DIBATTITI
Corpo Italiano di Liberazione
II Corpo Polacco
L'attacco per Manovra
L’occupazione di Jesi
Sergio Pivetta, nel suo diario, sotto
la data del 20 luglio riporta poche ma significative annotazioni di quei
momenti:
“La notte passa tranquilla. E’ l’alba. Attacchiamo. Superata d’assalto
la villa dove ieri sera si erano barricati, hanno dovuto abbandonarla
precipitosamente. Tela di gran galoppo… Stamani siamo entrati in Jesi. La
popolazione ci ha ricordato quella di Rapino: brava gente ..e che vino… Poi, i
soli tristi spettacoli. Vendette, bastonate, i fazzoletti rossi si danno da
fare. E’ disgustoso!”[1]
La conquista di Jesi la mattina del
20 luglio rappresenta il momento finale dell’azione del Corpo Italiano di
Liberazione nell’azione per la conquista di Ancona. Occupare Jesi significò
chiudere ogni azione tedesca che poteva essere portato sul fianco delle forze
alleate attaccanti. Il Comando del 3° Reggimento alpini, col. Maggiorino
Anfosso, così comunica al Comando della I Brigata la situazione:
“Fonogramma in partenza. Dal Comando 3° Alpini At Comando I Brigata. N.
100/Op. Alt. 20 luglio 1944 = ore 8,30 Alt At ore 7 “Piemonte” entrato in Jesi
da margini occidentali alt gruppo someggiato zona casa Fronti (41-35) alt batteria
controcarri sta assumendo schieramento margini ovest et nord ovest Jesi alt io
procedo su Jesi alt oltre ai due prigionieri catturati nell’azione di ieri sono
state catturate 3 mitragliatrici – i lanciabombe et materiale vario. Alt.
Firmato Maggiorino”[2]
Fra le tante testimonianze del
battaglione “Piemonte”, quella del s. ten. medico Augusto Giammiro, è
interessante. Dopo aver ricordato che il piano di attacco del battaglione non
prevedeva un attacco frontale alla città di Jesi ma ai fianchi per evitare
distruzioni inutili, con la possibilità di chiudere in una sacca le unità e
reparti Tedeschi che difendevano Jesi, rileva che i Tedeschi stessi, accortesi
di questi piano, si ritirano con ordine ma non ebbero il tempo di attuare
quelle distruzioni che erano soliti fare al momento di lasciare un abitato o
una città, anche se il s. ten. Giammiro ricorda la periferia nord di Jesi
disseminata di incendi e coperta di fumo.
Il plotone sanitario, al comando di
Giammiro, composto da lui come tenente medico e da quattro alpini
“portaferiti”.
“Al momento della partenza dei reparti, il Colonnello Comandante mi
comunicò che dovevo rimanere fermo almeno per due ore dopo di che il piccolo
plotone sanitario doveva indirizzarsi dritto verso una casa da lì distante
circa due chilometri. Quello era il punto di soccorso medico. Successivamente,
sulla base di eventuali scontri di fucileria, dovevo raggiungere la sottostante
città recuperare l’ospedale civile ed issare sul balcone la bandiera tricolore
quale segnale di occupazione avvenuta. Raggiunta la casa, sotto il pericolo dei
cecchini, trovammo tutto in ordine, senza segni di abbandono fu così che
chiamammo a voce alta dicendo di essere alpini in aiuto, nella speranza di far
“uscire” eventuali cittadini nascosti ed allora sentii una voce che chiedeva:
chi siete? Alla mia risposta siamo amici alpini Italiani, vedemmo aprirsi una
botola dal pavimento è fuoriuscire impressionati grida di gioia e di evviva
“siamo salvi, sono alpini”. Usciti dallo scantinato raccomandavo il massimo
silenzio, cosa non facile data la presenza di molti bambini. Si trattava di
oltre cento persone rifugiatesi nei sotterranei. Erano ancora terrorizzati e nel
vedere noi alpini non credevano ancora ai loro occhi perché i Tedeschi erano
andati via, affermando prossimo l’arrivo delle truppe marocchine. Ristabilita
la calma e rifocillatici con anche del gradito buon verdicchio, il rumore di
alcuni spari ci ricordava di raggiungere l’ospedale. Ivi giunti, non
incontrammo problemi, , tranne la difficoltà di trovare il tricolore da esporre;
gli alpini di guardia alle finestre. Dopo di che, finalmente l’arrivo della
pattuglia del ten. Corvino grazie al quale la popolazione scese festosa per le
strade dando alimenti e buon vino agli alpini che ne avevano veramente bisogno.
Il giorno dopo, per normale avvicendamento la prima linea era presidiata dai
paracadutisti della Nembo. Ci furono violenti combattimenti e ricordo, con
molta tristezza, il corridoio dell’ospedale pieno di cadaveri di paracadutisti,
oltre ai feriti in corsia.”[3]
[1] Pivetta
S., Tutto per l’Italia. Diario di un
alpino del battaglione “Piemonte”, cit, pag. 77
[3] Giammiro
Augusto, Il 20 luglio 1944 a Jesi rivissuto
dall’Ufficiale Medico del Battaglione Alpini Piemonte in l’Alpino, novembre
1944.
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