UNA FINESTRA SUL MONDO
Alessio Pecce*
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a partire dalla sua
scalata al potere del 2002, si è contraddistinto per essersi districato su più
piani socio-politici con l'obiettivo di accrescere la Turchia sul piano
internazionale, a cominciare dalle azioni pro integrazione nell'Unione europea,
risalente alla prima metà del 2000, fino all'interventismo in Medio Oriente.
Uno degli obiettivi del presidente turco è quello di vedere il suo paese tra le
prime dieci potenze mondiali nel 2023, anno in cui si celebrerà il centenario
della Repubblica turca, anche se ad oggi l'economia interna e i rapporti
internazionali non ne facilitano la realizzazione. Dal punto di vista della
politica interna sono aumentate le azioni volte a combattere il Pkk (Partito
dei Lavoratori del Kurdistan), anche se gli specialisti del settore auspicano
la stessa fermezza e determinazione nel contrastare l'ISIS, il quale ha
attaccato il centro di Istanbul lo scorso 12 gennaio, mettendo al contempo in
mostra l'instabilità interna del paese. Infatti
un cittadino siriano di nome Nabil Fadli si è fatto esplodere nel
quartiere di Sultanahmet, provocando l'uccisione di dieci persone, la maggior
parte di nazionalità tedesca, e il ferimento di altri quindici civili. Per
questo motivo il primo ministro turco Davutoglu ha immediatamente espresso
cordoglio e vicinanza alla cancelliera tedesca Angela Merkel, confermando il
processo di azione per contrastare ogni forma di terrorismo, sottolineato anche
dallo stesso Erdogan, ricordando come pochi giorni prima l'esercito turco abbia
ucciso diciotto terroristi appartenenti all'Is in Iraq, nelle vicinanze di
Bashiqa, oltre ad aver smascherato un piano d'attacco nei confronti di sei
città europee. L'attentato di Istanbul conferma come la Turchia sia uno dei
principali obiettivi terroristici, sottolineato anche dal presidente Erdogan,
considerando come nei mesi di luglio (uccisione di trenta militanti curdi),
ottobre (uccisione di 102 civili ad Ankara per mano di terroristi legati
all'ISIS) e infine dicembre (secondo aeroporto di Istanbul colpito da un gruppo
del Kurdistan) il paese sia stato bersaglio di attacchi terroristici. I tre
attentati in sei mesi sono quindi la dimostrazione che i controlli, non proprio
rigidi e fiscali, delle autorità turche alla frontiera siriana hanno provocato
l'infiltrazione di innumerevoli cellule jihadiste, le quali una volte presenti
sul territorio turche hanno avuto la “strada spianata” per le loro strategie
terroristiche. Soprattutto dopo l'attacco avvenuto nel mese di dicembre, le
forze militari turche hanno moltiplicato le azioni di controlli sui giovani
militanti curdi schierati negli assalti di guerriglia urbana. Inoltre il
presidente turco vorrebbe eliminare l'immunità parlamentare per i politici
appartenenti al partito filocurdo (Hdp), azione che poi si è evoluta con
l'arresto di alcuni membri del partito, oltre all'esclusione di quest'ultimo
dal processo di riforma della nuova costituzione. La pubblica opinione
internazionale, d'altro canto vede questa presa di posizione come un “passo
indietro” nei confronti di quel sistema democratico voluto fortemente dalla
politica turca.
Tutto ciò avviene mentre lo scenario globale vede il
coinvolgimento di più forze internazionali nello scacchiere compreso tra la
Siria e l'Iraq, capeggiato dall'attivismo della Russia e dell'Iran, con l'alta
probabilità di vedere acceso un focolaio ben più grande tramutarsi in conflitto
globale. Ragion per cui, vista e considerata l'assenza di confini geografici in
questo nuova e strana battaglia, tutte le forze internazionali devono cooperare
affinché si possa scongiurare l'inizio di una nuova guerra di dimensioni
globali e soprattutto conseguenze catastrofiche, anche se al momento le
politiche turche e statunitensi non sono del tutto convergenti. Infatti da un
lato la politica di Ankara è proiettata principalmente su tre fronti, quali
l'abbattimento del regime di Bashar-al-Assad, indebolimento delle forze curde e
la conseguente autonomia nel nord della Siria, mentre la strategia degli Stati
Uniti è volta all'eliminazione definitiva dello Stato islamico in Siria.
Pertanto una delle possibili soluzioni del conflitto può essere di carattere
geopolitico, dando quindi una stabilità
alla zona mediorientale, attraverso l'intervento immediato delle forze
internazionali; il secondo fattore risolutivo riguarda la preservazione delle
comunità offrendo dei modelli socio-economici alternativi a quello attuale, in
virtù di un futuro migliore.
Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della
Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione,
valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali,
organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.
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