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lunedì 13 maggio 2019

Jesi e la sua storia militare recente I Parte

DIBATTITI
Il 22 giugno 2019 si terrà a Jesi
l'incontro annuale del Club Ufficiali Marchigiani
Nel quadro delle sinergie in essere tra questo Club
e il Cesvam si presenta una nota
 dedicata  ai risvolti militari della cittadina marchigiana




di Osvaldo Biribicchi*

L’antica città di Jesi, posta a immediato ridosso di Ancona piazzaforte marittima del medio Adriatico, all’inizio del Novecento acquisì per questa sua posizione un crescente ruolo militare che sarebbe durato fino al 1947, ovvero all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Questo ruolo aumentò di importanza anche in relazione al concomitante sviluppo dell’aereo che all’epoca stava muovendo i primi passi (il primo volo fu quello realizzato dai fratelli Orville e Wilbur Wright il 17 dicembre 1903) ma già i vertici militari studiavano come utilizzarlo in campo bellico. In quel periodo l’aereo andò ad affiancarsi al dirigibile, il cosiddetto “più leggero dell’aria”, nato nel 1852 in Francia. Ognuno di questi mezzi presentava al tempo stesso vantaggi e svantaggi che dovevano essere attentamente valutati a seconda del tipo di impiego/missione. Ancora non era scoppiata la disputa tra i fautori dell’una o dell’altra macchina volante. Come si vedrà il dirigibile avrebbe riscosso a livello mondiale un successo mai più eguagliato con le imprese artiche del generale Umberto Nobile compiute nel 1926 e nel 1928 rispettivamente con i dirigibili semirigidi Norge e Italia, da lui stesso progettati e costruiti nello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Roma. L’Italia, sfortunatamente, dopo aver raggiunto il Polo Nord sulla via del ritorno precipitò sulla banchisa polare a causa di una violenta tempesta di neve. L’era dei dirigibili sarebbe terminata il 6 maggio 1937 a seguito della tragedia dell’aeronave tedesca Zeppelin LZ 129 Hindenburg che prese fuoco in fase di attracco a Lakehurst nel New Jersey al termine dell’ennesima traversata transatlantica. Jesi, all’inizio del Novecento, in un clima di crescente entusiasmo per le macchine volanti e per le ardite imprese aviatorie dei pionieri del volo divenne uno dei principali aeroscali per dirigibili della Marina.  
Non lontano da Jesi c’è un’altra città che ha avuto un ruolo importante nella storia dell’aviazione marchigiana: Senigallia; qui nacque il primo aeroporto della Regione o meglio dalla Piazza d’Armi di questa città il 27 marzo 1912 decollò il Deperdussin, un monoplano da competizione di fabbricazione francese, pilotato dal pergolese Giulio Brilli Cattarini. Nella stessa area aeroportuale si esercitavano regolarmente il pioniere dell’aviazione jesino Riccardo Ponzelli e Muzio Gallo di Osimo. Purtroppo, il 24 ottobre di quello stesso anno un incendio distrusse completamente l’hangar di Piazza d’Armi ed i tre aeroplani che vi erano ricoverati.
Intanto la prima guerra mondiale si avvicinava, nell’agosto del 1911 in un rapporto segreto inviato dallo Stato Maggiore della Regia Marina al Ministero della Guerra, si dichiarava che per sorvegliare l’Adriatico e garantire l’esplorazione sicura del mare sarebbe tornato utile l’impiego dei dirigibili. Allo scopo vennero scelte tre zone strategiche nelle quali realizzare altrettanti aeroscali: Venezia (Alto Adriatico), Jesi (Centro Adriatico) e Taranto o Brindisi (Basso Adriatico).
Per la scelta dell’area destinata alla costruzione di un aeroscalo per dirigibili, venne inviato a Jesi il capitano De Cristoforo. La scelta del luogo cadde in parte dell’attuale zona industriale ZIPA nella media Vallesina. L’Aeroscalo jesino, costruito nel 1913 per l’Aviazione della Regia Marina (ancora non esisteva l’aeronautica come forza armata) e consistente in un enorme hangar in ferro, varie palazzine e strutture minori, fu collegato con il Comando Marittimo del Medio Adriatico di Ancona ed il Comando del VII Corpo d’Armata territoriale.
Grazie ai soddisfacenti risultati ottenuti dall’impiego dei dirigibili in Libia durante la guerra italo-turca ed in virtù delle esperienze maturate furono costruiti dirigibili semirigidi della classe M (medio) e V (veloce), più grandi e potenti rispetto ai precedenti, destinati a compiere ricognizioni in profondità e bombardamenti a grande distanza. I dirigibili, dunque, con cui la Regia Marina iniziò la Grande 
Guerra, furono il Città di Jesi-V1, il nome gli fu dato in quanto destinato all’aeroscalo della città delle Marche ed il Città di Ferrara-M2 perché di stanza nel capoluogo emiliano.
Il Città di Jesi iniziò nel 1914 le prove di collaudo a Vigna di Valle sul Lago di Bracciano. L’entrata in guerra dell’Italia indusse i vertici della Regia Marina ad inviare velocemente nella primavera del 1915 il dirigibile, che aveva prestazioni superiori al Città di Ferrara direttamente nell’aeroscalo di Ferrara più vicino agli obiettivi strategici da colpire, in particolare le installazioni militari di Pola. Nello stesso periodo il Città di Ferrara fu invece spostato a Jesi per impiegarlo nel Medio Adriatico.
Il 29 maggio 1915, nella sala consiliare del Comune di Jesi si svolse una solenne cerimonia durante la quale venne consegnata alla Regia Marina la bandiera di combattimento dell’aeronave Città di Jesi nelle mani del Tenente di Vascello Castruccio Castracane degli Antelminelli e del Tenente di Vascello Carlo Barzagli. La cerimonia è ricordata in una pergamena, tutt’oggi conservata presso la Biblioteca Comunale di Jesi, ove si possono leggere chiaramente le firme dei due ufficiali di Marina, del Sindaco, Avvocato Giuseppe Abbruzzetti, del Vescovo, Mons. Giuseppe Gandolfi e della Presidentessa del Comitato promotore della iniziativa, Marchesa Erminia Saronni Honorati.
Agli austriaci non sfuggì la fervente attività lavorativa degli jesini nella costruzione dell’aeroscalo. Non a caso Jesi ed Ancona vantano il triste primato di essere state le prime città italiane attaccate, nella Grande Guerra, dal mare e dall’aria da parte degli austro-ungarici. La flotta austriaca, infatti, all’alba del 24 maggio 1915 (la dichiarazione di guerra dell’Italia era stata consegnata a Vienna nel pomeriggio del 23 maggio) si presentò davanti alle coste romagnole e marchigiane e cannoneggiò Porto Corsini, Rimini, Pesaro, Senigallia ed Ancona. La città dorica ebbe oltre 60 morti e diverse centinaia di feriti. Idrovolanti della Marina Austriaca sorvolarono Ancona e proseguirono per Jesi dove invece sganciarono diverse bombe sull’aeroscalo che fortunatamente non provocarono vittime ma solo un incendio presto domato. Si può affermare che Jesi fu la prima città italiana bombardata dall’aria nel Corso della prima guerra mondiale.
L’inizio delle ostilità vide dunque subito impegnati i due dirigibili della Regia Marina che ricevettero l’ordine immediato di bombardare la base navale austriaca di Pola ed eventuali navi da guerra nemiche dirette verso le coste italiane.
Il Città di Ferrara alzatosi in volo dall’aeroscalo di Jesi in direzione della penisola istriana fu preso di mira dalla contraerea della flotta austriaca che si stava avvicinando alle coste marchigiane e fu costretto ad interrompere la sua missione mentre il Città di Jesi, che aveva lasciato l’aeroscalo di Ferrara nella tarda serata del 23 maggio facendo rotta su Pola, dovette far rientro a causa di problemi tecnici ai motori ed ai piani di coda.
La Regia Marina da questi primi segnali non certo brillanti intuì che i dirigibili non erano in grado di svolgere il ruolo di bombardamento richiestogli a causa della loro elevata vulnerabilità all’offesa nemica. Infatti il loro ciclo operativo non durò più di qualche mese.
Il 7 giugno 1915 il Città di Ferrara si alzò ancora una volta in volo dall’aeroscalo di Jesi per una missione sulla città di Fiume, con l’obiettivo di bombardare il silurificio della Whitehead che subì ingenti danni. Sulla rotta di ritorno, all’altezza dell’Isola di Veglia, il dirigibile fu fatto segno a intenso fuoco di fucileria e mitragliatrici. Colpito in più parti, fu costretto a scendere in mare dove avvistato da due idrovolanti austriaci fu nuovamente colpito ed incendiato. Perirono il 
Tenente di Vascello De Pisa ed il Maresciallo motorista Mantero, il comandante Castruccio Castracane e gli altri uomini dell’equipaggio furono presi prigionieri.
Stessa sorte toccò al Città di Jesi al comando del Tenente di Vascello Bruno Brivonesi. Nella notte tra il 4 e 5 agosto 1915 lasciò l’aeroscalo di Ferrara per bombardare i cantieri navali di Pola. Nella rotta di avvicinamento, a 2800 metri di quota fu inquadrato dalle fotoelettriche austriache e fatto segno ad intenso fuoco di fucileria e di contraerea. Colpito nella zona poppiera fu costretto ad ammarare a causa della fuoriuscita di idrogeno dall’involucro. L’equipaggio fu salvato da una motobarca austriaca e fatto prigioniero. Prima di cadere prigioniero il comandante Brivonesi riuscì ad affondare la bandiera di combattimento donata dalla cittadinanza di Jesi.
Con la perdita del Citta di Jesi e del Citta di Ferrara terminò la fase di bombardamento strategico in profondità ad opera dei dirigibili della Regia Marina la quale ne ordinò altri due, destinati alla esplorazione e sorveglianza, che avranno un ruolo fondamentale nel presidio dello sbarramento del Canale d’Otranto nel corso della guerra.
L’aeroporto di Jesi fu base anche di squadriglie di aerei che si integrarono con gli idrovolanti della Stazione marittima di Ancona e del campo di aviazione di Varano, sotto Osimo, per la difesa della piazzaforte.
Da ricordare inoltre il ruolo avuto da Jesi sul finire del 1915 nel progetto di d’Annunzio di lanciare manifestini e messaggi tricolori su Zara dopo che il 7 agosto il Poeta, con il pilota Tenente di Vascello Miraglia, aveva sorvolato Trieste lanciando messaggi tricolori ed il 20 settembre, anniversario di Porta Pia, aveva ripetuto con successo un volo analogo con lancio di manifestini su Trento. Il piano prevedeva la partenza degli aerei da Venezia il 26 dicembre 1915, rotta sud fino ad Ancona, con scalo a Varano o Jesi, poi un balzo verso Zara con l’appoggio di navi lungo la rotta e rientro per lo stesso tragitto. Purtroppo il 24 dicembre 1915, a causa di un incidente di volo, perse la vita Miraglia e la missione fu annullata. Di questa impresa non realizzata rimane ampia traccia negli scritti di Gabriele d’Annunzio.
Rimaneva il significato strategico dell’aeroporto di Jesi: ogni iniziativa aerea nel medio Adriatico non poteva prescindere da questo aeroporto.
Nel 1917 anche l’esercito rischierò proprie squadriglie a Jesi per incrementare l’attività offensiva, nel quadro della “battaglia in porto” e della “guerriglia marittima” volute da Thaon di Revel. Jesi, in pratica, era perfettamente inquadrata in quella Trincea Marittima che andava dalle foci del Timavo, passando per Venezia, Ancona, Brindisi e con lo sbarramento del Canale d’Otranto fino in Albania. La flotta austriaca era costretta, come avrebbe scritto D’Annunzio “a vivere ferma nei suoi porti la gloriuzza di Lissa”. In questa lotta mista di colpi di mano e propaganda, Jesi subì da parte austriaca altri bombardamenti di cui uno, quello del 27 settembre 1917, fu particolarmente pesante. L’ultima incursione, che arrecò anch’essa notevoli danni, fu effettuata sulla città il 5 settembre 1918.
Jesi, così come Padova, Venezia, Treviso, Vicenza, Verona ed altre soggette ad incursioni aeree, si dotò di specifiche difese antiaeree. Particolarmente curiosa quella che prevedeva, su apposite altane poste sui tetti, fucilieri e mitraglieri serrati l’un con l’altro. Essendo questi della Regia Marina furono definiti “marinai di grondaia”, da una espressione popolare coniata a Venezia.

Il fatto che anche a Jesi vi fossero dei “marinai di grondaia” sottolinea il ruolo importante assunto dall’aeroscalo/aeroporto, un ruolo che si sarebbe affermato nel primo dopoguerra.

( la seconda parte è pubblicata nel post a seguito)

* Colonnello, membro associato del CEVAM

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