APPROFONDIMENTI
Sono trascorsi novant’anni dalla
pubblicazione de “Crociata contro il Graal” scritto nel 1933 da Otto Rahn, uno
storico specializzato in storia medievale e poi ufficiale delle SS nella
Germania degli anni Trenta. Ancora una volta tornava alla ribalta il mito del
Graal, nato da leggende medievali e reso celebre da noti testi. Anche lo
storico Rahn aveva approfondito i trovatori provenzali, perdendosi in
Occitania, tra Catari e fortezze, fino a quando deciderà di esplorare Parigi,
giungendo alla fortezza di Montségur e in caverne nella zona dei Pirenei per
studiarne i graffiti, individuandone alcuni rappresentanti calici che potevano
rimandare al famoso Graal perduto, da quando era stato nascosto per impedirne
l’uso o la distruzione.
Nel Vangelo di Matteo si legge di Gesù
che, durante l’ultima cena prima di essere arrestato e poi condannato a morte
per crocifissione, prende una coppa di vino e recita preghiere, come riporta
anche l’apostolo Luca, mentre Giovanni non ne accenna affatto. Il calice torna
ad essere citato invece da Paolo di Tarso, in una lettera ai Corinzi, ma ancora
nei primi decenni del cristianesimo non si sa nulla del bicchiere o della coppa
che Gesù avrebbe usato durante la sua ultima cena con gli apostoli. Del resto
non sono noti altri oggetti o reliquie che possano essere messi in relazione
con la sua vita e di cui sappiamo soltanto attraverso le sacre scritture. La
distruzione di Gerusalemme del 70 ad opera delle legioni di Tito, aveva anche
fatto perdere le tracce dei luoghi santi nei quali aveva vissuto i suoi ultimi
giorni e non aveva aiutato nemmeno la distruzione del 135 per stroncare la
rivolta ebraica: soltanto il Muro del Pianto, del tempio costruito da Erode,
restava nella sua collocazione originale, a ricordare la storia passata. Sarà
con il riconoscimento del cristianesimo come religione dell’impero romano che
alcuni personaggi cominceranno ad interessarsi degli avvenimenti della vita di
Cristo e cercheranno di trovarvi riferimenti in Terra Santa, soprattutto grazie
alla mamma dell’imperatore Costantino, Elena, divenuta poi santa. Sarà lei,
infatti, ad ordinare degli scavi affinché si portassero alla luce i luoghi
della passione di Gesù. Verranno allora trovati i chiodi e la croce, la corona
di spine, la lancia con la quale gli era stato ferito il costato quando era
agonizzante in croce, la spugna con la quale gli si era dato qualcosa da bere e
poi il Santo Sepolcro, luogo sul quale venne fatta edificare una basilica.
Eusebio di Cesarea scrisse quindi la “Storia ecclesiastica”, sempre per volere
di Elena che così metteva le basi per la storia del cristianesimo. Il calice
venne visto da alcuni pellegrini in una nicchia della basilica del Santo
Sepolcro nel IV secolo, ma poi se ne persero le tracce, che forse nessuno
cercava. Infatti, trascorsero circa ottocento anni prima che il calice della
passione tornasse a fare parlare di sé grazie ad una serie di leggende che
identificarono il calice usato da Cristo con il Santo Graal degli antichi miti
celtici. Verso il 1135, Goffredo di Monmouth scrisse la “Storia dei re di
Britannia” in cui ricostruì la storia di Artù, già apparso nella “Storia dei
bretoni” di Nennio nel IX secolo. Nel 1155, Robert Wace al servizio di Eleonora
d’Aquitania, regina di Francia e poi regina d’Inghilterra, scrisse “Roman de
Brut”, basato sul testo di Monmouth: appare di nuovo il re Artù che conquista
il trono grazie alla spada Excalibur e che fonderà i Cavalieri della Tavola
Rotonda. La vivacità della corte d’Aquitania fece sì che numerosi scrittori e
trovatori potessero attingere a quelle storie, vivacizzandole a loro volta e
portandole in giro per il mondo. Tra questi, Chrétien de Troyes scrisse
numerosi romanzi tra i quali “Perceval, o il racconto del Graal”, così come
Maria di Francia produsse molti lais su Artù e il santo Graal. Il ciclo
arturiano divenne così famoso che nel 1191 venne scoperta la tomba di Artù
nell’abbazia inglese di Glastonbury. Sarà il poeta Robert de Boron a fare
diventare quella di Artù una leggenda cristiana nella quale compariva Giuseppe
d’Arimatea che, oltre ad essere il proprietario della tomba dove venne deposto
il corpo di Gesù una volta tolto dalla croce, aveva anche portato il calice
dell’ultima cena in Inghilterra: siamo verso il 1200 e il calice già era identificato
con il Graal. Nel calice Giuseppe stesso aveva raccolto alcune gocce di sangue
di Cristo. Verso il 1210 Wolfram von Eschenbach, probabilmente un cavaliere
templare, scrisse “Parzival”, romanzo che raccontava le gesta di un cavaliere
della Tavola Rotonda poi incoronato come sovrano nel castello del Graal. Ecco
che nel 1220 tutti i tasselli della storia del re di Britannia Artù erano
completi. Esisteva l’isola di Avalon, il re e i suoi cavalieri risiedevano a
Camelot, la spada Excalibur, la Tavola Rotonda attorno alla quale si riuniscono
dodici cavalieri e il re Artù, a ricordo dell’Ultima Cena. Poi c’è il Santo
Graal, la moglie di Artù Ginevra, Lancillotto e Perceval. Tutti i luoghi, i
fatti e i personaggi del ciclo arturiano sono inventati, ma rimandano a
personaggi reali come Giuseppe d’Arimatea, Artù, Alfonso I d’Aragona che pare
abbia ispirato il Re Pescatore, nel trascorrere dei secoli. Nei decenni
seguenti i cavalieri ebbero l’importante compito di ritrovare il Graal in una
sorta di pellegrinaggio alla ricerca di se stessi, del proprio ruolo nel mondo
e della propria fede. Allora diventa una missione collettiva ricercare il
calice perduto, resistendo alle lusinghe materiali e carnali che diventano una
prova selettiva che designerà il migliore come vincitore: egli sarà degno di
avere il Graal perché, come Gesù, aveva resistito alle tentazioni del demonio.
I posti alla Tavola Rotonda sono tredici e il mago Merlino aveva lasciato il
tredicesimo posto proprio a colui che avrebbe trovato il calice sacro: sarebbe
stato l’incarnazione di tutte le virtù cristiane perché, se si sedeva a quel
posto chi non ne era degno, sarebbe stato colpito dalle peggiori sciagure. Quel
cavaliere doveva essere forte come Lancillotto, coraggioso come Artù, ma doveva
anche essere puro di cuore. Uno di questi sarà Perceval che raggiungerà il
castello del Graal del Re Pescatore, ma non sarà abbastanza puro di cuore per
afferrare il calice. Arriverà poi Gawain, nipote di Artù, e Lancillotto che
sembrava la persona adatta per ricevere il calice, ma la passione amorosa
l’aveva tradito, così come lui aveva tradito il suo re. Sarà suo figlio
Galahad, nato dall’inganno di Elaine che fingerà di essere Ginevra, a prendere
il posto del Re Pescatore, ad avere il Graal e a dimostrarsene degno perché era
stato capace, come Gesù, di resistere a qualsiasi tentazione. Lui era il
cavaliere perfetto, libero dal peccato, l’eletto, come aveva predetto Merlino.
Alla vicenda secolare del Graal si era
appassionato anche Heinrich Himmler, non soltanto interessato all’occulto come
Hitler, ma collezionista di oggetti preziosi e particolari. Per quel motivo
metterà Otto Rahn in un ufficio di ricerca dell’Ahnenerbe e poi lo fece entrare
nelle SS con le quali parteciperà alla ricerca in Islanda delle caverne
testimoni del culto di Odino e di Thor. Nel 1937 Rahn dà alle stampe “La Corte
di Lucifero” commissionatogli da Himmler e forse scritto controvoglia, con
contenuti forse rimaneggiati dai censori nazisti e non è certo se con
l’autorizzazione dell’autore stesso. Il libro metteva insieme anni di ricerche,
mentre nuvole nere si addensavano sullo stesso Rahn per via della sua
omosessualità e, forse, per origini ebraiche, caratterizzato dalla scarsa
disciplina militare e dedito all’abuso di alcol che lo faranno internare a
Dachau e poi a Buchenwald. Nel 1938 Otto si dimise dalle SS e infine il suo
cadavere verrà rinvenuto nell’aprile del 1939, forse morto per ipotermia o
forse per abuso di sonniferi, anche se intorno alla sua morte si chiacchierò
molto.
In ogni caso non si spegneva l’interesse
mistico già della Thule-Geselleschaft, una società fondata nel 1910 e che già
basava le proprie teorie sull’antisemitismo, la purezza della razza ariana, la
ricerca della realizzazione dei miti germanici che avrebbero portato la
Germania al ruolo dominante che gli adepti della società pensavano le spettasse
per la sua superiorità razziale. Sarà del 1913, poi, la nascita della teoria
del Ghiaccio Cosmico, secondo la quale cataclismi e cambiamenti della forza di
gravità del pianeta Terra avrebbero portato alla nascita di giganti e
all’inabissamento di tre continenti, quali Atlantide, Lemuria e Mu. I
discendenti dei cittadini di Atlantide scampati al cataclisma sarebbero gli
iperborei di Thule (mitica isola forse tra le Orcadi rimasta salva e descritta
nel 325 a.C. da Pitea di Marsiglia) da cui deriverebbero i popoli germanici, e
alcune vette di Atlantide rimaste visibili sarebbero le Canarie, le Azzorre,
l’isola di Sant’Elena, oltre all’altopiano della Groenlandia, Islanda e Terranova.
Nel 1933 James Hilton darà alle stampe “Orizzonte perduto” in cui ci sono
ancora vari riferimenti a questa storia. I concetti della Thule-Gesellschaft
erano condivisi con la Società Teosofica tedesca, oltre che da altri circoli
britannici, e molti miti fondanti delle società entreranno a far parte del
programma politico di Hitler. L’isola di Thule verrà assunta come patria mitica
degli ariani che spiegheranno così l’origine della loro razza, pescando tra i
miti classici tramandati tra epica e leggenda, insistendo sulla caratteristica
della superiorità razziale. Vennero pertanto travisati molti scritti
greco-romani e gli stessi dialoghi platonici, così come il mito della Thule
stesso, cercando di dimostrare che i popoli latini fossero appartenenti alla
superiore razza germanica il cui primo insediamento era stato in Val Camonica,
in Italia. Le speculazioni si allargano anche al manoscritto in frisone antico
che racconta l’epopea dei Frisoni dal 2194 a.C. fino all’803 d.C., indugiando
soprattutto sul passato mitologico e religioso delle tribù germaniche. Il testo
venne tradotto in tedesco nel 1933 e venne sposato sempre da Himmler, cultore
della Thule come origine della popolazione di semidei e superuomini che,
equiparati ai giganti, con la pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli
biondi, costituivano il più alto esempio di razza e di razza ariana. Su questo
si basava il mito della grande Germania, che soltanto fondando il proprio credo
di costruzione di una società giusta e saggia, unica e dominatrice su storie
lontane, poteva dimostrare di essere erede e guida di una rivoluzione che era
scritta nella notte dei tempi. Molti gerarchi nazisti tra i quali Rudolf Hess e
Himmler stesso, erano affiliati delle società mistiche, la Thule compresa, e si
spesero per la ricerca dell’eredità ancestrale. Hitler sarà l’uomo deputato a
riportare in auge gli antichi miti, coadiuvato dai suoi collaboratori. Ecco
allora che la sede iniziatica delle SS venne posta da Himmler nel castello di
Wewelsburg, in Vestfalia, dove i giovani scelti mantenevano rituali propri dei
Cavalieri della Tavola Rotonda e poi dei Cavalieri teutonici ai quali si
riferivano, adattando storie a proprio vantaggio. Basilare sarà anche la
divinità germanica precristiana Wotan, Odino, al quale sembra che Hitler stesso
fosse votato, soprattutto dopo un risveglio religioso probabilmente avuto dopo
una battaglia della prima guerra mondiale, alla quale aveva partecipato, e per
aver seguito il consiglio mistico di lasciare l’ospedale dov’era ricoverato poco
prima che venisse colpito da una granata, giustificando in questo modo la sua
missione come scritta nei tempi. Tutto il misticismo verrà affidato alle SS dal
1933, anno che già era stato predetto come momento di grandezza per il partito
nazista: sarà infatti l’anno in cui Hitler si insedierà come cancelliere della
Germania. Saranno molti i simboli e i gesti che i nazisti utilizzeranno
mediandoli dai miti antichi, compreso l’uso della croce uncinata, simbolo del
dio nascente presente nelle prime comunità cristiane, ma anche simbolo
originario della società Thule-Gesellscehaft. Per ricercare l’insegnamento
dell’eredità ancestrale, venne fondata nel 1935 da Heinrich Himmler con Wirth e
Darré, la Ahnenerbe che non solo condusse ricerche e studi come quelli relativi
al sacro Graal, ma si occupò di creare una storia basata sulla superiorità
della razza tedesca. Hitler volle la Heilige Lanze che la tradizione vuole
fosse quella adoperata dal centurione Longino per trafiggere il costato di
Cristo sulla croce, così come appoggiò la ricerca del Sacro Graal. Nel 1944 le
SS misero a ferro e fuoco un paese francese colpevole, a loro dire, di avere
occultato la sacra reliquia che doveva essere recuperata per il Terzo Reich.
Alessia
Biasiolo
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