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domenica 19 maggio 2019

La battaglia di El Alamein I Parte

APPROFONDIMENTI
Ricostruzione degli anni settanta 
 della Battaglia che determinò l'inizio della fine della
presenza militare italian in Nord Africa



di Igino Gravina



LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN
Quando nella sera del 23. ottobre 1942, tra El Alamein ed El Ruweisat, fra El Ruweisat ed El Qattara, un migliaio di bocche da fuoco dei britannici rovesciarono il loro carico di ferro sulle posizioni italo-tedesche, l'ago della bilancia - che negli eventi della lotta aveva per oltre due anni oscillato convulsamente da una parte all'altra, tra il confine egiziano ed il golfo sirtico, tra El Agheila e Bardia, tra le porte della Tripolitania e le porte di Alessandria - si spostò decisamente a favore dell'8a Armata inglese, che da quel momento ebbe via aperta verso la Tunisia, verso il continente europeo.
Battaglia, quella di El Alamein, combattuta con estremo accanimento da entrambe le parti: dall’attaccante che, fiducioso della. vittoria, stante la sua schiacciante superiorità morale e materiale, rinnova senza tregua i colpi; dal difensore che, pur riconoscendo la sua debolezza, si batte disperatamente perché sa che dall'esito della lotta dipende il destino dell‘Africa.
In effetti, tale destino era già stato virtualmente deciso ad Alam el-Halfa, quando (30 agosto-5 settembre) le truppe italo-tedesche tentarono invano, in uno sforzo supremo, di aprirsi la strada verso il Delta. “Fu un’azione di importanza vitale  -  scrive il Maresciallo Montgomery - comandante dell'8a Armata – che’, se l’avessimo perduta, avremmo potuto perdere l’Egitto. Vincendola, spianammo la strada al successo di El Alamein ed alla successiva avanzata in Tunisia”.
Si determinò così, tra il 6 settembre ed il 23 ottobre, quella febbrile e intensa preparazione, che doveva impegnare comandi e stati maggiori, navi, aerei ed equipaggi dei due eserciti contrapposti, tendenti ciascuno, con la affluenza di nuove forze ed accumulo di materiali, a creare la premessa per sferrare. il colpo decisivo al momento opportuno. Questa gara di velocità fu vinta dai britannici che, per avere risolto favorevolmente per loro e reso pressoché disperato per l'armata corazzata italo-tedesca il problema dei trasporti marittimi, dovevano conseguentemente riportare la vittoria anche in campo operativo.
Il piano britannico, imperniato su un’offensiva strategica, di cui la battaglia di Egitto doveva costituire il prologo, doveva sopperire a due necessità contrastanti: prima, attaccare il più presto possibile per impedire allo avversario di consolidare le sue difese sulla linea di El Alamein; seconda, sincronizzare l'azione con gli sbarchi alleati in Africa settentrionale, già previsti e programmati per 1'8 novembre. Il far presto, oltre al vantaggio di ridurre il tempo agli italo-tedeschi di rafforzarsi, presentava quello di conseguire un notevole effetto morale sull'opinione pubblica dell’Africa settentrionale; per contro, poteva influire dannosamente sulla preparazione della battaglia, la quale doveva assolutamente conseguire effetti decisivi e clamorosi. Fu deciso pertanto che l'offensiva di Egitto precedesse l‘operazione “Torch” (sbarco sull'Africa settentrionale francese) di una quindicina di giorni: intervallo equo ed aderente alle circostanze contingenti che “sarebbe stato abbastanza lungo” - scrive il generale Alexander, comandante del Medio Oriente - “per distruggere la maggior parte dell’esercito dell’Asse che ci stava di fronte, nel lo stesso tempo sarebbe stato troppo corto perché il nemico cominciasse a rinforzare l’Africa in misura di qualche rilevanza”.
Di fronte alle posizioni italo-tedesche di El Alamein - costituite di opere campali in cui predominavano, come elemento più importante della difesa, i campi minati anticarro ed antiuomo - si presentavano all'attaccante due soluzioni: un attacco a sud, dove le difese delle truppe italo-tedesche erano. piuttosto deboli; oppure un attacco a nord, dove le difese erano più forti ma i risultati del successo sarebbero stati determinanti, in quanto avrebbe indotto la difesa a concentrare le proprie forze al margine meridionale della breccia, ‘allontanandole quindi dalle proprie linee di comunicazione, rappresentate dalla rotabile costiera. In definitiva, precisa Alexsander, “il fronte ostile poteva essere paragonato ad una porta, imperniata alla estremità settentrionale. Spingendo il lato debole (ossia quello sud) poteva farla girare all’indietro per un certo tratto prima di poter provocare un qualche danno serio, ma un col po fortunato alla cerniera avrebbe scardinato L’intero fronte spalancando la porta”.
Il concetto di attaccare a nord, ossia contro il punto più forte, anziché a sud, è contrario in linea teorica a quelli che sono i dettami dell’arte della guerra, i quali consigliano di esercitare lo sforzo principale contro il punto più debole dell'avversario. Occorreva, pertanto, un correttivo che giustificasse una tale soluzione, che si staccava nettamente dall'ortodossia tattica. Ed il correttivo esisteva: era determinato da una schiacciante superiorità di forze e di mezzi su tutta la fronte, con particolare riferimento al punto di applicazione dello sforzo principale.
Il fatto che l'armata corazzata italo-tedesca sia riuscita con i suoi reiterati furibondi contrattacchi a contenere dapprima e successivamente a rendere quanto mai difficile, cruenta e lenta l'avanzata dei britannici, che per diversi giorni si dibatterono fra i campi minati prima di sboccare al largo, costituisce un titolo di onore per le armi italiane e germaniche, che neanche la sconfitta può offuscare. Bisogna precisare, d'altra parte, che la battaglia di El Alamein non fu considerata dagli inglesi, come qualcuno ha asserito, un cozzo di ferraglie. La superiorità dei mezzi fu certamente determinante, ma specialmente la preparazione, meticolosa ed intelligente, costituisce un titolo di merito per l'Armata del Nilo, e quindi per il suo Comandante, che nessuno può misconoscere.

II.
Lo schieramento delle forze contrapposte all'inizio dell'offensiva britannica era il seguente (vedasi grafico accanto):
a)        ARMATA CORAZZATA ITALO-TEDESCA (A.C.I.T.):
-          in prima schiera: a nord, le divisioni di fanteria 164° germanica, “Trento” e "Bologna", inquadrate nel XXI Corpo d'Armata (generale Navarrini); a sud, le divisioni di fanteria “Brescia”, "Pavia” e "Folgore”, inquadrate nel X corpo d'Armata (generale Nebbia): A cavallo dei limiti di settore dei Corpi di Armata erano schierati 4 battaglioni di paracadutisti tedeschi;
-          in seconda linea: le divisioni corazzate "Littorio" e 15a germanica a tergo del settore nord; le divisioni corazzate "Ariete” e 21a germanica sul rovescio del settore sud;
-          in riserva d’Armata: la 90a divisione leggera germanica e la divisione motorizzata “Trieste” nel settore nord lungo la costa.
Sia le truppe di seconda schiera, sia quelle di riserva erano inquadrate inizialmente nel XX Corpo d'Armata: (generale De Stefanis); quelle italiane, e nel Deutsch Africa Korps (generale Ritter Von Thoma), quelle tedesche.

               b)          FORZE BRITANNICHE:
-          settore nord: XXX Corpo d'Armata con le divisioni 9a australiana, 51a Highland, 2a neozelandese, 1a sud-africana, 4a indiana;
-          settore sud: XIII Corpo d'Armata con la 7a divisione corazzata, la 44a divisione, la 50a divisione e la brigata francesi liberi;
-          in riserva (a tergo del settore nord): X Corpo d'Armata con le divisioni corazzate di 1a e 10a.


(a cura di Chiara Mastroantonio)

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