APPROFONDIMENTI
La
sera del 16 dicembre 1942 sì ebbero le prime avvisaglie dell’offensiva russa
che avrebbe coinvolto il fronte del 6° Bersaglieri schierato sul Don, alla
confluenza del Tichaja con il Don.
Avevamo
occupato le posizioni che ci erano state assegnate con ben poco entusiasmo
perché tutti si aspettavano (era notizia diffusa di radio Gavetta) un prossimo
avvicendamento delle truppe che avevano sostenuto le durezza dell'inverno del
41-42 e tutta la durissima ininterrotta campagna estiva. I bersaglieri del 6°
Rgt. erano tuttavia tranquilli, in particolare i veterani che avevano già
provato la situazione di una guerra difensiva nel gelido ambiente invernale
russo. Ci schierammo dunque il 25-26 Novembre con il VI Btg. a sud ad occupare
la Valle del Tichaja ed il XIII a destra su piccole alture dominanti il Don. Il
XIX Btg. era in riserva presso il comando del 6° Rgt.
Le
posizioni occupate dal VI Btg. erano certamente le più infelici perché
correvano lungo 6-7 km, sul margine destro del Don, in zona per gran parte
fittamente boschiva, che impediva non solo il collegamento a vista tra le
compagnie ma anche fra le varie postazioni. Personalmente, Lasciando da parte
il comando della IV
Cp. AA. assunsi quello della 131
Cp. in sostituzione del Com.te rientrato in patria. Non era difficile rendersi
conto della precarietà della situazione: le squadre erano isolate una
dall'altra e mancava quasi del tutto la sovrapposizione dei fuochi per cui le
infiltrazioni delle pattuglie nemiche erano facili, specialmente di notte,
tant'è che furono frequenti e ci costarono anche la perdita di qualche uomo
fatto prigioniero. Per le armi, per quanto ora riconosca inadeguate, (almeno a
livello arti. e specialmente carri armati) non detti eccessivo peso; erano
quelle cui eravamo abituati e con le quali combattevamo con successo già da un
anno. Nei bersaglieri non ravvisavo nessun segno di timore anche se gli
anziani, che facevano un po' i bulli, nei confronti dei complementi recentemente
giunti dall'Italia, cominciavano a domandarsi quando saremmo finalmente
rimpatriati. Erano comunque fortemente alla mano degli ufficiali e
sottufficiali con i quali mugugnavano non poco, ma per i quali nutrivano
affetto e fiducia incondizionata. Per loro non rappresentavo un'incognita; mi
conoscevano tutti per aver comandato, dall'inizio delle operazioni, la 1a
e la 4a Cp. e avendo avuto, specialmente in quest'ultimo incarico,
l'occasione di frequentare le Cp. fucilieri ispezionando i miei pl. distaccati
a questi reparti. Non c'era da lamentarsi eccessivamente neppure
nell’equipaggiamento certamente migliorato rispetto all'inverno precedente ma
certo deficitario per quanto riguarda scarpe e calze. Su questo punto, per
amore di verità, devo dire che i pareri postumi sono esageratamente
generalizzati un po' per autocommiserazione per quelli che furono i tragici
avvenimenti successivi ed anche per mancanza di possibilità di comparazione dei
freschi complementi giunti dall'Italia a contatto con una realtà ambientale di
per se stessa tra le più difficili, aggravata da una situazione bellica che
mise le truppe sulla steppa innevata, gelida e sterminata in condizioni
tragiche per la sopravvivenza, anche senza l’attacco continuo dei russi.
Ma
torniamo alla sera del 16 Dicembre 1942. Tutti erano tappati nei fumosi ma
caldi bunker, quando le scolte avvertirono i loro ufficiali che si udiva in
lontananza un rumore insolito di motori. Fummo subito fuori e li sentimmo
sempre più distinti. Più sorpreso che preoccupato avvertii il Com.te del VI
Btg. Cap. Riccardo Grotti e da quel momento i telefoni da campo (unico
collegamento dei reparti in linea) ebbero una frenetica attività. Noi Com.ti di
Cp. del VI Btg. del tutto ignari di quanto succedeva sul resto del fronte eravamo
seriamente preoccupati rendendoci conto che un attacco nemico, anche se locale
ed episodico, non poteva che essere sferrato sul fronte del n/s Btg. Questo
perché sia il XIII Btg. del 6° che il 131 Btg. rispettivamente a D. e S. del
nostro schieramento erano sistemati a
difesa su dei pianori quasi a picco, almeno 50 m. sul Don con ottimi campi di
vista e di tiro. Quanto abbiamo invidiato noi del 6° quelle posizioni che
permettevano tranquillità e sicurezza durante la guerra di posizione che
prevedevamo avremmo dovuto sopportare
sino a primavera! Non sapevamo del trabocchetto che riservavano ai
nostri ignari fratelli! ·
Per
tutta la notte ascoltammo quei motori e la nostra ansia aumentava perché
capivamo che non era un semplice avvicendamento di truppe ma la preparazione di
un vero attacco in forza. Accorsero in linea il Com.te del VI Btg. Cap.
Riccardo Grotti, tranquillo come sempre, ed il Com.te del Rgt. Col. Carloni,
imperscrutabile nel suo volto grifagno e mi parvero rassicurati
dall’atteggiamento calmo degli uomini che provavano il funzionamento delle armi tenendole lubrificate e calde per
l'uso, con le cassette di munizioni già in sito. Noi per parte nostra ci
sentimmo rincuorati sentendoci meno soli nel buio ed attendemmo lo sviluppo
degli eventi.
Verso
le quattro ci sentimmo di fronte, di là dei 100 metri del Don, rumorosi,
sicuri…! Attaccarono all'alba alla maniera russa, imponente massa di uomini
coperta dal tiro dei mortai e da un fuoco infernale di mitra. Corsi al telefono
e annunciai al Com.te di Btg. l'avanzare del nemico chiedendo
contemporaneamente l'intervento dell'artiglieria e dei mortai sul letto
ghiacciato del Don. Tornato in linea mi accorsi che la situazione era
disperata. Malgrado la nostra furiosa reazione di fuoco che mieteva decine e
decine di vittime i russi avanzavano rimpiazzando i caduti imperterriti con
sempre nuovi soldati tanto che ci sembravano infiniti. Ad un certo punto fu un
pandemonio! Tuonarono i cannoni ed i mortai nostri, loro, su tutta la valle del
Tichaja coprendo ogni cosa di fumo e di fiamme e di quell’acre eccitante odore
di polvere da sparo che combattenti ben conoscono.
Compresi
che la resistenza era impossibile e di nuovo mi precipitai nel bunker per
comunicare al Com.te di Battaglione che eravamo costretti a ritirarci e chiesi
il fuoco di repressione dell'artiglieria. in quella fui raggiunto da un
bersagliere che dall'alto dell'ingresso mi urlò: ”I russi ...i russi.” Chiamai
al telefono i miei com.ti di plotone e ordinai concitatamente di ripiegare
combattendo sulle alture alle nostre spalle. Mi precipitai fuori del bunker
com’ero, senza cappotto e fui subito investito dal fuoco nemico ormai giunto al
margine del bosco. Disperatamente dispersi come eravamo ingaggiammo un
combattimento episodico tra gli alberi riuscendo a frenare i russi insicuri
sulle nostre forze e infine per gruppi cercammo di guadagnare le alture
retrostanti dove sapevamo essere approntate delle nuove strutture difensive
(tronconi di trincea all'aperto). Le raggiungemmo alfine verso le nove ed
ancora sfiniti piazzammo le armi, un po' alla rinfusa, senza contarci,
preoccupati solo di prepararci alla difesa della nuova posizione che ci parve
quasi sicura così dominante tutta la pianura. Fummo rincuorati vedendo sulla
nostra destra venire avanti nella valle del Tichaja e contrattaccare, il XIX
Btg. bersaglieri del 6° che sapevo in riserva, mentre noi avevamo arrestato
l'attacco sulla nostra fronte. Pensai che sarebbero riusciti a cacciare il
nemico al di là del Don, ma il loro impeto, dapprima travolgente, si esaurì di
fronte a una nuova ondata di forza di un secondo scaglione. Furono arrestati e
poi costretti lentamente a retrocedere. La 131 Cp. nel frattempo era seriamente
impegnata, certo nell'intento di scardinare la spalla difensiva S dello
schieramento ma riuscimmo ad arginare l'attacco sin quasi alle 12 quando
improvvisamente sulle nostre posizioni ebbe inizio l'aggiustamento dei mortai e
dell'artiglieria nemica e successivamente un concentramento combinato di fuoco
di queste armi che rese impossibile il mantenimento della posizione. Ci
ritirammo quindi di qualche centinaia di metri, sganciando per prime le Breda,
con sufficiente ordine. A questo punto ci raggiunse, spuntando non so da dove,
un Col. dei Bersaglieri (seppi dopo trattarsi del Col. Longo) che mi ordinò di
resistere in posto per dargli il tempo di schierare i suoi reparti a protezione
del fianco D. del 3° Bersaglieri e poi di ripiegare sul comando del 6°
Bersaglieri. Assolto l'incarico mentre con la Cp. cercavo di riprendere contatto
con il Com.te del VI° o del Rgt. (ero assolutamente privo di collegamenti non
avendo a livello di Cp. nessun tipo di radio) accadde un episodio che mi lasciò
sbalordito. Vidi arrivare sulla strada per Warwarin l'inconfondibile auto del
Col. Carloni e immediatamente un crepitare di armi automatiche. Il seguito fu
quasi irreale vidi fermarsi l'auto e discendere il Com.te con due bersaglieri e
con una spregiudicatezza incredibile, in piedi aprire il fuoco sul nemico.
Credo non seppe mai che a tirarlo fuori d'impaccio fu non solo il suo coraggio
ma anche l'intervento del fuoco del plotone della 3° Cp. col quale mi trovavo
in quel momento a non più di 80 metri sulla sua destra. Vistolo ripartire con
tutta calma, ripresi il ripiegamento e raggiunsi alla fine il Com.te del VI°
Battaglione. Eravamo esausti per una notte insonne e per il continuo combattere
della giornata per cui ci raccontammo solo in breve le reciproche vicende: ma
non eravamo avviliti perché avevamo bravamente tenuto testa al nemico molto superiore
in forze e confidavamo che le riserve divisionali avrebbero ricacciato il
giorno successivo i russi al di là del Don.
Il Cap. Grotti ci diede questa
notizia dicendoci che avremmo combattuto secondo scaglione e quindi di
riordinare i reparti e approntarli per l'alba successiva. Nessuna notizia sulla
situazione generale. All'alba del 18 eravamo già pronti, ma anziché vedere
arrivare i rinforzi ci giunse l'ordine di attaccare. Successe allora un fatto
strano! Mentre noi staccavamo in avanti anche russi attaccavano in forze. Fu
una sorpresa reciproca che arrestò entrambi per qualche tempo; poi seguì per
tutta la mattina una serie di attacchi e contrattacchi in campo aperto senza
nessun risultato di rilievo da nessuna parte. Nel primo pomeriggio un più risoluto
attacco russo portò alla conquista di un’altura a Sin. del nostro schieramento.
Il Magg. Fortunato con una rapidità che ha del prodigioso raccolse tutti i
rincalzi compresa la 5°Cp. del VI°, e disperatamente ci scagliammo verso
l'altura riconquistandola di slancio e determinando un notevole arretramento
del nemico. Trascorremmo la notte all'addiaccio addossati uno all'altro per
avere un qualche riparo dal freddo sdraiati sulla neve su pochi teli da tenda e
qualche coperta (avevamo dovuto abbandonare quasi tutto nei bunker sul Don).
Alcune considerazioni su queste
prime giornate di lotta:
Tutti i reparti completamente all'oscuro della situazione generale, avevano
combattuto senza sosta, compatti e completamente alla mano di ufficiali e
sottufficiali senza alcun cedimento morale, anzi in maniera aggressiva,
specialmente se si considerano le condizioni ambientali, arrestando un nemico
assai più consistente in forze. Più che del valore personale sono da esaltare
la saldezza morale collettiva, il senso di cameratismo, la fiducia reciproca a
tutti i livelli. Ancora una volta i bersaglieri avevano dimostrato che il loro
impiego non può essere quello da difesa passiva di posizioni fisse (come sul
Don), ma quello di azioni dinamiche, sia pure in difensiva, molto più
congegnali al loro addestramento, all'esuberanza fisica, e allo spirito di
Corpo di cui sono permeati sin dall'arrivo ai reggimenti.
Per
quanto riguarda le deficienze organiche dei materiali devo dire che quella
veramente grave è stata la mancanza di mezzi di collegamento. In situazioni
così fluttuanti non avere radio a livello compagnia, plotone e tanto meno a
squadra significava non ricevere ordini, non darne e non conoscere la
situazione e posizione di reparti. Buon per il 6° Rgt. che in una situazione
tanto difficile ha avuto la fortuna di avere un Comandante preparatissimo
coraggioso e autoritario, molti ufficiali, rotti per lunga esperienza acquisita
durante cento combattimenti ad ogni sorta di situazione, bersaglieri rocciosi,
poco impressionabili attaccati alla loro arma per profonda convinzione e
soprattutto pienamente fiduciosi nei loro ufficiali che li avevano tante volte
tirati fuori dagli impicci.
Nessun commento:
Posta un commento