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sabato 19 agosto 2023

Russia 1942-1943. Diario del generale Salvatore Vices Vinci I Parte

 APPROFONDIMENTI







La sera del 16 dicembre 1942 sì ebbero le prime avvisaglie dell’offensiva russa che avrebbe coinvolto il fronte del 6° Bersaglieri schierato sul Don, alla confluenza del Tichaja con il Don.

Avevamo occupato le posizioni che ci erano state assegnate con ben poco entusiasmo perché tutti si aspettavano (era notizia diffusa di radio Gavetta) un prossimo avvicendamento delle truppe che avevano sostenuto le durezza dell'inverno del 41-42 e tutta la durissima ininterrotta campagna estiva. I bersaglieri del 6° Rgt. erano tuttavia tranquilli, in particolare i veterani che avevano già provato la situazione di una guerra difensiva nel gelido ambiente invernale russo. Ci schierammo dunque il 25-26 Novembre con il VI Btg. a sud ad occupare la Valle del Tichaja ed il XIII a destra su piccole alture dominanti il Don. Il XIX Btg. era in riserva presso il comando del 6° Rgt.

Le posizioni occupate dal VI Btg. erano certamente le più infelici perché correvano lungo 6-7 km, sul margine destro del Don, in zona per gran parte fittamente boschiva, che impediva non solo il collegamento a vista tra le compagnie ma anche fra le varie postazioni. Personalmente, Lasciando da parte il comando della IV Cp. AA. assunsi quello della 131 Cp. in sostituzione del Com.te rientrato in patria. Non era difficile rendersi conto della precarietà della situazione: le squadre erano isolate una dall'altra e mancava quasi del tutto la sovrapposizione dei fuochi per cui le infiltrazioni delle pattuglie nemiche erano facili, specialmente di notte, tant'è che furono frequenti e ci costarono anche la perdita di qualche uomo fatto prigioniero. Per le armi, per quanto ora riconosca inadeguate, (almeno a livello arti. e specialmente carri armati) non detti eccessivo peso; erano quelle cui eravamo abituati e con le quali combattevamo con successo già da un anno. Nei bersaglieri non ravvisavo nessun segno di timore anche se gli anziani, che facevano un po' i bulli, nei confronti dei complementi recentemente giunti dall'Italia, cominciavano a domandarsi quando saremmo finalmente rimpatriati. Erano comunque fortemente alla mano degli ufficiali e sottufficiali con i quali mugugnavano non poco, ma per i quali nutrivano affetto e fiducia incondizionata. Per loro non rappresentavo un'incognita; mi conoscevano tutti per aver comandato, dall'inizio delle operazioni, la 1a e la 4a Cp. e avendo avuto, specialmente in quest'ultimo incarico, l'occasione di frequentare le Cp. fucilieri ispezionando i miei pl. distaccati a questi reparti. Non c'era da lamentarsi eccessivamente neppure nell’equipaggiamento certamente migliorato rispetto all'inverno precedente ma certo deficitario per quanto riguarda scarpe e calze. Su questo punto, per amore di verità, devo dire che i pareri postumi sono esageratamente generalizzati un po' per autocommiserazione per quelli che furono i tragici avvenimenti successivi ed anche per mancanza di possibilità di comparazione dei freschi complementi giunti dall'Italia a contatto con una realtà ambientale di per se stessa tra le più difficili, aggravata da una situazione bellica che mise le truppe sulla steppa innevata, gelida e sterminata in condizioni tragiche per la sopravvivenza, anche senza l’attacco continuo dei russi.

Ma torniamo alla sera del 16 Dicembre 1942. Tutti erano tappati nei fumosi ma caldi bunker, quando le scolte avvertirono i loro ufficiali che si udiva in lontananza un rumore insolito di motori. Fummo subito fuori e li sentimmo sempre più distinti. Più sorpreso che preoccupato avvertii il Com.te del VI Btg. Cap. Riccardo Grotti e da quel momento i telefoni da campo (unico collegamento dei reparti in linea) ebbero una frenetica attività. Noi Com.ti di Cp. del VI Btg. del tutto ignari di quanto succedeva sul resto del fronte eravamo seriamente preoccupati rendendoci conto che un attacco nemico, anche se locale ed episodico, non poteva che essere sferrato sul fronte del n/s Btg. Questo perché sia il XIII Btg. del 6° che il 131 Btg. rispettivamente a D. e S. del nostro  schieramento erano sistemati a difesa su dei pianori quasi a picco, almeno 50 m. sul Don con ottimi campi di vista e di tiro. Quanto abbiamo invidiato noi del 6° quelle posizioni che permettevano tranquillità e sicurezza durante la guerra di posizione che prevedevamo avremmo dovuto sopportare  sino a primavera! Non sapevamo del trabocchetto che riservavano ai nostri ignari fratelli!  ·

Per tutta la notte ascoltammo quei motori e la nostra ansia aumentava perché capivamo che non era un semplice avvicendamento di truppe ma la preparazione di un vero attacco in forza. Accorsero in linea il Com.te del VI Btg. Cap. Riccardo Grotti, tranquillo come sempre, ed il Com.te del Rgt. Col. Carloni, imperscrutabile nel suo volto grifagno e mi parvero rassicurati dall’atteggiamento calmo degli uomini che provavano il funzionamento  delle armi tenendole lubrificate e calde per l'uso, con le cassette di munizioni già in sito. Noi per parte nostra ci sentimmo rincuorati sentendoci meno soli nel buio ed attendemmo lo sviluppo degli eventi.

Verso le quattro ci sentimmo di fronte, di là dei 100 metri del Don, rumorosi, sicuri…! Attaccarono all'alba alla maniera russa, imponente massa di uomini coperta dal tiro dei mortai e da un fuoco infernale di mitra. Corsi al telefono e annunciai al Com.te di Btg. l'avanzare del nemico chiedendo contemporaneamente l'intervento dell'artiglieria e dei mortai sul letto ghiacciato del Don. Tornato in linea mi accorsi che la situazione era disperata. Malgrado la nostra furiosa reazione di fuoco che mieteva decine e decine di vittime i russi avanzavano rimpiazzando i caduti imperterriti con sempre nuovi soldati tanto che ci sembravano infiniti. Ad un certo punto fu un pandemonio! Tuonarono i cannoni ed i mortai nostri, loro, su tutta la valle del Tichaja coprendo ogni cosa di fumo e di fiamme e di quell’acre eccitante odore di polvere da sparo che combattenti ben conoscono.

            Compresi che la resistenza era impossibile e di nuovo mi precipitai nel bunker per comunicare al Com.te di Battaglione che eravamo costretti a ritirarci e chiesi il fuoco di repressione dell'artiglieria. in quella fui raggiunto da un bersagliere che dall'alto dell'ingresso mi urlò: ”I russi ...i russi.” Chiamai al telefono i miei com.ti di plotone e ordinai concitatamente di ripiegare combattendo sulle alture alle nostre spalle. Mi precipitai fuori del bunker com’ero, senza cappotto e fui subito investito dal fuoco nemico ormai giunto al margine del bosco. Disperatamente dispersi come eravamo ingaggiammo un combattimento episodico tra gli alberi riuscendo a frenare i russi insicuri sulle nostre forze e infine per gruppi cercammo di guadagnare le alture retrostanti dove sapevamo essere approntate delle nuove strutture difensive (tronconi di trincea all'aperto). Le raggiungemmo alfine verso le nove ed ancora sfiniti piazzammo le armi, un po' alla rinfusa, senza contarci, preoccupati solo di prepararci alla difesa della nuova posizione che ci parve quasi sicura così dominante tutta la pianura. Fummo rincuorati vedendo sulla nostra destra venire avanti nella valle del Tichaja e contrattaccare, il XIX Btg. bersaglieri del 6° che sapevo in riserva, mentre noi avevamo arrestato l'attacco sulla nostra fronte. Pensai che sarebbero riusciti a cacciare il nemico al di là del Don, ma il loro impeto, dapprima travolgente, si esaurì di fronte a una nuova ondata di forza di un secondo scaglione. Furono arrestati e poi costretti lentamente a retrocedere. La 131 Cp. nel frattempo era seriamente impegnata, certo nell'intento di scardinare la spalla difensiva S dello schieramento ma riuscimmo ad arginare l'attacco sin quasi alle 12 quando improvvisamente sulle nostre posizioni ebbe inizio l'aggiustamento dei mortai e dell'artiglieria nemica e successivamente un concentramento combinato di fuoco di queste armi che rese impossibile il mantenimento della posizione. Ci ritirammo quindi di qualche centinaia di metri, sganciando per prime le Breda, con sufficiente ordine. A questo punto ci raggiunse, spuntando non so da dove, un Col. dei Bersaglieri (seppi dopo trattarsi del Col. Longo) che mi ordinò di resistere in posto per dargli il tempo di schierare i suoi reparti a protezione del fianco D. del 3° Bersaglieri e poi di ripiegare sul comando del 6° Bersaglieri. Assolto l'incarico mentre con la Cp. cercavo di riprendere contatto con il Com.te del VI° o del Rgt. (ero assolutamente privo di collegamenti non avendo a livello di Cp. nessun tipo di radio) accadde un episodio che mi lasciò sbalordito. Vidi arrivare sulla strada per Warwarin l'inconfondibile auto del Col. Carloni e immediatamente un crepitare di armi automatiche. Il seguito fu quasi irreale vidi fermarsi l'auto e discendere il Com.te con due bersaglieri e con una spregiudicatezza incredibile, in piedi aprire il fuoco sul nemico. Credo non seppe mai che a tirarlo fuori d'impaccio fu non solo il suo coraggio ma anche l'intervento del fuoco del plotone della 3° Cp. col quale mi trovavo in quel momento a non più di 80 metri sulla sua destra. Vistolo ripartire con tutta calma, ripresi il ripiegamento e raggiunsi alla fine il Com.te del VI° Battaglione. Eravamo esausti per una notte insonne e per il continuo combattere della giornata per cui ci raccontammo solo in breve le reciproche vicende: ma non eravamo avviliti perché avevamo bravamente tenuto testa al nemico molto superiore in forze e confidavamo che le riserve divisionali avrebbero ricacciato il giorno successivo i russi al di là del Don.

Il Cap. Grotti ci diede questa notizia dicendoci che avremmo combattuto secondo scaglione e quindi di riordinare i reparti e approntarli per l'alba successiva. Nessuna notizia sulla situazione generale. All'alba del 18 eravamo già pronti, ma anziché vedere arrivare i rinforzi ci giunse l'ordine di attaccare. Successe allora un fatto strano! Mentre noi staccavamo in avanti anche russi attaccavano in forze. Fu una sorpresa reciproca che arrestò entrambi per qualche tempo; poi seguì per tutta la mattina una serie di attacchi e contrattacchi in campo aperto senza nessun risultato di rilievo da nessuna parte. Nel primo pomeriggio un più risoluto attacco russo portò alla conquista di un’altura a Sin. del nostro schieramento. Il Magg. Fortunato con una rapidità che ha del prodigioso raccolse tutti i rincalzi compresa la 5°Cp. del VI°, e disperatamente ci scagliammo verso l'altura riconquistandola di slancio e determinando un notevole arretramento del nemico. Trascorremmo la notte all'addiaccio addossati uno all'altro per avere un qualche riparo dal freddo sdraiati sulla neve su pochi teli da tenda e qualche coperta (avevamo dovuto abbandonare quasi tutto nei bunker sul Don).

Alcune considerazioni su queste prime giornate di lotta: Tutti i reparti completamente all'oscuro della situazione generale, avevano combattuto senza sosta, compatti e completamente alla mano di ufficiali e sottufficiali senza alcun cedimento morale, anzi in maniera aggressiva, specialmente se si considerano le condizioni ambientali, arrestando un nemico assai più consistente in forze. Più che del valore personale sono da esaltare la saldezza morale collettiva, il senso di cameratismo, la fiducia reciproca a tutti i livelli. Ancora una volta i bersaglieri avevano dimostrato che il loro impiego non può essere quello da difesa passiva di posizioni fisse (come sul Don), ma quello di azioni dinamiche, sia pure in difensiva, molto più congegnali al loro addestramento, all'esuberanza fisica, e allo spirito di Corpo di cui sono permeati sin dall'arrivo ai reggimenti.

Per quanto riguarda le deficienze organiche dei materiali devo dire che quella veramente grave è stata la mancanza di mezzi di collegamento. In situazioni così fluttuanti non avere radio a livello compagnia, plotone e tanto meno a squadra significava non ricevere ordini, non darne e non conoscere la situazione e posizione di reparti. Buon per il 6° Rgt. che in una situazione tanto difficile ha avuto la fortuna di avere un Comandante preparatissimo coraggioso e autoritario, molti ufficiali, rotti per lunga esperienza acquisita durante cento combattimenti ad ogni sorta di situazione, bersaglieri rocciosi, poco impressionabili attaccati alla loro arma per profonda convinzione e soprattutto pienamente fiduciosi nei loro ufficiali che li avevano tante volte tirati fuori dagli impicci.

 

 

 


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