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venerdì 13 ottobre 2023

Osvaldo Biribicchi: Cheikh Anta Diop

 UNA FINESTRA SUL MONDO



Nell’Africa Subsahariana, a Dakar, capitale del Senegal, presso l’Istituto Fondamentale dell’Africa Nera esiste un laboratorio di datazione al carbonio 14, il primo realizzato in Africa. Il padre di questa meraviglia tecnologica è lo stesso che ha tradotto in lingua wolof la teoria della relatività di Albert Einstein: Cheikh Anta Diop. Definire questo illustre personaggio un luminare della scienza è limitativo perché lui, oltre a fisico e chimico, è stato anche antropologo, linguista, storico ed egittologo. Diop nasce il 29 dicembre 1923 in Senegal, all’epoca parte dell’Africa Occidentale Francese[1], in una famiglia appartenente all’aristocrazia del gruppo etnico wolof. In quel periodo la società senegalese era ancora ferita dall’enorme tributo di vite umane pagato durante la prima Guerra Mondiale nel corso della quale duecentomila giovani erano stati reclutati in quella parte dell’impero coloniale francese e mandati a combattere in Europa in difesa dei francesi loro colonizzatori. Diop inizia gli studi in una scuola coranica e prosegue nelle scuole coloniali francesi; nel 1946 si trasferisce a Parigi e si iscrive alle facoltà di Matematica Superiore e di Lettere della Sorbona. Qui si laurea in filosofia e consegue anche il dottorato in scienze dell’antichità. Si specializza in fisica nucleare presso il Laboratoire de chimie nucléaire du Collège de France e collabora con il premio Nobel per la chimica Jean Frédéric Joliot-Curie. Fin dall’inizio, Diop orienta i suoi studi nei vari campi del sapere alla riabilitazione della antica cultura africana soffocata dal colonialismo europeo. Parallelamente, si prefigge un altro non meno gravoso obiettivo: risvegliare gli africani dal lungo sonno storico e culturale in cui l’intellighenzia occidentale li aveva artificiosamente ed ingiustamente sprofondati. “Fatta eccezione per il suo trattato di Physique nucléaire et cronologie absolue, tutti i titoli dello studioso senegalese portano sullo stesso soggetto: l’Africa. È come se il ricercatore avesse scoperto un mondo privo di neri, nel senso che essi per lui vanno ormai riconosciuti al di fuori dei discorsi quasi etnocidi misti a un paternalismo impenitente”[2]. L’intenzione è ambiziosa: gettare le basi di un nuovo rinascimento culturale africano che non può prescindere dalla ricostruzione dell’identità storica degli africani stessi, mortificati dalla presunta autoreferenziale superiorità culturale occidentale, europea in particolare, che a partire dal XV secolo oltre ai noti danni visibili ne ha creato uno invisibile, forse anche peggiore e più devastante, l’annullamento della identità culturale africana. In sostanza, lo studioso senegalese vuole ridare alla cultura africana il giusto posto che gli spetta nella storia dell’umanità ed inizia a lavorare al suo progetto, dopo la fine della seconda guerra mondiale, proprio là dove era nato il germe del colonialismo: l’Europa. La scelta di tempo non poté essere migliore: i cittadini europei usciti stremati dall’immane conflitto, avevano voglia di tornare a vivere liberi in una società nuova, ricostruire le proprie case. Il nazismo era stato sconfitto grazie anche al sacrificio di centinaia di migliaia di giovani africani che avevano combattuto, così come nella Grande Guerra, inquadrati negli eserciti dei Paesi colonialisti. In questa Europa stremata ma ricca di nuovi e vivaci fermenti culturali Diop intuisce che l’opinione pubblica è pronta a recepire le giuste rivendicazioni dei popoli africani. Purtroppo, quella iniziale sensibilità dei cittadini europei agli aneliti di libertà provenienti dall’Africa Nera attraverso i suoi intellettuali di punta ben presto svanisce, anestetizzata dai veleni della Guerra Fredda e dalla contrapposizione ideologica tra capitalismo e comunismo. L’Africa con tutti i suoi problemi e contraddizioni nel sentire comune della gente è lontanissima, a meno degli aspetti folcloristici o delle crociere sul Nilo, e può aspettare. Nonostante ciò, Diop continua a portare avanti tenacemente il proprio lavoro nella ferrea convinzione che solo la verità storica oggettiva, dimostrata e supportata dalle evidenze scientifiche, possa rimuovere tutte le mistificazioni che avevano giustificato ed accompagnato la politica colonialista europea. Gli studi non sono disgiunti da un concreto impegno civile, nel 1951, in veste di segretario generale della Association des Étudiants du Rassemblement Démocratique Africain organizza, nel più vasto quadro delle iniziative a favore dell’indipendenza africana, il primo Congrès Panafricain Politique d’Étudiants aperto anche gli studenti delle colonie inglesi. Sempre in quell’anno presenta la tesi di dottorato in cui espone la sua dirompente teoria: “la civiltà dell’antico Egitto appartiene totalmente all’Africa nera, che dimostra così di essere all’origine della cultura, della storia e della civilizzazione occidentale, contro la tesi universalmente propugnata, che la fa scaturire dal “miracolo greco”[3]. Il mondo accademico ufficiale gli oppone una palese resistenza, la tesi viene respinta; riesce a ripresentarla e laurearsi nove anni dopo, nell’anno delle indipendenze africane, il 1960. “Qual era l’obiettivo di questo fisico e umanista senegalese? Far entrare l’Africa nella storia da cui era stata espulsa, ricollocarla nelle grandi narrazioni nelle quali veniva regolarmente dimenticata. Affermare che l’Antico Egitto affondasse le sue radici culturali, e non solo, nel mondo nero costituiva un tentativo di ciò che lo scrittore keniano Ngugi wa Thiong’o definisce “spostare il centro del mondo”. L’Egitto dei Faraoni era sempre stato considerato dalla storiografia europea una civiltà mediterranea e pertanto “nostra”, facente parte del nostro mondo. La sua collocazione africana sembrava essere un mero dato geografico, non culturale […] Cercò nella linguistica le prove della continuità tra la parlata dell’antico impero e le lingue africane della valle del Nilo, e addirittura tra l’egiziano antico e alcune lingue dell’Africa occidentale”[4]. Dimostrare o meglio riuscire ad affermare nel mondo accademico ufficiale questa tesi significava riabilitare le culture negro-africane e far uscire l’Africa dalla condizione di continente astorico in cui l’etnocentrismo europeo l’aveva relegata. L’impegno scientifico diventa impegno politico di altissimo livello e viceversa, i due campi si intrecciano e si fondono insieme, Diop non è un politico nel senso classico del termine e non deve raccogliere voti, la sua missione è la rinascita dell’Africa senza distinzioni statuali o di appartenenze etniche, la sua autorevolezza “politica” poggia sulla sua autorevolezza morale di uomo e di scienziato serio e rigoroso. Si rende tristemente conto che la regressione culturale degli africani, la perdita della memoria storica e la mancata conoscenza della grandezza della propria civiltà passata è talmente accentuata che le nuove generazioni, in lotta per la quotidiana sopravvivenza fra carestie, pandemie e guerre, l’hanno metabolizzata come una normale condizione alla pari dell’alternarsi delle stagioni secche con quelle umide. Diop, con il proprio poliedrico lavoro supportato costantemente da puntuali ed oggettivi riscontri scientifici, cerca di risvegliare da questo lungo sonno della memoria tutti i popoli africani. La storia africana non è quella raccontata dagli europei: “Il grande pubblico conosce in modo alquanto approssimativo la storia dell’Africa; la versione più diffusa è quella ispirata alla “teoria del buon selvaggio”, di derivazione illuminista. Lavori come i film di Hollywood, i manuali scolastici, i fumetti di Tin Tin, Tarzan, Zembla, Akim, ecc. sono il frutto di una lettura che rispecchia la versione coloniale della storia africana. Non si tratta di un discorso accademico che si propone di ricostruire la storia dell’Africa a partire da fonti attendibili, bensì di un discorso di tipo rappresentativo, basato sulle preoccupazioni e gli interessi del momento storico (nella fattispecie servire il disegno politico, economico e culturale dell’amministrazione coloniale). Un discorso accademico sulla storia dell’Africa, tuttavia, esiste. Dagli anni Sessanta, infatti, gli amministratori coloniali - gli unici che, fino ad allora, avevano scritto la storia africana - passarono il testimone ad alcuni accademici africani ed europei. Questi ultimi adottarono un metodo che corrisponde e soddisfa i criteri accademici in ambito storiografico, creando così una letteratura accademica sulla storia dell’Africa. Ciononostante, la letteratura accademica sulla storia africana ad oggi esistente presenta una dicotomia; essa si divide infatti in due scuole di pensiero opposte riguardo alla traiettoria storica dell’Africa: la visione di Hegel e quella di Cheikh Anta Diop”[5]. Il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel, avvalendosi della ricerca etnografica come metodo scientifico per studiare la cultura africana, sosteneva nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia che l’Africa era un continente astorico. La teoria del filosofo tedesco, che si basava sulla raccolta indiretta di dati riportati da missionari, esploratori ed altri attori che a vario titolo entravano in contatto con l’Africa, sviluppatasi agli inizi del XIX secolo, non solo ha influenzato in maniera decisiva la cultura ed il mondo accademico europeo ma ha fornito sul piano politico la giustificazione morale, la base ideologica per avviare una sistematica colonizzazione dell’Africa che con la Conferenza di Berlino (1884 - 1885) avrebbe toccato l’apice con la spartizione a tavolino del continente tra le potenze europee. All’opposto, Diop è convinto che per studiare le società bisogna conoscerne le lingue: “Per lavorare sull’antico Egitto, Cheikh Anta Diop ha dovuto apprendere a decifrare i geroglifici, e questo gli permetterà di scoprire che gli egizi si comportano come gli altri neri d’Africa e si considerano alla loro stregua”[6]. Le due teorie hanno dato vita a due distinte scuole di pensiero, quella definita dogmatica facente capo alla visione hegeliana e quella razionalista avente come riferimento la visione dell’intellettuale senegalese. “La letteratura prodotta da questa scuola conduce a una visione secondo cui il movimento della storia africana appare come movimento di piena storicità, non solo a livello delle istituzioni politiche, dell’organizzazione sociale ed economica e delle rappresentazioni religiose e filosofiche, ma anche delle opere tecniche e scientifiche”[7]. Diop, attraverso il concetto di regressione storica, fornisce una risposta anche alla teorizzazione da parte della scuola dogmatica del presunto ritardo storico degli africani rispetto al resto dell’umanità; un ritardo sia materiale che spirituale. Per Diop una civiltà urbana può ritornare (regredire) ad una civiltà rurale ed anche forestale a causa di più ragioni: perdita della propria indipendenza per un lungo periodo di tempo; perdita del controllo scolastico ed educativo o crollo della coesione nazionale. Il tessuto sociale, culturale e politico delle società africane del XIX e XX secolo è il risultato della violenza esercitata dagli Stati europei a partire dal XVI secolo. Una verità sul piano storico scientifico che non può essere mistificata come ritardo storico, offensivo per i milioni di morti che il colonialismo ha lasciato dietro di sé. È evidente che una simile visione della storia africana abbia dei risvolti di carattere politico in quanto va ad intaccare alle fondamenta i presupposti storici e culturali su cui per secoli si è fondata l’egemonia europea in Africa. Diop vuole che i propri studi escano dall’astratto ambito accademico e diventino patrimonio di tutti i giovani africani affinché i futuri leader possano mettere in atto politiche basate su un umanesimo africano, antidoto a modelli culturali imposti dall’esterno, in grado di superare conflitti etnici ed artificiose divisioni statuali. Negli studi e ricerche è affiancato e sostenuto dal Théophile Obenga, suo allievo nonché raffinato intellettuale panafricanista, storico, linguista e specialista in egittologia nero-africana, anche lui convinto assertore sul piano politico della unità continentale dell’Africa, della creazione di uno Stato federale panafricano con una lingua unica. “La vera fedeltà a quest’uomo di cultura che ci ha restituito la nostra memoria si traduce in tutto ciò che ci permetta di riattualizzare la sua fede nell’uomo africano e di ritrovare la sua potenza di lavoro e di ricerca, al fine di sottrarci al peggiore degli addomesticamenti, quello della mente. Il corso della storia può cambiare, se i popoli neri si riallacciano alla loro tradizione scientifica e tecnica che sta alla base delle civiltà antiche”[8].

Diop è morto nel 1986 lasciando alle nuove generazioni un immenso patrimonio culturale identitario su cui potranno gettare le basi per il Rinascimento dell’Africa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

Biribicchi Osvaldo, L’Africa a Sud del Sahara, Edizioni Archeoares, Viterbo, 2023.

do-Nascimento José, Storia del continente africano, una lettura razionale e sintetica, Verona, 2015.

Ela Jean-Marc, L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, 2012.

 

Sitografia

https://associazioneargogaudio.org/news/56-homo-naledi-e-cheikh-anta-diop-due-interrogativi

https://www.mondoemissione.it/cultura/lafrica-che-ha-combattuto-per-gli-europei/

http://www.cedad.unisalento.it/

https://pieromazzola.wordpress.com/2014/02/06/cheikh-anta-diop/

https://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2020/01/B@belonline-vol.-6-Incontro-con-la-filosofia-africana.pdf

https://www.youtube.com/watch?v=W822VOUuMPo (consultato il 19 giugno 2023)

https://www.youtube.com/watch?v=As1_bAmmovw (consultato il 19 giugno 2023)

 

 

 



[1] L’Africa Occidentale Francese era costituita da: Senegal (indipendente dall’11 settembre 1960), Mauritania, Sudan francese (attuale Mali), Costa d’Avorio, Dahomey (attuale Benin), Guinea francese (attuale Guinea), Niger e Alto Volta (attuale Burkina Faso).

[2] Jean-Marc Ela, L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, Emi, 2012, p. 39.

[3] Cheikh Anta Diop, Anteriorità delle civilizzazioni negre, «Rivista semestrale di Filosofia», Incontro con la filosofia africana, N. 6 - Anno 2009, p. 33, https://romatrepress. uniroma3.it/wp-content/uploads/2020/01/B@belonline-vol.-6-Incontro-con-lafilosofia-africana.pdf

[4] Jean-Marc Ela, op. cit., p. 14.

[5] José do-Nascimento, Storia del continente africano, una lettura razionale e sintetica, Verona, QuiEdit, 2015, pp. 21-22.

[6] Jean-Marc Ela, L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop, Bologna, Emi, 2012, p. 53.

[7] José do-Nascimento, op. cit., p. 25.

[8] Jean-Marc Ela, op. cit., p. 147.


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