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sabato 23 gennaio 2016

I focolai della Turchia.

UNA FINESTRA SUL MONDO

Alessio Pecce*

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a partire dalla sua scalata al potere del 2002, si è contraddistinto per essersi districato su più piani socio-politici con l'obiettivo di accrescere la Turchia sul piano internazionale, a cominciare dalle azioni pro integrazione nell'Unione europea, risalente alla prima metà del 2000, fino all'interventismo in Medio Oriente. Uno degli obiettivi del presidente turco è quello di vedere il suo paese tra le prime dieci potenze mondiali nel 2023, anno in cui si celebrerà il centenario della Repubblica turca, anche se ad oggi l'economia interna e i rapporti internazionali non ne facilitano la realizzazione. Dal punto di vista della politica interna sono aumentate le azioni volte a combattere il Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), anche se gli specialisti del settore auspicano la stessa fermezza e determinazione nel contrastare l'ISIS, il quale ha attaccato il centro di Istanbul lo scorso 12 gennaio, mettendo al contempo in mostra l'instabilità interna del paese. Infatti  un cittadino siriano di nome Nabil Fadli si è fatto esplodere nel quartiere di Sultanahmet, provocando l'uccisione di dieci persone, la maggior parte di nazionalità tedesca, e il ferimento di altri quindici civili. Per questo motivo il primo ministro turco Davutoglu ha immediatamente espresso cordoglio e vicinanza alla cancelliera tedesca Angela Merkel, confermando il processo di azione per contrastare ogni forma di terrorismo, sottolineato anche dallo stesso Erdogan, ricordando come pochi giorni prima l'esercito turco abbia ucciso diciotto terroristi appartenenti all'Is in Iraq, nelle vicinanze di Bashiqa, oltre ad aver smascherato un piano d'attacco nei confronti di sei città europee. L'attentato di Istanbul conferma come la Turchia sia uno dei principali obiettivi terroristici, sottolineato anche dal presidente Erdogan, considerando come nei mesi di luglio (uccisione di trenta militanti curdi), ottobre (uccisione di 102 civili ad Ankara per mano di terroristi legati all'ISIS) e infine dicembre (secondo aeroporto di Istanbul colpito da un gruppo del Kurdistan) il paese sia stato bersaglio di attacchi terroristici. I tre attentati in sei mesi sono quindi la dimostrazione che i controlli, non proprio rigidi e fiscali, delle autorità turche alla frontiera siriana hanno provocato l'infiltrazione di innumerevoli cellule jihadiste, le quali una volte presenti sul territorio turche hanno avuto la “strada spianata” per le loro strategie terroristiche. Soprattutto dopo l'attacco avvenuto nel mese di dicembre, le forze militari turche hanno moltiplicato le azioni di controlli sui giovani militanti curdi schierati negli assalti di guerriglia urbana. Inoltre il presidente turco vorrebbe eliminare l'immunità parlamentare per i politici appartenenti al partito filocurdo (Hdp), azione che poi si è evoluta con l'arresto di alcuni membri del partito, oltre all'esclusione di quest'ultimo dal processo di riforma della nuova costituzione. La pubblica opinione internazionale, d'altro canto vede questa presa di posizione come un “passo indietro” nei confronti di quel sistema democratico voluto fortemente dalla politica turca.
Tutto ciò avviene mentre lo scenario globale vede il coinvolgimento di più forze internazionali nello scacchiere compreso tra la Siria e l'Iraq, capeggiato dall'attivismo della Russia e dell'Iran, con l'alta probabilità di vedere acceso un focolaio ben più grande tramutarsi in conflitto globale. Ragion per cui, vista e considerata l'assenza di confini geografici in questo nuova e strana battaglia, tutte le forze internazionali devono cooperare affinché si possa scongiurare l'inizio di una nuova guerra di dimensioni globali e soprattutto conseguenze catastrofiche, anche se al momento le politiche turche e statunitensi non sono del tutto convergenti. Infatti da un lato la politica di Ankara è proiettata principalmente su tre fronti, quali l'abbattimento del regime di Bashar-al-Assad, indebolimento delle forze curde e la conseguente autonomia nel nord della Siria, mentre la strategia degli Stati Uniti è volta all'eliminazione definitiva dello Stato islamico in Siria. Pertanto una delle possibili soluzioni del conflitto può essere di carattere geopolitico, dando quindi una stabilità  alla zona mediorientale, attraverso l'intervento immediato delle forze internazionali; il secondo fattore risolutivo riguarda la preservazione delle comunità offrendo dei modelli socio-economici alternativi a quello attuale, in virtù di un futuro migliore.




Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione, valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali, organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.

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