GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE
di
Antonio
Trogu
28
agosto 2023
Il Kurdistan, da un punto di vista
geografico, è un altopiano vasto 450.000 km2, situato nella parte nord-est
della Mesopotamia e ricchissimo di materie prime, tra cui petrolio e risorse
idriche; per quanto concerne l’aspetto geopolitico, si tratta di una regione
altamente strategica e divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Tali
caratteristiche hanno posto e pongono tutt’ora il Kurdistan e i curdi
stessi al centro di conflitti domestici ed internazionali.
Il popolo curdo e’ un gruppo etnico di
30-50 milioni di persone che risiedono nella tradizionale area del Kurdistan,
che in lingua curda letteralmente significa “il luogo dei curdi’, diviso tra
quattro stati-nazione.
I curdi sono un gruppo tribale nomade
iraniano proveniente dal grande ceppo delle popolazioni indo-europee.
Accomunati da una lingua comune, i curdi sono a maggioranza musulmana sunnita
nonostante convivano anche altre correnti religiose: come il sufismo[1].
Sul piano confessionale, prima
dell’occupazione araba, i curdi praticavano la religione zoroastriana, sebbene
fossero presenti anche comunità ebraiche e cristiane. Attualmente la
maggioranza dei curdi professa l’Islam sunnita, tuttavia nella parte sud-est
della regione è l’Islam sciita la religione praticata; a tale divisione si
aggiunge un 5% di fede cristiana caldea.
Il Kurdistan come Stato non esiste non
essendoci una unità politico-amministarativa ma rimane una comunità di
individui che condivide la stessa lingua, storia e cultura e che si ritiene
comunque Nazione, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità
politica. Infatti a partire dalla fine degli anni Novanta, con il recupero
del patrimonio culturale immateriale curdo, e cresciuta l’idea stessa dei curdi
come popolo indigeno, quale elemento di mobilitazione politica da parte di
partiti e associazioni.
Già prima dell’inizio della Grande Guerra
le grandi potenze europee, con Gran Bretagna e Francia, avevano posto la
loro attenzione sul territorio del grande Kurdistan, proprio per la
sua posizione strategica e le sue ricchezze petrolifere. Nel
1916, con il celebre accordo Sykes-Picot,[2] che i ministri degli
Esteri inglese e francese divisero il Medio Oriente in base ai loro rispettivi
interessi, l’accordo ridefiniva confini e controllo dei territori dopo la
caduta dell’Impero Ottomano, a Londra spettarono Mesopotamia, Palestina e
Giordania, mentre Parigi ottenne la Siria e il Libano. Il piano Sykes-Picot
lasciava i curdi senza una propria nazione, divisi in un territorio frammentato
tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Al termine della Prima Guerra Mondiale i 14 punti di Wilson[3] e la promessa dell’autodeterminazione dei popoli
come principio fondamentale del nuovo ordine mondiale accesero le speranze indipendentiste curde. Vi fu poi
il trattato di Sèvres, l’accordo di pace firmato il 10 agosto del 1920 tra
Francia, Gran Bretagna, Italia, Grecia, Giappone e Impero Ottomano, nel quale
si parlava del diritto del popolo curdo all’indipendenza e
identificava come Stato nazionale dei curdi una regione all’interno del Kurdistan turco.
Quando nel
1923 Atarturk Mustafa Kemal[4] trionfò ottenendo per la Turchia l’indipendenza,
scacciando le potenze straniere e abolendo il Sultanato, firmò un nuovo
trattato di pace, il Trattato di Losanna, nel 1924.
La Pace di Losanna, il trattato
firmato tra Turchia e le potenze occidentali che concluse la guerra civile
turca ebbe lo scopo di disegnare un nuovo equilibrio tra i resti
dell’Impero Ottomano e l’Europa. Con questo trattato Ataturk riuscì a ottenere
la rimozione di qualsiasi riferimento al Kurdistan indipendente, delimitando i
confini della Turchia che ancora oggi conosciamo in cambio del riconoscimento
delle colonie occidentali nelle ex-province ottomane: Cipro e i giacimenti
petroliferi mesopotamici alla Gran Bretagna; Tripolitania, Cirenaica e
Dodecaneso all’Italia; Tunisia e Marocco alla Francia.
Il Trattato di Losanna infranse così le
speranze suscitate dal Trattato di Sèvres di un Kurdistan indipendente e
confermò la divisione della popolazione curda in quattro Paesi: Turchia, Siria,
Iraq e Iran e rappresentò ufficialmente la
pietra tombale sul progetto del Kurdistan indipendente. La maggior parte dei
territori curdi toccò alla Turchia, un’altra porzione alla Siria e le
regioni meridionali del Kurdistan al Regno dell’Iraq, creato da Londra con la
fusione dei due distretti ottomani di Bassora e Baghdad.
Divisa nei
quattro Stati di Turchia, Siria, Iraq e Iran, la popolazione curda conta ben
35.000 individui; essi rappresentano la quarta etnia del Medio Oriente, nonché
il popolo più numeroso al mondo a non avere un proprio Stato-nazione. Nel corso
della storia, i curdi sono stati oggetto di discriminazioni, persecuzioni ed
alleanze tradite, il che ne ha decretato la condizione attuale. Da
decenni i curdi inseguono il sogno di poter formare un unico Paese indipendente
e ciò ha creato contrasti, spesso violenti e sanguinosi, con i governi
delle nazioni che li "ospitano" e altre popolazioni con cui
condividono il territorio.
Sia in Iran che
nell'Iraq del dittatore Saddam Hussein, ad esempio, le popolazione curda
divenne il bersaglio di deportazioni, arresti, torture ed esecuzioni sommarie.
Anche in Turchia, dove i curdi sono più del 18% della popolazione, e in Siria questa etnia è stata a più riprese
colpita da provvedimenti duri e sanguinosi.
La rivoluzione del 1979 e l’ascesa al
potere dell’Ayatollah Khomeini sembrarono aprire nuove opportunità per il Partito Democratico del Kurdistan dell'Iran (KDPI)
e per il riconoscimento dei diritti delle minoranze in Iran. Infatti, il
partito curdo aveva giocato un ruolo considerevole nel rovesciamento del regime
dello scià. Ma per i curdi la rivoluzione sciita si rivelò essere amaramente un
nulla di fatto, tutto cambiò, perché nulla cambiasse davvero.
L’Ayatollah proclamò nell’agosto del 1979
la jihad contro i curdi. Seguirono esecuzioni sommarie e una
feroce oppressione. Il KDPI stima che siano state circa 30.000 – 35.000 le
vittime provocate dal conflitto con lo Stato iraniano.
Il KDPI, fondato dopo la Seconda Guerra
Mondiale, come parte dell’Associazione per la Resurrezione del Kurdistan, venne
liquidato dopo le repressioni del 1966-67me fu ripristinato dopo il 1973. Si
tratta del più grande e meglio organizzato dei gruppi di opposizione e cerca
l’autonomia per i curdi in Iran, operando soprattutto dalle sue basi in Iraq.
In Turchia Ocalan, che aveva iniziato la
sua attività politica negli anni sessanta, insieme ad un giovane giornalista Mazlum
Doğan e Mehmet Hayri Durmuş, uno studente di medicina curdo,
pubblica “La Rivoluzione in Kurdistan” che teorizzava la creazione di uno
Stato curdo che avrebbe dovuto riunire le quattro regioni del Kurdistan con
un apparato statale dotato di una struttura politica socialista. I tre
autori fanno inoltre riferimento alla lotta armata come strumento di
liberazione dalla Turchia definendo il Kurdistan una colonia da liberare.
Il 27
novembre 1978 fondano il Partito dei Lavoratori del
Kurdistan (PKK) attivo nel sud-est della Turchia e nella
zona del Kurdistan iracheno. Il PKK e’ considerato da diversi Stati come
un’organizzazione terroristica poiché pratica la lotta separatista armata
per tentare di fondare un Kurdistan indipendente. Il
1979 segna l’inizio della lotta armata del PKK contro il governo centrale turco
e in seguito crebbe in popolarità e nella ramificazione della propria struttura
politica e militare. La solida base marxista-leninista della sua dottrina
politica permise al PKK di partecipare alle azioni dei gruppi militanti di
estrema sinistra turchi.
Il PKK è attualmente considerata
un'organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti d'America e
dall'Unione europea.
In questi anni la linea ideologica del PKK
si è distaccata dal socialismo a tendenza marxista-leninista, prediligendo il
confederalismo democratico, tanto che dalla bandiera dell’organizzazione è
stato tolto il simbolo della falce ed il martello. Il PKK ha rivisto la propria
posizione, visto il mutamento storico e hanno rinunciato a battersi per
l’indipendenza del Kurdistan, portando avanti però la battaglia per il
riconoscimento di un’autonomia su tutto il territorio curdo.
Dal 1923 al 1990, la Turchia ha attuato
una politica ben definita nei riguardi dei curdi presenti sul territorio
nazionale, la quale si è incentrata su tre pilastri, ossia assimilazione,
repressione e contenimento con lo scopo di porre fine alla questione curda,
arrivando persino a negare l’esistenza dei curdi in quanto gruppo etnico.
In Turchia e zone limitrofe l'oppressione
nei confronti dei curdi si fece ancora più pesante in seguito al fallimento del
colpo di stato che cercò di deporre l'attuale presidente turco Recep
Tayyip Erdoğan. Ripreso in mano il
controllo infatti, Erdoğan - che da sempre è stato ostile al nazionalismo curdo
- chiuse giornali e attività curde in tutto il Paese, arrestando migliaia di
persone.
Durante la guerra siriana dove
allo scontro tra ribelli ed esercito del presidente Bashar al
Assad si è aggiunta anche la minaccia dell'ISIS,
i curdi siriani sono stati i più agguerriti oppositori dell'ISIS e le
violente battaglie, costate molto care in termini di morti e feriti, hanno portato i terroristi islamici
a dover arretrare di parecchi chilometri.
Nel 2003, nella parte
settentrionale del paese, da alcuni membri del PKK è stato fondato il PYD e le
milizie dell’YPG, braccio armato del PYD.
L’attivismo politico e militare del PYD è
emerso sulla scena internazionale a partire dalle primavere arabe del 2011, in
quanto il governo di Damasco non aveva le risorse necessarie per combattere
contemporaneamente i ribelli e i curdi, i quali, sfruttando l’assenza e
l’incapacità delle forze governative, hanno iniziato dal 2012 ad occupare
l’area settentrionale delle Siria, in cui ancora oggi è presente la minoranza
curda.
Il ruolo del PYD è divenuto significativo
nel 2014, con le milizie dell’YPG che sono state le prime a respingere
l’avanzata dell’ISIS, il che ha significato per il PYD l’appoggio statunitense
e la solidarietà da parte dell’intera comunità internazionale. Vi e’poi stata
la battaglia di Kobane che ha rappresentato un punto essenziale per la
questione curda in Siria, infatti la liberazione di Kobane nel febbraio del
2015 e la resistenza curda hanno designato il PYD come uno degli attori più
importanti nella lotta all’ISIS.
A seguito dell’invasione siriana da parte
dei miliziani dello Stato Islamico e la conseguente resistenza delle forze
curde di Unità di Protezione Popolare (YPG) e dell’Unità di Protezione delle
donne (YPJ) nella Siria del Nord, i media occidentali hanno dato grosso risalto
alle combattenti curde, in prima linea nella lotta al fondamentalismo islamico
del Daesh.
La porzione di territorio siriano liberata,
la Rovaja, è stata rivendicata dai leader curdi e nel gennaio 2014, i
partiti curdi – incluso il Partito democratico dell’Unione dominante (PYD), hanno dichiarato la creazione di
“amministrazioni autonome” nei tre “cantoni” di Afrin, Kobane e Jazira. Nel
marzo 2016 è stata annunciata l’istituzione di un “sistema federale”,
conosciuto come Rojava, che includeva principalmente aree arabe e turkmene
catturate dall’Isis. La dichiarazione è stata respinta dal governo siriano,
dall’opposizione siriana, dalla Turchia e dagli Stati Uniti.
Il Rojava è
uno stato, autoproclamatosi indipendente, che comprende i territori del Nord
Est della Siria. In lingua curda, la parola Rojava identifica il luogo dove
tramonta il sole: l’Ovest. Non essendo ufficialmente riconosciuto da nessuna
nazione, a parte il Kurdistan iracheno, nei documenti ufficiali ci si riferisce
a quest’area geografica come: Siria del Nord Est o Kurdistan dell’Ovest.
Al momento l’Amministrazione autonoma
della Siria del nord e dell’est è sotto intenso e crescente attacco
dell’artiglieria e dei droni turchi, con aerei da guerra che sorvolano
costantemente l’area. Dalla rielezione del presidente della
Repubblica di Turchia Erdogan, e la conferma del governo Akp-Mhp, si
assiste a un’escalation negli attacchi contro il Rojava, ma anche sulle
montagne del Kurdistan iracheno, contro la guerriglia del movimento di
liberazione curdo.
Nonostante
il brutale conflitto in corso, il Rojava curdo-siriano sta consapevolmente
sperimentando forme di democrazia diretta in grado di proporre a un Medio
Oriente martoriato un modello di società antagonista sia ai regimi dittatoriali
alla Assad sia ai regimi teocratici alla ISIS.
Rifacendosi
al confederalismo democratico elaborato dal leader curdo Abdullah Òcalan[5],
detenuto in un carcere turco dal 1999, la popolazione del Rojava ha iniziato ad
autogovernarsi attraverso una rete di assemblee e consigli in cui vengono
decisi aspetti cruciali della vita sociale come l'autodifesa militare e
l'amministrazione della giustizia. Questa visione non-statale
dell'organizzazione sociale, fortemente influenzata dal municipalismo
libertario di Murray Bookchin,[6] che teorizzava l’elaborazione di forme d’organizzazione che
permettano a una società ecologica razionale di funzionare con forme dirette di
decisione e governo, si rivela rivoluzionaria anche per il contributo
fondamentale delle donne, che partendo dalla critica della disparità uomo/donna
sono arrivate a identificare nello Stato il principio organizzatore da
abbattere. Si viene così a delineare una democrazia senza Stato del tutto
sperimentale.
Il progetto di democrazia confederalista ,
è nato a partire dalle rivolte contro il regime di Assad nel 2011. Sono stati i Curdi siriani ad animare questo
processo, condividendo con tutte le altre etnie che abitano il territorio la
necessità di autodeterminarsi e di unirsi in risposta all’oppressione prima, e
all’abbandono dopo, del regime di Assad. Si tratta di un processo di
attivazione democratica dal basso dove il potere politico, economico e
giudiziario sono decentralizzati, dove ogni carica istituzionale, dal livello
locale a quello provinciale, è presieduta sia da un uomo che da una donna.
Il Rojava, dopo essersi reso autonomo
durante la guerra civile siriana, ha approvato un Patto
costituzionale che comporta una scelta confederale all’interno della
Siria, libere elezioni, libertà di stampa e di associazione politica, laicità
delle istituzioni, uguaglianza per tutti i cittadini siano essi musulmani,
cristiani, yazidi o di altre minoranze. Soprattutto ha affermato l’assoluta
uguaglianza tra uomo e donna, superando le pratiche discriminatorie connaturate
alla cultura del medio oriente. Per
molti anni le donne all’interno del movimento di liberazione curdo hanno
lottato per stabilire la parità di genere come principio fondamentale
dell’ideologia del movimento.
In Rojava, attraverso
l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est (non riconosciuta
ufficialmente né dal governo siriano né da quello turco), i curdi hanno dato
vita ad un nuovo sistema di organizzazione della società che fonda le sue
radici sui principi del femminismo, dell’ecologia sociale e del municipalismo
libertario, che trascende lo stato e prende il nome di Confederalismo
Democratico.
Le donne curde turche del PKK sono state
le principali pioniere nella trasformazione del ruolo della donna nella sfera
sociale, politica e militare della società curda; ma tale trasformazione non si
verificò solo all’interno del confine curdo turco. Al contrario, i risultati
più notevoli in merito all’emancipazione femminile si ottennero in Rojava.
L’istituzione dello YPJ, esercito formato
di sole donne, ha contribuito anche in questo campo alla loro emancipazione, in
istituzioni come quelle militari fortemente patriarcali. L’accesso nelle unità
di protezione su base volontaria ha portato molte donne ad arruolarsi nello
YPJ, così come accaduto con il PKK, per liberarsi dai legami patriarcali ed
ottenere il controllo della propria vita. La scelta di una forza militare
separata e coordinata da sole donne, infatti, si rese necessaria in quanto la
presenza di uomini nella stessa organizzazione, in una società dove il
patriarcato non è stato sradicato, avrebbe potuto ostacolare il pieno
potenziale delle donne. Lo YPJ quindi può essere vista come un’organizzazione a
360 gradi che, oltre ad occuparsi della difesa territoriale interna ed esterna,
combatte direttamente per i diritti delle donne.
E’ interessante quanto dichiarato dalla
comandante curda Nesrîn Abdalla:
«Fino ad ora, gli eserciti erano
creati esclusivamente da uomini con un approccio patriarcale, infatti avevano
solo due compiti: difendere e vincere. Ma noi siamo un esercito di donne… lo
facciamo non solo per proteggerci, ma anche per cambiare il modo di pensare
nell’esercito, non solo per guadagnare potere, ma per cambiare la società, per
svilupparla».
Pur essendo i curdi un popolo fortemente eterogeneo,
incentrano la loro identità tutta sul fattore etnico. L’aspetto peculiare della popolazione curda
concerne una storia caratterizzata da repressioni, discriminazioni e continue
lotte, le quali non hanno tuttavia portato alla nascita del Kurdistan, ossia la
tanto attesa e desiderata patria dei curdi.
Quella del popolo curdo è una lotta su più
fronti per l’autodeterminazione, l’autonomia e il riconoscimento della propria
identità e dei diritti civili e politici, tuttora negati all’interno dei
quattro Stati in cui è costretto a vivere.
[1]
Il sufismo nell’islam e’ una dottrina
e disciplina di perfezionamento spirituale. Si presenta come un
insieme di metodi e dottrine che tendono all’approfondimento interiore dei dati
religiosi, per preservare la comunità dal rischio di un irrigidimento
della fede e di un letteralismo arido e legalistico.
[2]
Intesa segreta fra
l’Inghilterra, rappresentata da M. Sykes (1879-1918), e la Francia,
rappresentata da F. Georges-Picot (1870-1951), con l’assenso della Russia
zarista, per decidere le rispettive sfere d’influenza e di controllo in Medio
Oriente, dopo il crollo ritenuto imminente dell’impero ottomano
[3]
Nome dato ad
un discorso pronunciato dal presidente Woodrow Wilson l'8 gennaio 1918 davanti
al Congresso riunito in sessione congiunta e contenente i propositi di Wilson
stesso in merito all'ordine mondiale seguente la prima guerra mondiale
[4] Generale
e statista turco dopo la fine della prima guerra mondiale
organizzò la lotta per l'indipendenza e l'unità nazionale della Turchia.
Respinta l'invasione greca (1920-22), diede il via a una serie di
rivoluzionarie riforme costituzionali, quali l'abolizione del sultanato
ottomano, del califfato e del diritto canonico islamico, la proclamazione della
repubblica, la laicizzazione dello Stato.
[5]
leader e fondatore del Partito
dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Dal 1999 è stato arrestato e condannato a
morte dallo stato turco con una pena commutata in ergastolo, ed è tenuto in
totale isolamento sull’isola di İmralı, dove per quasi undici anni è stato
l’unico prigioniero.
[6]
Murray
Bookchin, nato a New York il 14 gennaio 1921, viene considerato uno dei
pensatori anarchici contemporanei più originali e innovativi, in grado di
ispirare profondamente pensatori come Abdullah Öcalan, uno dei fondatori del
partito dei lavoratori Curdi (PKK).
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