguirono l'amara sorte anche i paracadutisti della divisione "Folgore” che, impiegata come fanteria, “era truppa solida - dice la relazione inglese - e diede all’8a Armata una nuova idea delle qualità combattive degli italiani”.
- Si chiude così il capitolo glorioso di questa grande unità - il X Corpo d'Armata - che eventi sfortunati in altri settori del fronte avevano indotto ad abbandonare le posizioni di El Alamein dove i suoi uomini si erano battuti valorosamente prima e durante la battaglia.



IV
Narrano le storie che il Maresciallo Montgomery, durante lo sbarco delle Armate anglo-americane sulle coste della Calabria (settembre 1948), diceva nel corso di una conversazione agli ufficiali: "Non bisogna mai permettere che il nemico possa scegliere il terreno della lotta e combattere secondo i suoi piani, Occorre stabilire un piano e combattere secondo questo: in mancanza di un piano o quando esso non è attuabile, è preferibile abbandonare subito l’offensiva. Il concetto essenziale è quello di non attaccare se non si è pronti e sicuri di poter attuare il proprio piano.”
Questo pensiero dell'ex Comandante dell'8a Armata britannica, riportato da Auge' e Ferrier nel loro volume "In guerra con le forze armate britanniche ed americane”, è esatto. Chi conosce l'azione esplicata da Montgomery come capo militare trova in quel pensiero le ragioni profonde delle sue vittorie; e trova altresì i lineamenti basilari della dottrina militare anglosassone, la quale, associando i principi della guerra terrestre ai principi della guerra marittima, anzi trasferendo questi a quelli, basa il successo sulla superiorità dei mezzi sull’avversario in uno spazio operativo intercontinentale.
Il principio del calcolo assoluto, “legge fondamentale - scrive Rommel - che può essere soltanto applicato in caso di completa superiorità materiale” ha messo l'8a Armata britannica ad El Alamein in condizioni di affrontare la lotta con piena sicurezza di successo. Bisogna rilevare, tuttavia, che in guerra non vi è niente di assoluto: l'azione di comando, i fattori morali, gli imprevisti, il caso, la fortuna giuocano un ruolo che talvolta è sufficiente a capovolgere situazioni, per cui colui che si sente sicuro di avere la vittoria in tasca diventa un bel momento soccombente. Montgomery sapeva bene tutte queste cose: organizzatore ed animatore di uomini, egli ridusse al minimo lo scarto di probabilità che potessero solo lontanamente fargli sfiorare la sconfitta.  Rielevazione morale dei suoi uomini, preparazione accurata del campo di battaglia (infingimenti, mascheramento, segretezza, ecc.), addestramento meticoloso delle sue truppe costituiscono un complesso di provvidenze e di previdenze, che dovevano esercitare una influenza decisiva negli sviluppi della lotta.
La condotta della battaglia fu improntata ad un certo schematismo che rifugge le soluzioni improvvise. Attacco frontale su fronte ristretto, apertura della breccia, irruzione con forze corazzate: concezione semplice, quindi, ed assenza completa della manovra.
La concentrazione delle .truppe e degli sforzi e lo spostamento a breve raggio dell'asse di gravità temperarono in parte tale rigidità di concezione e di esecuzione. Azione metodica, lenta, talvolta guardinga delle truppe. Si ha l'impressione, studiando la battaglia di El Alamein, che l’8a Armata britannica, pur sicura e fiduciosa del successo, a parte l’orientamento a scansare rischi inutili ed a ridurre al minimo le perdite, procedesse verso gli obiettivi con quella cautelosa prudenza, scaturente da una rispettosa ammirazione per un avversario particolarmente temibile.
Ed in effetto, l'Armata corazzata italo-tedesca era temibile: temibile per il prestigio che si era acquistato nelle campagne precedenti; temibile per la vivace reazione manifestata. fin dalle prime battute del terribile concerto, iniziatosi nella sera del 23 ottobre. La crisi di comando nei primi di lotta ebbe forse qualche dannosa ripercussione sullo sviluppo delle  operazioni. .Come' noto, Rommel era in Europa il 23 ottobre ed il Generale Stumme - comandante interinale - impedì alle artiglierie di. reagire col fuoco al fuoco dell'avversario. per risparmiare munizioni. Riassunto il comando il 25 a sera, Rommel rilevò che ciò era stato un errore. .Comunque, il fatto dimostra in quali condizioni di inferiorità si trovasse l'A.C.I.T. fin dall'inizio della battaglia. Resosi conto rapidamente della situazione, il. comandante tedesco il 27 ottobre richiamò verso nord la 21 a divisione corazzata germanica e successivamente (2 novembre) la divisione "Ariete" perché comprese che l’avversario tendeva a rom- pere le difese in quel settore. Si iniziò così quella furibonda lotta, fatta di botte e risposte, che si protrasse quasi ininterrottamente fino al 4 novembre. Lotta frammentaria, convulsa, che ebbe i suoi principali epicentri, ora sulla altura di Tell el Miteiriya, ora su quota 28, ora verso la costa ed, infine, sulle posizioni arretrate di Tell el Aqqaqir, in cui il 2 novembre avvenne l’ultimo ed il più furibondo scontro di carri armati mai verificatosi in Africa.
Era il canto del cigno. L'ordine di Mussolini e di Hitler del 3 novembre di resistere ad oltranza in sito, offrì l'occasione all'A.C.I.T. di dimostrare fino all'ultimo al nemico la propria vitalità e combattività! Ma quell'ordine, oltre a determinare ulteriori, inutili perdite, pregiudicò il ripiegamento già disposto con la conseguente distruzione dell’ “Ariete", rimasta quasi fino all'ultimo pressoché intatta, la perdita di quasi tutta la fanteria - e quindi delle nostre divisioni "Folgore”, “Brescia”, "Pavia”, “Trento" e "Bologna” - che, forse si sarebbe potuta in parte salvare. Tutto considerato - scrive Rommel - posso riconoscere di aver commesso un solo errore: quel lo di non avere eluso ventiquattro ore prima l’ordine di vittoria o morte” (di Hitler), poiché’ in tal caso 1’Armata sarebbe stata salvata molto verosimilmente insieme con la fanteria, quando ancora conservata la metà della sua forza e capacità di combattere”.
Si concluse così una delle più memorabili battaglie del secondo conflitto mondiale: quella battaglia che, assieme a quella di Stalingrado, doveva segnare una svolta decisiva della guerra. Era l'inizio del riflusso della marea che, dopo avere tutto, invaso e sommerso, si ricompose nella sua sede iniziale: poi, anche quelle acque furono sconvolte nel proprio elemento naturale in un turbinio da tregenda ed il nemico poté cantare vittoria.
Ma fu vera vittoria?


(a cura di Chiara Mastroantonio)

Nessun commento:

Posta un commento