DIBATTITI
Tutti quei materiali che danno notizie del passato e pongono le basi della sua conoscenza, sono definite “fonti”. Le classificazioni delle fonti sono molteplici, con svariate sottocategorie o sezioni (es. monumenti, documenti, avanzi, tradizioni, resti, ricordi, testimonianze, ecc.). Il pericolo in questi casi è sempre quello di avventurarsi in disquisizioni nozionistiche sterili e teoriche; si propone la seguente classificazione basata su quanto discende dalla apparenza esterna:
fonti:
1) materiali (o resti),
come ad es. opere murarie, monumenti, di fortificazioni, armi, ecc.
2) scritte, come ad es. leggi, trattati, sentenze, verbali,
direttive, ordine di operazioni, proclami,
cronache, diari, memorie, relazioni ecc.
suddivise in:
a)
documentarie, ove prevale di
massima il carattere di ufficialità e legalità
b)
narrative, ove
l’elaborazione personale è preminente
3) figurate, come ad es. quadri, fotografie, filmati, carte
geografiche, topografiche, schizzi ecc.
4) orali, come ad es. racconti, tradizioni, canti, memorie,
ricordi ecc.
Uno degli aspetti più difficili per chi si
avvicina a questo genere di lavoro è quello di gestire, ovvero ricercare,
valutare, confrontare ed utilizzare le fonti, in quanto necessitano conoscenze
scientifiche di rilievo, che devono essere sommate a conoscenze linguistiche, a
alto rigore logico, e sano potere critico al fine di poter separare l’utile ed
il superfluo, il vero dal falso, l’approssimativo dall’essenziale.
Ancorché
ottenuto in modo ottimale tutto questo, si è a metà dell’opera in quando agisce
l’assioma che né la disponibilità delle fonti, né il loro accurato studio sono
sufficienti ai fini di una conoscenza che voglia assurgere a storia.
Lo
scopo della storia non è ricercare, ordinare e mettere in sistema le fonti fine
a sè stesse, né la loro scrupolosa raccolta, né l’estrema cautela critica
adottata; occorre sempre ricordare che le fonti non costituiscono la realtà
oggetto di indagine, ma sono il semplice, ancorché indispensabile tramite per
pervenire alla vita trascorsa, che è il reale scopo della storia.
Contro
le concezioni storiografiche che asserivano che il compito dello storico fosse
quello di “ritrovare” le fonti senza aggiungere di proprio. “I documenti restaurati, riprodotti,
descritti, allineati, restano documenti, cioè cose mute” asseriva Benedetto
Croce nella sua polemica sulle predette concezioni storiografiche.[1]
Ma la presa di posizione crociana non deve essere vista nella sua totalità
negativa. Una azione quotidiana, quasi coeva agli avvenimenti, volta a mettere
le “cose mute” in ordine e facilmente consultabili rappresenta una
preservazione della memoria che sicuramente riceverà la gratitudine senza limiti
dei futuri storici. Non è storia, ma sicuramente questa azione agevolerà la
storia e sarà baluardo alle inevitabili mistificazioni o false ricostruzioni
che fioriscono quando le fonti sono carenti.
La
conoscenza storica, quindi, non può non essere il risultato che della
compenetrazione dell’elemento intellettivo, dato dall’accurata analisi delle
fonti, con l’elemento intuitivo-rappresentativo, dato dalla loro rielaborazione
interiore.[2]
[1]
Croce B., Teoria e storia della
storiografia, Bari, Laterza, 1954, pag. 19 e segg.
[2]
Cfr. per un ulteriore approfondimento, Croce B., La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1939 Vds.
inoltre Antoni C., Commento a Croce,
Venezia, Edizioni Neri Pozza, 1964.
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