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domenica 24 gennaio 2016

Le Repubblica Partigiane in Umbria

APPROFONDIMENTI

IL TERRITORIO LIBERO DI CASCIA*

Dott. Andrea Martocchia, Gen. Enzo Climinti

Il recente fascicolo di Patria Indipendente "Semi di Costituzione. La bella storia delle repubbliche partigiane" (Settembre 2014) riporta una mappa delle Repubbliche partigiane, Zone libere e Repubbliche contadine sorte nel 1944, che evidenzia alcune novità storiografiche di grande rilievo. Tra queste, va sottolineata la menzione del Territorio Libero di Cascia, esperienza sorta nella Valnerina umbra, che nella accezione più restrittiva va datata dal 15 febbraio 1944 – giorno in cui, a seguito della presa del controllo di Norcia, viene formalmente annunciata a mezzo manifesti murali la creazione della zona libera "di Norcia e Cascia" – fino al 31 marzo 1944, data della imponente e sanguinosa rappresaglia tedesca ("Grossunternehmen gegen die Banden"). Protagonista dei fatti fu la locale Brigata Antonio Gramsci, avente commissario politico Alfredo Filipponi "Pasquale", che nella fase finale ne diverrà il comandante, mentre nei mesi precedenti a comandarla era stato lo jugoslavo Svetozar Lakovic "Toso". La Brigata, formalmente costituitasi all'inizio del febbraio, fu dispersa nella rappresaglia ed i nazifascisti ripresero il controllo del territorio, ma solo per un breve lasso di tempo, dopodiché le azioni partigiane tornarono a intensificarsi fino alla definitiva Liberazione (giugno 1944). 
Esistono anche accezioni più estese per questa misconosciuta vicenda resistenziale: già il 27 dicembre 1943 Cascia è infatti posta sotto il controllo delle formazioni partigiane che confluiranno nella Bgt. Gramsci; addirittura, Celso Ghini "Luigi", che da incaricato dal CLN di Roma si reca in quella zona e presiede alla costituzione formale della Brigata, intenderà la zona libera in una accezione tanto larga da farla durare sin dal settembre-ottobre 1943 e da includervi tutte le aree a cavallo tra Umbria e Marche meridionali in cui i tedeschi non si sentivano al sicuro, perciò delimitate con i noti cartelli "Achtung banditen": un'area vasta da Tolentino al confine abruzzese e da Amandola a Narni! In questa accezione così estesa, la Bgt. Gramsci non è l’unica formazione partigiana protagonista degli eventi, bensì assieme ad essa svolgono un ruolo anche le altre formazioni umbro-marchigiane monitorate da Ghini in qualità di ispettore, a partire (per lo specifico della Valnerina) dalla banda di Ernesto Melis, nata a Spoleto ma che nella fase successiva si stanzierà nella zona di Visso ed avrà un ruolo-chiave nella Liberazione finale di Norcia, benché oramai in assenza di colui che ad essa aveva dato il nome. 

Certamente, almeno nella accezione più stretta, questo Territorio Libero merita di essere menzionato nella pubblicistica del partigianato e nella stessa storiografia resistenziale ben più di quanto non sia successo in passato: in effetti, esso è stato generalmente omesso dalle tradizionali elencazioni delle realtà omologhe visto che l'attenzione è stata rivolta pressoché esclusivamente alle Repubbliche sorte sull'arco alpino e ad alcune altre importanti realtà sviluppatesi a ridosso della Linea Gotica – tutte però cronologicamente successive, a parte la cosiddetta Repubblica del Corniolo, nel Forlivese, che è effettivamente contemporanea al Territorio Libero di Cascia (dal 2 febbraio 1944 o, secondo altre fonti, già dal dicembre 1943, fino ai primi di marzo) ma la cui storia è legata alla figura molto controversa di Riccardo Fedel "Libero". Ancora precedente è la breve esperienza della Repubblica di Maschito, in Basilicata (15 settembre – 5 ottobre 1943), ed altre simili al Meridione, che furono però casi di mero autogoverno amministrativo, senza operatività militare partigiana. 

La coscienza che quella di Norcia e Cascia fosse “la prima zona libera d’Italia e, quindi, il primo esperimento di autogoverno attuato da Partigiani”, parve affermarsi solo nel breve lasso di tempo segnato dalle celebrazioni del Trentennale, cioè nel 1974-1975, quando tra l'altro proprio a Norcia fu tenuta una Tavola Rotonda i cui Atti sono stati dati alle stampe solo recentissimamente (1). Tale consapevolezza riecheggiò anche in tutti i numerosi articoli dei quotidiani che, all'epoca, riferirono dell’evento (2).
In anni recenti, la questione è stata approfondita a seguito di ricerche specifiche, effettuate da chi scrive, che hanno preso spunto da almeno due aspetti importanti:
1) il ruolo svolto dai partigiani stranieri, soprattutto jugoslavi, negli sviluppi militari e politici della vicenda;
2) l'entità e la dinamica delle repressione tedesca all'inizio di aprile 1944.



PARTIGIANI JUGOSLAVI IN APPENNINO

La Brigata Gramsci arriverà a contare 1155 effettivi, di cui 230 jugoslavi e 30 russi, più circa 400 "patrioti", in base ai dati della Commissione Regionale per il riconoscimento dei Partigiani dell'Umbria che fu coordinata nel dopoguerra proprio da Alfredo Filipponi oltre che dal perugino Mario Bonfigli. Più ancora che al numero, il peso rilevante della componente straniera fu dovuto alla elevata preparazione politica e militare degli antifascisti jugoslavi, che non a caso si trovavano in zona in quanto fuggiaschi dai numerosissimi luoghi di detenzione, lavoro coatto e internamento presenti in Umbria e regioni limitrofe: quel "sistema concentrazionario" dell'Italia fascista che timidamente si è iniziato a ricostruire in anni recenti. Gli jugoslavi erano in maggioranza già esperti nella guerriglia perché l’avevano condotta nel loro paese, contro gli eserciti di occupazione tedesco e italiano nonché contro i collaborazionisti locali, fino alla cattura e alla deportazione in Italia. Inoltre, la gran parte di loro erano giovanissimi militanti della SKOJ (la struttura giovanile del Partito Comunista jugoslavo), con una formazione ideologica solida ed una piena coscienza del nemico da affrontare. Con la loro esperienza e con la loro determinazione antifascista, essi dettero, fin dall’inizio, un valido contributo alla formazione del movimento partigiano in Italia e al consolidamento della capacità combattiva delle giovani reclute. (3)
Nello specifico, il gruppo degli jugoslavi della "Gramsci" si radunò attorno ad alcuni detenuti politici nel carcere di Spoleto, tra i quali lo stesso Toso, che erano stati protagonisti della rocambolesca evasione avvenuta il 13 ottobre 1943 (altre evasioni si ebbero in quelle settimane, spec. il 25-26 novembre). Questi evasi presero dapprima contatti con Melis a Gavelli, una piccola frazione sita sul percorso che dalla valle del fiume Nera conduce a Monteleone di Spoleto; ben presto però si manifestarono forti dissidi tra la componente di Melis, in cui prevalevano militari ed ufficiali italiani di fede monarchica e badogliana, e quella di Toso, a egemonia comunista, formata da stranieri perseguitati che in quanto tali non avevano nulla da perdere e tutto da guadagnare in una lotta armata attiva. Dopo la rottura, gli jugoslavi di Toso assieme ad alcuni italiani più determinati si spostarono a Mucciafora, paesino vicino alla cima del Monte Coscerno, il più alto della zona. Proprio Mucciafora fu il teatro della prima grande strage nazifascista in zona, avvenuta il 28 novembre 1943, di cui furono vittime soprattutto i capifamiglia del posto, che avevano offerto generosa protezione ai partigiani, oltre ad alcuni combattenti di entrambe le nazionalità.
Dopo un iniziale sbandamento, le attività del gruppo di Toso proseguono con l'intensificazione dei rapporti con l'altro nucleo ad egemonia comunista sorto nell'Umbria meridionale: quello degli operai (molti di loro lavoratori delle Acciaierie), contadini e montanari italiani organizzatisi attorno a Filipponi, provenienti soprattutto dal Ternano.
La "Gramsci" poté dunque disporre di un nerbo di grande esperienza e potenza militare, costituito dagli jugoslavi, e di un ampio bacino di militanza costituito da elementi popolari, i cui principali esponenti erano perseguitati politici antifascisti della primissima ora quale lo stesso Filipponi. E' nella fortunata combinazione di queste diverse componenti che si spiega la straordinaria riuscita delle operazioni partigiane che si susseguirono nei mesi successivi e che portarono la zona libera a raggiungere quella massima estensione precisata nel Proclama del Comando della Brigata Gramsci che riproduciamo a lato. 
Il 20 marzo 1944, l'ispettore Celso Ghini relazionava così alla direzione del PCI sulla situazione in quell'area: 
«La situazione che ho trovato è di un interesse e di un'importanza eccezionale; ho trovato una brigata su tre battaglioni (150 uomini armati) ai quali si sono aggiunti in questi giorni altri 150 uomini che abbiamo diviso in due battaglioni e siccome pensiamo di aggregare alla brigata anche il battaglione G. Manni (Narni) disponiamo ora di 6 battaglioni con poco meno di 400 uomini, i quali aumentano ogni giorno ponendo di fronte a noi una quantità di problemi complessi che per mancanza di uomini capaci ci mettono in serie difficoltà […] Lo sviluppo degli avvenimenti ha letteralmente sopraffatte le scarse forze preparate del nostro partito […] Si parla insistentemente di imminenti rastrellamenti ed io temo uno sbandamento per deficienza di quadri e di preparazione […] Mandate subito uomini quanti più ne potete per il lavoro politico, per il lavoro di agitazione, per il lavoro militare […] Mandate materiale, molto materiale, ogni settimana materiale,
e rispondete sollecitamente alle lettere […] Sono giunti due compagni montenegrini [Pešić e Borić], uno è veramente buono, ma non fa onore al nostro partito che in una zona talmente interessante non gli si possa mettere accanto nemmeno un elemento equivalente ». (4)

LA "GRANDE OPERAZIONE CONTRO LE BANDE"

La valenza militare delle azioni della guerriglia della “Gramsci”, nell’economia degli eventi della II Guerra Mondiale sulla Penisola – segnatamente nella prima fase della guerra, quando il fronte è ancora attestato sulla Linea Gustav –, è molto più grande di quanto non sia stato evidenziato fino ad oggi. Essendo attive a ridosso delle principali strade consolari che da Roma conducono verso il nord-est e l'Adriatico, con ripetuti agguati ai convogli e trasporti militari nazifascisti, la “Gramsci” e le altre formazioni operanti nelle zone contigue rappresentano una fastidiosa spina nel fianco nelle retrovie tedesche e repubblichine. I partigiani ne sono coscienti, lo stesso comandante Toso afferma: «Mi sia permesso dire che tali azioni le dobbiamo eseguire [oltre che sulla Salaria] anche sulla strada Flaminia, poiché questa e la Salaria sono due arterie [di cui] si servono i tedeschi per alimentare la guerra contro gli Alleati e i partigiani» (5). D'altronde, già il 9 febbraio 1944 Mussolini scrive preoccupato che il “fenomeno ribellistico” nell’Italia centrale “può tagliare le comunicazioni fra la Valle padana e Roma” (6). In effetti, dopo che i sabotaggi partigiani e le incursioni aeree alleate hanno danneggiato la viabilità principale, il “fenomeno ribellistico” mette a repentaglio anche la viabilità secondaria, laddove viceversa la necessità impellente per i tedeschi, dopo la caduta di Cassino, è quella di liberare in fretta le direttrici della ritirata verso nord.

Le cose prendono una piega particolarmente preoccupante per i nazifascisti con i clamorosi fatti di Poggio Bustone, il 9 marzo 1944. Quel giorno, la reazione partigiana ad una incursione fascista viene potenziata dallo scatenarsi di una vera e propria jacquerie popolare. Il btg. “Morbidoni” della “Gramsci” con solamente 18 partigiani deve fronteggiare la colonna fascista composta da centosettanta militi inizialmente guidata dal prefetto Di Marsciano, poi dal questore Pannaria, che irrompe nel paese in cerca dei renitenti, devastando ed uccidendo tre uomini e una donna; ma nelle ore successive è la popolazione stessa, inferocita, a reagire furiosa, punendo e scacciando i fascisti. (7)
Pochi giorni dopo, la presa di Leonessa viene perciò percepita dal nemico come l'ultimo inaccettabile affronto, tanto che la località viene definita dalla Wehrmacht "Hauptstützpunkt der Banden", cioè letteralmente: principale presidio delle bande (partigiane). Non a caso tale definizione è stata ripresa nel titolo del lavoro di ricerca del Gen. Enzo Climinti (8), che ha sottolineato e sviscerato questo fondamentale caso storiografico. Dopo molte settimane in cui, di fatto, il territorio immediatamente a nord di Leonessa (la strada verso Monteleone e la Valnerina) era già sotto il controllo partigiano, la presa da parte della "Gramsci" di questa cittadina in posizione dominante sul massiccio del Terminillo rappresentò da un lato l’apice delle attività della Brigata, dall’altro fu l’inizio della fine della “zona libera”: inevitabile era a quel punto la violenta rappresaglia, che sarebbe difatti seguita di lì a due settimane. L’area fu sottoposta ad una impressionante forza d'urto da parte dei nazifascisti. Il 29 marzo le truppe tedesche – composte da reparti di Alpenjänger, SS carriste e elementi della divisione Göring –, coadiuvate dalle formazioni fasciste del battaglione M e da paracadutisti, iniziarono operazioni di “controguerriglia” che si sarebbero protratte fino al 10 aprile. La “Gramsci” subì gravi perdite. Oltre cinquanta partigiani furono uccisi e parecchi civili furono fucilati: cinque a Cascia, tre a Colle Giacone e tre a Monteleone di Spoleto; nella stessa Leonessa tra il 2 e il 7 aprile si contarono in cinquantadue le persone uccise, in una azione vendicativa guidata da una ragazza del posto disposta a tutto pur di fare carriera, Rosina Cesaretti, che è rimasta simbolo di malvagità nei racconti dei locali. 

Persino il famigerato prefetto Rocchi, il 5 aprile 1944 espresse preoccupazione al Comando militare tedesco di Perugia lamentando “gli inconvenienti delle azioni di rastrellamento”, le “ingiustificate violenze e le innocenti vittime”, con reparti che “aprono il fuoco contro la popolazione senza discriminazione, o saccheggiano e incendiano abitazioni private e uffici pubblici”, ed evidenziando la “delicata pericolosa situazione creata da tali azioni” (9). Il maggiore Hermann gli risponderà in data 22 aprile che “le truppe impegnate nella lotta contro i ribelli hanno l’ordine di condurre questa lotta con la massima durezza ed energia, poiché solo in questo modo possono essere ottenuti dei risultati tangibili. Vedrebbero con soddisfazione una collaborazione più intima da
parte delle competenti autorità civili. Il loro compito supremo consiste nel tener libere da ogni interruzione le retrovie sulle quali transitano i rifornimenti per le truppe combattenti sul fronte italiano” (10).

Antifascisti e semplici civili furono deportati a centinaia nel campo di concentramento allestito a Cinecittà, a Roma. La controffensiva nazifascista provocò così lo sfaldamento della “Gramsci” che solo tra la fine di maggio e i primi di giugno riuscì a riorganizzarsi, ma con uno scollamento tra la componente "italiana" di Filipponi e quella "slava" di Lakovic. La brigata Gramsci in senso proprio (Filipponi) si andò a ricostituire su alcune montagne al confine tra Umbria e Lazio, con base in località Salto del Cieco, e fu la protagonista della Liberazione della città di Terni il 13 giugno. I battaglioni "Tito" (Lakovic), riunificatisi, inizialmente si spostarono sul versante sud dei Sibillini e poi sopra Norcia, nella parte più alta della Valnerina, tra Lazio e Marche; presto ripresero però brillanti azioni di guerriglia tanto da essere loro stessi, assieme a reparti della "Melis", i liberatori di Norcia e di tutta l'Alta Valnerina.

UNA RI-SCOPERTA STORIOGRAFICA

Ha giustamente fatto notare Francesco Innamorati (11) che "tra il gennaio e l’aprile 1944 la piccola Umbria è stata la regione italiana che ha avuto il maggior numero di partigiani, sia in assoluto che in percentuale (18.000 partigiani nell’aprile del ’44, cioè il 24% del totale di quelli combattenti sul territorio nazionale). Più dell’Emilia, della Venezia Giulia, del Piemonte, etc. (…) Anche per questo è interessante studiare la storia della Resistenza armata nella Regione che ha avuto il maggior numero di partigiani (anche se non sembra che finora se ne sia accorta)."

L'importanza del Territorio Libero di Cascia, nelle ricostruzioni storiche del periodo, non è però solo di carattere statistico, o per affermare il "primato" cronologico di questa esperienza rispetto alle altre – circostanze che hanno comunque una loro significatività. Né si tratta di discutere se tale esperienza ebbe i requisiti di autogoverno di una vera e propria "Repubblica partigiana o meno": non lo fu, non si "istituzionalizzò"… ma quante delle Repubbliche partigiane comunemente note si "istituzionalizzarono" effettivamente? Quella di Cascia non ebbe prerogative di molto inferiori rispetto alla norma delle altre zone libere della Resistenza italiana; vi furono elementi dimostrabili di amministrazione della vita civile, quali: 
- il pieno controllo della cittadina di Cascia per tre mesi;
- la fissazione del Comando, sede di tale autogoverno, all'Albergo Italia, come da Proclama;
- la gestione dell'Ospedale civile;
- la gestione di aspetti dell'economia locale: la distribuzione dei viveri (spec. dopo ogni presa di un ammasso) e lo svolgimento del mercato; la fissazione dei prezzi di determinate merci, come la carne;
- l’istituzione di un Comitato di assistenza delle donne;
- il funzionamento di un posto di ristoro, con sede all’albergo Salus di Cascia, per i tanti prigionieri alleati in fuga attraverso quei territori;
- l'allestimento di un campo di addestramento in località Capanne di Colle Giacone;
- l'organizzazione della stampa e propaganda (oltre ai manifesti, la stampa del giornale "Il Fuoco" e de "L'Unità" in una tipografia di Norcia);
- l'istituzione formale di un Tribunale militare, avente per scopo di “giudicare i collaborazionisti, le spie e gli stessi partigiani che si fossero resi colpevoli di qualche reato”. (12)

Ha spiegato Celso Ghini: «In questo territorio tutte le autorità erano al servizio dei comandanti partigiani. I podestà erano stati scacciati o si erano sottomessi. I presìdi dei carabinieri erano spariti, le caserme erano state assaltate e disarmate, i pochi presìdi  fascisti che c'erano erano stati scacciati, qui tutte le autorità erano a disposizione nostra. Ricordo personalmente che quando ad un certo momento dovevano fare il podestà di Leonessa, venne da noi al Comando di Cascia Tavani e disse: “io sono stato chiamato dal Prefetto di Rieti, mi deve fare podestà. Sentite, io accetto se siete d'accordo; se siete d'accordo collaborerò con voi, se non dirò di no”. Noi dicemmo: “Va bene, accetta, però tu gli ordini li ricevi da noi”. Lui accettò, poi lo fucilarono nel grande rastrellamento…» (13).

A ben vedere, al di là di tutto questo, l'importanza di una trattazione del Territorio Libero di Cascia in una storiografia che voglia essere aggiornata a nostro avviso deriva piuttosto, paradossalmente, dalla sua passata rimozione, dalla incomprensione cui sono state soggette queste vicende per troppi decenni e fino ad oggi. Tale damnatio memoriae è stata diretta conseguenza soprattutto della loro precocità: queste vicende si sono infatti svolte prevalentemente, e pressoché concluse, prima ancora dello sfondamento della linea Gustav e prima della cosiddetta Svolta di Salerno, quindi prima anche della codificazione delle formazioni della Resistenza Italiana in Brigate garibaldine, con i loro ispettori, da parte del CLN-AI. Perciò tali vicende non sono semplicemente classificabili usando gli schemi più rituali della storiografia della Resistenza, schemi per cui alla Resistenza stessa ci si è riferiti essenzialmente come ad una lotta di liberazione nazionale contro l'occupatore tedesco. Questa impostazione storiografica "tradizionale" peraltro nasce con il primo e principale storico della Resistenza italiana: Roberto Battaglia. Il fatto a nostro avviso più clamoroso è che proprio Battaglia, in quanto originario di Norcia e dimorato nella casa di famiglia a Norcia in quell'inverno del '43-'44, fu non solo testimone diretto ma addirittura protagonista degli eventi; ciononostante ne fece solo brevi cenni nelle sue opere. In effetti Battaglia apprese l'antifascismo in quei giorni da membri della "Gramsci" e segnatamente dagli jugoslavi rifugiati a casa sua, ma non si integrò nelle strutture di comando della Brigata e rimase piuttosto legato al gruppo di Melis. 
Proprio l’assenza, tra i quadri partigiani, di ceti intellettuali e borghesi, e dei loro partiti di riferimento, determinò la “freddezza” del CLN, durante e soprattutto dopo la Resistenza. Al contempo, la linea “frontista” di Salerno – definita anche “bomba Ercoli” per il modo improvviso con cui Togliatti (“Ercoli”) la dettò in quell’inizio di primavera 1944 – ipotecò le tendenze più radicali, miranti ad una rivoluzione sociale, che covavano in settori partigiani ad egemonia comunista quale era la “Gramsci”.
Rimane il fatto che quella esperienza ebbe una rilevanza politico-sociale irripetibile, trattandosi di uno dei pochi casi – l'unico per quel territorio – in cui l’Italia rurale, che aveva rappresentato il retroterra indispensabile della mobilitazione partigiana, si incontrava con la componente operaia. Tale inedita esperienza sociale di unione nella lotta, appunto, tra la componente operaia ternana e la componente contadina e montanara fu drasticamente interrotta subito dopo la Liberazione: da una parte gli operai della città (sotto l’egemonia del Partito Comunista), dall’altra le popolazioni della valle e delle montagne (“recuperate” dalla Democrazia Cristiana ma più ancora vittime dei fenomeni di emigrazione, urbanizzazione, spopolamento anche a causa dei terremoti): una separazione significativamente sottolineata anche dalla non scontata demarcazione amministrativa tra le due province, rispettivamente di Terni e Perugia. 
Per di più, il connubio tra ceti popolari operai e contadini si rafforzava in quella occasione con la componente straniera, dei partigiani jugoslavi: una comunanza di lotta e di idealità che, come ben sappiamo, ha avuto vita durissima con la Guerra Fredda e con il "doppio ostracismo" cui fu soggetta la Jugoslavia a seguito dello strappo con il Cominform. Stiamo parlando di tante scissioni e fratture che oggi non sono solamente lontane nel tempo, ma delle quali non si ritrovano più le ragioni nel mondo presente. C'è perciò da augurarsi che, alla straordinaria vicenda del Territorio Libero di Cascia, si possa finalmente dare lo spazio che essa merita nella memoria locale, nazionale e internazionale.

--- RIQUADRO ---

Proclama del Comando della Brigata Gramsci

“Con la liberazione di Norcia, Leonessa, Poggiobustone, Albaneto, e rispettive frazioni dell’Alta Val Nerina, la Brigata garibaldina A. Gramsci ha liberato circa 1000 Kmq. di territorio, migliaia e migliaia di lavoratori sono stati liberati dalla schiavitù nazifascista. Questo Comando, mentre invita tutti i cittadini a collaborare con i Partigiani per le necessità delle popolazioni locali, rende noto che da oggi, 16 marzo 1944, il territorio di Leonessa e San Pancrazio, in zona di Narni, con i limiti Rivodutri, Poggiobustone,A lbaneto, Castiglioni di Arrone è considerato staccato da Rieti, Terni e Perugia, città ancora dominate dai nazifascisti ed è unito al territorio di Cascia, Norcia, Monteleone dell’Alta Val Nerina; per conseguenza la Brigata garibaldina A. Gramsci, unica autorità esistente in detto territorio che degnamente rappresenta la nuova Italia democratica, assume la responsabilità di fronte ai cittadini militarmente, politicamente e amministrativamente.
I cittadini, per le loro necessità, sono invitati a rivolgersi ai rispettivi Comuni e al Comando della Brigata sito all’Albergo Italia di Cascia.”

[Affisso in 200 copie nei centri liberati il giorno 16 marzo 1944]

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GLI AUTORI:

Enzo Climinti, Generale GdF, decorato, storico militare, fu testimone e fiancheggiatore delle attività partigiane presso Leonessa. Andrea Martocchia, saggista, è segretario del Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS.


NOTE:

(1) Cfr. Norcia 1975, da cui è tratta la citazione (a p.12: Premessa).

(2) Cfr. ad es. “Innamorati: ‘L’esempio della prima zona libera’”, in Paese Sera del 12 ottobre 1975.

(3) Cfr. Martocchia 2011.

(4) Lettera di Luigi dall'Umbria alla Direzione del PCI, 20 marzo 1944, pubbl. in Secchia 1973, pp.382-384; originale in Archivio PCI, Istituto Gramsci.

(5) In Filipponi 1991, p.259.

(6) Lettera a Renato Ricci, comandante della GNR. Cit. in Amatori 1983, p.36.

(7) La battaglia ha dato origine a memorie popolari immortalate nella canzone di Dante Bartolini sul "Traditore Tanturri", parte del patrimonio di storia orale e di canti raccolto negli anni '70 dal Gruppo “Gianni Bosio” e negli studi di Alessandro Portelli.

(8) Climinti 2001. Sullo stesso tema si veda anche: Climinti 2006.

(9) Fonte: ASP, APP, b.145.

(10) Riprodotto in Climinti 2001, p.50.

(11) Partigiano già presidente dell'ANPI provinciale di Perugia oltreché presidente della Consulta Regionale umbra per le celebrazioni del trentennale della Resistenza che organizzò la Tavola Rotonda del 1975 a Norcia. La citazione è tratta dalla Prefazione a Norcia 1975.

(12) Ordine del giorno del Comando della Bgt. “Gramsci” n.3 del 31/3/1944. (v.e. “Cascia, zona libera di” in: Enciclopedia. Copia del documento originale in: Arch. ISUC, Fondo ANPI Terni, Resistenza/Liberazione). Per approfondimenti sul funzionamento e le vicende del Territorio Libero di Cascia e sulla Bgt. Gramsci riteniamo fondamentali, oltre alle altre qui citate, due fonti: Filipponi 1991 e Bitti 2010.

(13) Da Ghini 1973, pp.71-72.


BIBLIOGRAFIA:

Amatori, Enrico, 1983: La Resistenza nel Reatino (1943-1944). Rieti, Il Velino.

Bitti, Angelo; Covino, Renato; Venanzi, Marco, 2010: La Storia rovesciata. La guerra partigiana della brigata garibaldina “Antonio Gramsci” nella primavera del 1944. Narni, Crace.

Climinti, Enzo, 2001: Leonessa 1943/1944 : Hauptstützpunkt der Banden. Roma, Arti grafiche San Marcello.

Climinti, Enzo, 2006: Il gruppo di combattimento “Schanze” nella grande impresa contro le bande – Grossunternehmen gegen die Banden – marzo-aprile 1944, Appennino umbro e alto Lazio. Roma, Edizioni Settimo Sigillo.

[Enciclopedia]: Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, sotto la direzione di P. Secchia e E. Nizza. Milano, La Pietra (sei volumi e due appendici editi tra il 1968 e il 1989).

[Filipponi 1991]: Il diario di Alfredo Filipponi comandante partigiano, a cura di Giuseppe Gubitosi / ISUC. Foligno, Editoriale Umbra, 1991.

[Ghini 1973]: Celso Ghini, Il territorio libero umbro-marchigiano (settembre 1943 – giugno 1944), in: Resistenza e liberazione nelle Marche, Atti del primo Convegno di studio nel XXV della Liberazione. Urbino, Argalia, 1973. 

Martocchia, Andrea, 2011: I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata. Con contributi di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono, Ivan Pavičevac. Prefazione di Davide Conti, Introduzione di Giacomo Scotti. Roma: Odradek.

[Norcia 1975]: Il Territorio Libero di Norcia e Cascia a 70 anni dalla proclamazione 1944-2014, a cura di Andrea Martocchia. Prefazione di Francesco Innamorati, Introduzione di Costantino Di Sante. Roma: Odradek, 2014.

[Secchia 1973]: Il Partito Comunista Italiano e la guerra di liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, a cura di Pietro Secchia. Milano, Feltrinelli, 1973.

 *  Nota ricevuta da Giovannni Simoncelli, Anpi Umbria, che ringraziamo


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