DIBATTITI
Con il termine storia si può intendere indifferentemente, come detto, sia il passato sia il pensiero che si ha su di esso, ossia la sua conoscenza. L’ambiguità nasce dalla trasposizione come fatti oggettivi delle espressioni delle vicende del passato compiuta dallo storico a conclusione del suo lavoro di indagine e di ricostruzione. Questa ingenuità acritica deriva dalla presenza di un nesso indissolubile che lega la storia alla storiografia. Infatti, l’esistenza della realtà storica quale vita vissuta dalle generazioni che ci hanno preceduto è indubbia; altrettanto indubbio, però, è che, senza l’attività di chi esamini le testimonianze da essa lasciate, le colleghi organicamente ed esponga il risultato del suo studio, nulla di essa possiamo dire, se non postularne l’esistenza. Senza la conoscenza, il passato per noi è come se non fosse esistito. È solo una dimensione del tempo, priva di connotazioni che la concretino. L’accentuazione dei nessi che legano la storia alla storiografia può aiutare ad asserire che esiste una coincidenza fra l’una e l’altra. Pur non accentuando questa identificazione, dobbiamo riconoscere che lo storico svolge una attività e insopprimibile funzione, soprattutto in merito alla selezione dei fatti ed alla indispensabilità delle fonti.
UN interrogativo che rappresenta uno dei motivi per cui si sono stese queste
“Note”. Nell’ottocento, nel quadro del movimento positivistico, che esaltava la
mistica della scienza, si arrivò a proclamare che la personalità dello storico
non deve mai comparire, bensì dissolversi nella ricostruzione realizzata con i
mattoni delle testimonianze certe. I risultati furono deludenti: fu una storia
fatta con le forbici ed il barattolo della colla, ed il ricercato annullamento
della figura dello storico priva la storiografia della sua stessa essenza, il
pensiero, e rompendo il rapporto fra passato e presente, la priva altresì di
risultati pratici, perché la rende non più rispondente ai bisogni
contemporanei.
Scendendo
alle “cose del paese nostro” il “taglia” e “incolla” da Internet, traviando
ogni forma di ricerca bibliografica o lettura critica di testi scelti o di
documenti, con scarsa propensione di una pur superficiale lettura delle fonti
disponibili, senza nessun intervento di interiorizzazione ed espressione del
proprio pensiero e della propria analisi su un fatto storico-militare costruito
o studiato,[1]
porta ad elaborati fatti “con le forbici
ed il barattolo di colla” insignificanti, degni di valutazioni basse se non
insufficienti, che buonismo più da intrattenitori che da professori porta a
valutazioni di livello decente, vanificando ogni sforzo e risolvendosi, nella
sostanza, in un mero spreco di risorse e di energie.
Rimanendo
“nei piani bassi” qualsiasi elaborato di un Frequentatore, di uno Studente che
non contenga un giudizio critico personale sul fatto proposto come oggetto di
studio o di ricerca è semplice perdita di tempo, esercizio mero di copiatura,
un girare in tondo senza costrutto e quindi da rigettare e valutare con i più
marcati segni negativi.[2]
Risalendo
nei piani alti, anche se ciò può lasciare perplessi data l’ansia di assoluto
sempre presente in noi, non si può non rispondere affermativamente: il giudizio
storico è soggettivo e variabile.
Il
giudizio storico è in perpetuo avvenire; se il giudizio su un fatto può variare
per il modificarsi delle conseguenze generate dal fatto stesso, in linea
generale non è mai statico, definito e definibile “ab aeterno” così come non è
statico e non è definitivo il presente da cui promana. Il giudizio storico è
sempre soggettivo, ma la soggettività da cui promana non ne esclude
l’obbiettività.
E’
che ogni conoscenza può essere considerata obiettiva soltanto nell’ambito di un
determinato sistema e nel nostro caso l’obbiettività è data non soltanto dallo
scrupoloso vaglio delle fonti e dal controllo del momento
intuitivo-rappresentativo affinché non sconfini nella fantasia o nella “fiction”[3]
ma anche dal fatto che i criteri cui si attiene lo storico nella sua attività
non sono né frutto di scelte personali né atti arbitrari: scaturiscono dalla
società in cui egli è immerso, dall’epoca in cui vive. In una parola, dalla
storia stessa.
Il
pensiero dello storico è insopprimibile, pena privare la storia della sua
storicità. In storiografia non esiste un’opera definitiva: tutte concorrono ad
una ipotetica definizione ma nessuna la raggiunge.[4]
La
definizione, “nulla più da dire, da
obiettare, da modificare” è un “mito”. E come tutti i miti va trattata,
anche se questo mito è suscitatore di pensiero e quindi di vita.
[1]
Normalmente la giustificazione a tale modo di procedere è chiamata “mancanza di
tempo”, come se esistesse una relazione tra pensiero/tempo/quantità.
[2]
Anche in questo esiste la giustificazione “non sono uno storico”: come se
esercitare la capacità critica e prerogativa di determinate categorie alle
quali si deve appartenere.
[3]
La ricostruzione cinematografica o televisiva, rispondendo anche a esigenze di
carattere commerciale e finanziario, spesso scivola verso rappresentazioni di
mera fantasia, o di esigenze di compiacimento per il committente del momento,
dimenticando che nella ricostruzione storica “l’esattezza è un dovere morale”, con la conseguenza che simili
ricostruzioni devono essere prese con le dovute cautele.
[4]
Cfr. al riguardo Ilari V., Guerra e
storiografia, in “La guerra nel pensiero politico (a cura di) Jean
C., Milano, F. Angeli, 1987; Luraghi R., Storia
militare, in “La storiografia italiana degli ultimi vent’anni: III. Età
contemporanea (a cura di) De Rosa
L., Bari, Laterza, 1989. Pieri
P., La storiografia militare italiana
negli ultimi veti anni, in “Atti del primo congresso nazionale di scienze
storiche, Perugia, 1967, II., Milano, Marzorati, 1970.
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