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giovedì 1 novembre 2018

La Battaglia di Vittorio Veneto. Le forze contrapposte


APPROFONDIMENTI
A centro anni dagli avvenimenti ricordiamo quei giorni
che conclusero la Grande Guerra



Giancarlo Ramaccia

La fine di settembre e l’ottobre 1918 con l’inizio della battaglia di Vittorio Veneto, rappresentano un arco di tempo veramente interessante per comprendere e lo svolgersi dell’atto finale della guerra ma soprattutto suggeriscono le linee guida per comprendere il farraginoso e tormentato primo dopoguerra. La pressione degli Alleati sul Governo Italiano al fine di costringere il Comando Supremo a guida Diaz a lanciare una offensiva contro gli austro-ungarici ritenuti ormai sull’orlo del collasso erano ossessive.
Ma Diaz era prudente e circospetto, attento alla valutazione coerente della situazione militare, tanto che Orlando, in un incontro ad Abano con il generale Giardino non esitò a promettere a questi il posto di Comandante Supremo se, in cambio, avesse accettato di lanciare una offensiva immediata. Emerge anche in questa circostanza il noto malvezzo del politico italiano che, pur di raggiungere i suoi obiettivi politici, non esita ad anteporre le proprie soluzioni alla realtà militare. Sono i prodromi della seconda guerra mondiale in cui le interferenze politiche nelle scelte militari hanno portato solo ad una serie ininterrotta di sconfitte e discredito quanto mai meritato. Giardino, per fortuna, non era di quei generali opportunisti che, per amore di potere, sacrificano il superiore interesse militare alle velleità politiche e sono i maggiori responsabili delle sconfitte militari senza pagarne poi le conseguenze; con garbo fece presente che, conoscendo la situazione, Diaz aveva ragione e non poteva promettere, ne lui ne tantomeno Diaz, l’irrealtà; inoltre faceva notare che cambiare in questi frangenti il Comandante Supremo, e quindi il Comando Supremo, sarebbe stato un errore gravissimo. Orlando si ritirò in buon ordine e accettò la situazione ma anche questo episodio dimostra come la gestione della Conferenza di Pace come con questo soggetto non poteva dare frutti brillanti.

Diaz dal canto suo non rimaneva inattivo. Sollecitato da più parti, non poteva non considerare di prendere l’offensiva; temeva, però, un insuccesso, soprattutto adesso che, con le proposte di pace avanzate dagli Imperi Centrali e gestite in modo superficiale ed avventato dal Presidente Wilson poteva attirare l’accusa di versare inutilmente sangue per territori che potevano essere conquistati al tavolo diplomatico.

L’azione di Diaz si cadenza in due fasi, che coincidono con la elaborazione di due disegni di manovra: il primo definito il 25 settembre 1918 ed il secondo il 12 ottobre e poi alcuni giorni dopo modificato nei tempi ma nella sostanza rimasto identico nella struttura originaria.
Considerando che non era possibile avere risultati risolutivi appoggiandosi agli Altipiani con una offensiva ad alto rendimento, anche in relazione allo stato delle nostre truppe e soprattutto in relazione che non vi era un concreto aiuto alleato, si riteneva che lo sforzo dove essere fatto in pianura; l’ipotesi presa in considerazione era quella di privilegiare la direttrice Conegliano-Vittorio Veneto e raggiungere la conca di Belluno; la VI Armata austriaca poteva essere avviluppata e puntando con azione avvolgente su Feltre; era anche ragionevole attendersi ripercussioni favorevoli sul Grappa e sull’Altipiano di Asiago, mentre le operazioni in piano sarebbero state regolate in base all’evolversi degli avvenimenti.
Dopo intensi contatti, tutti segreti, il Comando Supremo in un lavorio concreto e reale, il 12 ottobre si elaborò, come risultante, un aggiornato disegno di manovra che risulta più articolato di quello del 25 settembre. Il 12 ottobre si stabilì che l’azione principale della VIII Armata nel settore di rottura, sulla direttrice sempre di Conegliano-Vittorio Veneto, doveva essere integrata da due azioni secondarie a protezione dei fianchi esposti e nel particolare sulla destra da quella della X Armata (Lord Cavan) che, poi, doveva agevolare il forzamento del Piave della III Armata; sulla sinistra dall’azione della XII Armata (Gen. Graziani) che, superando la stretta di Quero doveva investire il solco di Feltre e in un secondo tempo, facilitare l’attacco della IV Armata sul Grappa.[1]
Il 18 ottobre, Diaz, in presenza di elementi oggettivi ostativi alla esecuzione di questo disegno di manovra (condizioni meteorologiche avverse e persistenti, piena del Piave ecc.) che avrebbero allungato di molto i tempi di esecuzione delle  Armate VIII (sforzo principale) X e XII  Armata (sforzi secondari) dispose di invertire i tempi della manovra.
La IV Armata, con il concorso della VI e della sua sinistra della XII (I Corpo d’Armata) doveva attaccare tra il Brenta ed il Piave per raggiungere il tratto Primolano-Feltre. L’azione avrebbe favorito il successivo forzamento del Piave.
Il 21 ottobre si ebbero le direttive finali che in sintesi determinarono un disegno di manovra che prevedeva una offensiva su una ampia fronte, con azione partente dal settore Brenta-Piave (IV e XII Armata) volta a separare i due gruppi di eserciti austro-ungarici; con azione partente dal medio Piave (XII, VIII X Armata) volta a separare le due armate del Gruppo Boroevic e tagliare le comunicazioni con la VI Armata si da rendere impossibile la difesa e la ritirata. Il giorno dell’attacco era fissato per il 24 ottobre 1918.
Gli obiettivi  assegnati erano i seguenti: per la IV Armata, il solco Cismon-Arten-Feltre; per la VIII Armata, la sella di Fadalto e poi la convalle bellunese appoggiandosi a destra l’altipiano del Cansiglio; per la X Armata la Livenza tra Sacile e Porto Buffalà, per la I Armata il compito era quello di agevolare l’azione della X Armata e poi puntare sul Livenza
La situazione non era serena e tranquilla nella parte austriaca. Tutti erano convinti che ormai la guerra era stata persa e che si doveva uscire con il maggior danno possibile. L’Alto Comando austriaco manifestò il suo intendimento a mandare parlamentari al Comando Supremo italiano a chiedere un armistizio. Il 4 ottobre 1918 fu nominata una Commissione di Armistizio presieduta dal generale Weber von Webenan che doveva preparare il testo dell’armistizio e nel contempo preparare lo sgombero dei territori occupati. Per questo piano erano state date direttive di massima: si doveva attuare in nove mesi, in tre fasi di tre mesi ciascuna riferendosi a determinate fasce del territorio occupato. Il 10 ottobre fu dato l’ordine di portare in Austria tutti i materiali strategici utili a sostenere le truppe per il dopo armistizio. La preoccupazione maggiore era il controllo delle forze rivoluzionarie che si paventava avrebbero creato disordini e sommosse.
Alla vigilia della battaglia di Vittorio Veneto lo schieramento austro-ungarico dallo Stelvio al mare vedeva: il Gruppo di Armate del Tirolo con la X Armata tra lo Stelvio e l’Astico; la XI Armata dall’Astico al Brenta. Il Gruppo di Esercito Boroevic con il neocostituito Gruppo Belluno dal Brenta al Piave, la VI Armata da Vidor al Ponte della Priula, la V Armata dal Ponte della Priula al mare.
In totale 51 divisioni di fanteria, 6 di cavalleria con 6.800 bocche da fuoco e 564 aeroplani. Si opponevano 57 divisioni di fanteria, 4 di cavalleria, 7.700 bocche da fuoco e 638 aeroplani
Ma nei settori di rottura previsti dalla nostra offensiva il rapporto di forze era dalla stretta di Quero a Ponte di Piave di 28 divisioni di fanteria italiane ed alleate contro 17 divisioni austroungariche.

Lo svolgersi della battaglia di Vittorio Veneto è così riportato dal volume dedicato alle Medaglie d’Oro del 1918 


2.1. La battaglia di Vittorio Veneto
“Per apportare un concorso efficace allo sforzo degli alleati, i quali erano passati, il 18 luglio, alla controffensiva sulla fronte francese, il nostro Comando aveva pensato di iniziare al più presto un'azione di raggio non molto largo, proporzionata alle nostre forze ed ai nostri mezzi, che ancora risentivano della recente prova. Qualora, però, sulle altre fronti si fosse delineata la possibilità di superare veramente l'equilibrio delle forze e raggiungere di un sol colpo la decisione, il Comando italiano non avrebbe esitato a gettare sulla bilancia fin l'ultimo uomo. Quale zona per un attacco parziale era stato scelto l'altopiano di Asiago, nel duplice intento di acquistare spazio in una delle direzioni più vitali per il nemico e di allontanare la minaccia che di là incombeva sulla pianura Veneta. Quest'attacco, anzi, sarebbe stato tentato fin dalla primavera, se non si fosse scatenata l'offensiva austriaca del giugno; ne fu ripreso il progetto nel luglio, integrandolo con un attacco sussidiario, da svilupparsi nella zona del Pasubio, per tentare la riconquista del Col Santo e puntare verso l'altipiano di Folgaria. Erano ormai pressochè compiuti i preparativi per quest'azione parziale, e tra non poche difficoltà trattandosi di un duplice attacco in zone di elevate altitudini e di scarsissime comunicazioni, allorchè la situazione generale dell'Intesa parve delinearsi favorevole ad una azione decisiva anche sulla nostra fronte. Rapidamente il nostro Comando Supremo, che seguiva con occhio vigile ed intento gli avvenimenti, prendeva la decisione di lanciare all'attacco tutte le nostre forze nella direzione più rischiosa, ma decisiva, per risolvere la guerra. Tutti i particolari del progetto operativo furono rapidamente definiti, ed il 25 settembre, quattro giorni prima che fosse firmato l'armistizio con la Bulgaria, venivano dati gli ordini per il rapido concentramento delle artiglierie e dei mezzi tecnici nel settore prescelto per l'attacco.
In talune azioni, sviluppate in vari punti della fronte durante l'estate, si potè avere l'esatta misura dell'immutato spirito combattivo delle truppe avversarie: un nostro attacco, per esempio, nella zona del Tonale, alla metà di agosto, dovette essere presto interrotto ed appagarsi di lievi vantaggi per la vivissima reazione  del nemico. Più di una volta gli austriaci stessi tentarono d'impadronirsi di importanti posizioni, tenute da noi; il 12 ed il 30 luglio, ad esempio, sul monte Cornone in Val Brenta; il 3 settembre, sul monte Mantello, nella zona del Tonale; il 16, 17 e 18 dello stesso mese in Val Seren (Grappa). Ogni volta però, il nemico trovò le nostre truppe pronte a sventare i suoi attacchi, e gli toccò batter in ritirata con perdite più o meno gravi.
Altrettanto vigile e pronta era la nostra aviazione, così da inibire ormai quasi completamente al nemico il cielo sopra le nostre linee e retrovie.
Il mattino dell'8 agosto, poi, una nostra squadriglia di aeroplani (La Serenissima) capitanata da Gabriele d'Annunzio, muoveva alla volta di Vienna e giunta sulla città, non vi seminava, come gli Austriaci solevano sulle nostre città, la morte ed il terrore, ma lasciava cadere sugli allibiti abitanti una pioggia di manifestini tricolori, con parole di umanità e promesse di liberazione. Quella schiera di velivoli tricolori, trasvolante nel cielo della capitale austriaca come un corteo di bandiere spiegate, era come l'avanguardia spavalda e fiera di Vittorio Veneto!



2.2. Le forze contrapposte ed il piano italiano.
Le armate italiane, alla vigilia della battaglia, erano schierate come nel giugno; fra la IV Armata e l'VIII e fra la VIII e la III ne erano state inserite due nuove, con truppe miste italiane ed alleate, e precisamente la XII, al comando del generale francese Grazianì, e la X, al comando del generale inglese conte di Cavan.

A disposizione del Comando Supremo rimanevano la IX Armata (gen. Morrone) della quale facevano parte tre divisioni italiane, una ceco-slovacca, il 332° Reggimento di fanteria americano, ed altre quattro divisioni. Nella zona di Padova, infine, era concentrato il corpo di cavalleria (quattro divisioni) al comando di S.A.R. il Conte di Torino.
Le forze complessive delle nostre armate sommavano a 57 divisioni (con 704 battaglioni), delle quali 51 italiane e 6 alleate, con 7700 pezzi di artiglieria (450 dei quali alleate, e 1745 bombarde.
Anche nell'esercito avversario non erano avvenuti grandi mutamenti; 57 divisioni e mezza (724 battaglioni) con 6030 cannoni, erano schierate contro di noi, ripartite sempre in due masse: quella del Tirolo, sotto il comando dell'Arciduca Giuseppe, qualche giorno prima dell'offensiva nominato comandante di tutta la fronte italiana, e quella del Piave, sempre al comando del Boroevic. Tra i due gruppi d'esercito era stata inserita una nuova grande unità (Gruppo d'Armata Belluno), al comando del generale V. Goglia, cui era affidata la difesa del settore tra Brenta e Piave. Contro questo gruppo si proponeva, in un primo tempo, di agire il nostro Comando Supremo con azione partente appunto dal settore Brenta-Piave, allo scopo di impegnarne le forze e cercare di attirare su quel tratto della fronte la massima quantità delle riserve nemiche dislocate nel Feltrino; in un secondo tempo, poi, le truppe del Grappa, assecondate da quelle dell'Armata degli altipiani, dovevano incunearsi tra la massa austriaca del Trentino e quella del Piave.
Un'azione, quindi, partente dal medio Piave e considerata come principale, doveva separare violentemente le due armate austriache schierate dal Monfenera al mare, esercitando il massimo sforzo nel punto di giunzione fra esse, per poi avanzare risolutamente nella pianura.
Rimandata di qualche giorno a causa di un rigonfiamento improvviso del Piave, la nostra offensiva ebbe inizio il 24 ottobre, giorno anniversario di Caporetto.”

La battaglia di Vittorio Veneto si suole dividere in quattro fasi: la prima fase (24 – 26 ottobre) comprende la lotta sul Grappa e l’occupazione della Grave di Papadopoli; la seconda fase (27-28 ottobre) il forzamento del Piave e la rottura della “Kaiserstellung”; la terza fase (29-31 ottobre) costituita dal completamento del successo; la quarta fase (31 ottobre – 4 novembre) concerne lo sfruttamento del successo.  


[1]        Montanari M., Politica e strategia in cento anni di guerre italiane, cit., pag. 756  e segg.

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