APPROFONDIMENTI
P
A V L O G R A D
La sosta a Korsuni, realmente utile
per la riorganizzazione dei reparti e per il riposo degli uomini, non fu
tuttavia molto gradita. Le notizie che trapelavano sempre più insistenti
indicavano una situazione generale molto critica e tale da poterci coinvolgere
in nuove difficili situazioni. Il veder partire verso la salvezza tutti gli
altri reparti aumentò notevolmente le nostre ansie per cui anche quando per noi
giunse l'ordine di partenza fu per tutti un grande sollievo. Non ci preoccupò
molto il compito di protezione del Movimento delle Unità che ci precedevano,
ritenendoci ancora in ambiente di relativa sicurezza. Il 6 febbraio, attardati
da una fitta nevicata, giungemmo a Pavlograd.
I
giorni che seguirono furono caratterizzati da una situazione molto incerta per
le notizie sempre più allarmanti sull'offensiva russa che tendeva a raggiungere
il Dnieper per tagliare la ritirata alle truppe che affannosamente cercavano la
salvezza al di là del fiume dove i tedeschi contavano di arrestare
definitivamente la loro avanzata.
Verso
il giorno 9 febbraio, ricevuto l'ordine di schierarsi a caposaldo,
comprendemmo, con ben poco entusiasmo, che le nostre pene non erano ancora finite.
Alla
mia 3° Cp. rinforzata da un plotone mitraglieri venne assegnato un compito
molto impegnativo: la difesa dell'unico ponte di Pavlograd sul fiume Voleja. I
giorni che seguirono, almeno per noi, furono piuttosto tranquilli e li
utilizzammo nell'apprestare difese passive (per la verità poco consistenti) e
curare le armi. Fu il periodo di
maggior lavoro per
le pattuglie, montate di solito su motocarrelli, che si spingevano
per vari chilometri tutto intorno alla cittadina alla ricerca del nemico che non
si fece attendere molto. Le notizie non erano davvero molte; sapevamo che
dovevamo resistere sino al giorno 20 febbraio per dar modo alla sistemazione
difensiva tedesca sul Dnieper di completarsi e ricevere, due divisioni
corazzate urgentemente ritirate dalla Francia. Sempre più frequenti si udivano
le sparatorie alla periferia est del paese e si parlava di ammutinamento di un
reparto collaboratore costituito dai russi, ma presto domato.
Ci
fu di gran conforto il g. 11 l'arrivo di 7 carri tigre ed alcuni cannoni da 88
provenienti da Dniepopetrowsk ed
assegnati specificatamente al caposaldo. I giorni che seguirono furono
caratterizzati da scontri sempre più frequenti alla periferia dell’abitato ed.
ormai il g. 15-16 febbraio ce li sentivamo addosso. L'attacco definitivo
cominciò poco prima dell'alba del 17. Dalla mia posizione, non ancora
impegnata, ascoltavo con ansia il furioso cannoneggiamento e l'incessante fuoco
delle mitragliatrici sui due fronti alternarsi a brevi pause. Ancora più
violento si riaccese il combattimento
alla luce di un vivido mattino e
Pavlograd venne investita, quasi perimetralmente, da truppe russe
corazzate, artiglieria e la solita massa urlante di fanteria. Compresi che
l’andamento del combattimento volgeva a nostro sfavore quando vidi passare sul
ponte numerosi automezzi semivuoti. Non ebbi però molto tempo per meditare su
questi pensieri perché il combattimento si fece ancora più caotico e cruento.
La città era un inferno; fumo e fiamme sprigionavano dalle case colpite dall'artiglieria
russa e la lotta si accese, per me inspiegabilmente, anche fra di esse.
Verso
le 9.30 anche la 3a Cp. fu coinvolta direttamente nel combattimento. Sulla destra del ponte vidi avanzare, passando tranquillamente
sulla crosta ghiacciata del Valoya, una massa di fanteria nemica tendente ad
accerchiare il ponte stesso. Il nutrito fuoco
delle nostre mitragliatrici, agevolato da un campo di tiro del tutto
scoperto, provocando forti perdite tra le loro file costrinse il nemico ad
arrestarsi prima, quindi a ripiegare a distanza di sicurezza ed infine a riprendere il suo aggiramento molto
a più a ampio raggio.
Senza
tema di smentite credo che questo abbia salvato i difensori di Pavlograd. Di lì
a poco vedemmo infatti ripiegare sul ponte, tutti frammischiati, reparti
italiani e tedeschi su camion stracolmi
e parte a piedi. Intanto si era completato l'aggiramento della fanteria russa
che si era portata a meno di 300 mt. alle nostre spalle e che ci investiva con
un fuoco micidiale. Fu un momento veramente critico perché i miei meravigliosi
bersaglieri, pur restando inchiodati alle loro armi, cominciavano a perdere
terreno. Vidi infine, sotto un infuriare di fuoco nemico passare i carri armati
tedeschi, gli 88 ed infine, tra gli ultimi, gli automezzi del Comando.
Non potendo fare altrimenti la 3a
Cp. del VI°, sotto l'infuriare delle mitragliatrici ripiegò di corsa sulla
pista per Dnjepopetrowsk lasciando sul campo numerosi camerati. Non fummo
inseguiti dai russi, forse paghi
dalla conquista della città, e potemmo raggiungere, quando ormai disperavamo di farcela, la colonna. Il
resto non ha più storia e non mi dilungo (vedi bersaglieri sul Don).
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Non c'è dubbio che la difesa di
Pavlograd sia stata una fra le più gloriose
imprese compiute dai bersaglieri del 6° Rgt., devo tuttavia dire che la pagammo
forse ad un prezzo troppo elevato.
Pur riconoscendo a Carloni tutti i
meriti già detti in precedenza come Comandante, come tattico, come combattente
è mia opinione e non del tutto personale, che a trascinarci in quest'ultima
sublime impresa sia stato indotto da alcuni fattori personali che posso
comprendere ma non del tutto giustificare.
Aveva nel cuore la memoria del suo
eroico figlio che certo lo induceva alla vendetta, all'emulazione e forse alla
ricerca di una morte altrettanto eroica. Questi sentimenti e le sue innate
qualità ne fecero, tra noi, un uomo leggendario cui certamente dobbiamo il
merito insieme ad altre migliaia di soldati di essere ritornati alle nostre
famiglie.
L'interrogativo che tuttavia i
reduci si posero e si pongono nei loro incontri, anche se fieri dell'impresa
compiuta, rimane ancora: era davvero necessaria una Pavlograd?
In questa esaltante fase di guerra
chi veramente merita tutti i più elevati aggettivi qualificativi sono i
bersaglieri. Per la maggior parte veterani di cento battaglie, non sollecitati
da nessuna ambizione, non spinti da sentimenti personali combatterono e posso
ben dire eroicamente, solo per forza morale, per senso del dovere, per
abnegazione e amoroso rispetto dei loro ufficiali, per fanatismo di corpo e per amore verso la loro Bandiera cui
regalarono ben due Medaglie d'Oro. Dinanzi a loro mi inchino umile e li
ringrazio con profonda commozione.
Diario
del generale
Salvatore
Vices Vinci
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