APPROFONDIMENTI
In anteprima, riportiamo l'intervento svolto dal prof. Giancarlo Ramaccia al Convegno "Il Valore Militare e le missioni di pace" tenutosi in occasione della Giornata del Decorato 2017 a Montevarchi, tratto dagli "Atti" della Giornata del decorato 2017 che saranno presentati a Roma il 13 aprile 2018.
Affrontare il tema delle
“missioni di pace” e cercare di farne un breve e sommario bilancio impone
principalmente a me, e poi a tutti di noi, di definire innanzi tutto in modo
chiaro e netto il termine pace, di vedere quale sia il suo significato comune e
se ne abbia uno, accettato da tutti, e individuare un suo corrispondente, con
il medesimo significato in altre lingue e altre culture distanti dalla nostra.
Pace, pax, peace, paix, paz,
shalom, sala’am… è un termine che non si presta ad una immediata e rapida
definizione, anche perché il termine pace ha un legame “molto stretto” con il
termine conflitto e pertanto la sua definizione resta quasi sempre generica e
indefinita e quindi alla domanda: cos’è la pace? Rispondiamo con generiche
affermazioni sullo stato di armonia personale o collettiva, scivolando in
contesti intimistici o religiosi (pace interiore, dello spirito, della propria
coscienza), oppure nel contesto sociale (come: pace politica, pace
internazionale, pace familiare o del proprio gruppo etnico), ma sempre facciamo
fatica a definirne le sue proprietà e, infine, ci rifugiamo nella definizione
più comune e antica: quella di “pace come stato di non guerra”.
Per questo motivo siamo costretti
a ricorrere alla consultazione di dizionari, vocabolari ed enciclopedie, nel
vano tentativo di raggiungere una sicurezza terminologica che supporti la
nostra aspirazione personale di sicurezza, tranquillità, armonia.
Consultando i dizionari troviamo
una molteplicità di definizioni, da quelle di tipo descrittivo a quelle che
possiamo definire dottrinarie, ossia di tipo prescrittivo o finalistico,
redatte da filosofi, giuristi o religiosi, che mirano a chiarire un solo
aspetto particolare del termine, quello, appunto, che permette loro di dare
coerenza alla propria argomentazione e suffragare le proprie personali teorie.
Vediamo ora di confrontare alcune
definizioni dl termine tratte dai principali dizionari della lingua italiana. Iniziamo
dalla definizione tratta dal vocabolario della
lingua italiana edito dall’Istituto Enciclopedico italiano, dove si
definisce pace: “ sostantivo femminile,
che deriva dal latino pax-pacis, ossia “pangere”; “fissare”, “pattuire”
(pactum); condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerra e
conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati,
etnici, sociali, religiosi, ecc. ecc. (…) Può anche significare: buon accordo,
armonia, concordia di intenti, condizione di tranquillità materiale, di riposo,
di quiete, serenità spirituale, formula di saluto e di commiato limitata ai
solo religiosi”.
Passiamo ora alla definizione che
troviamo nel vocabolario di Nicola Zingarelli: “Assenza di lotta e conflitti armati tra popoli e nazioni (…) Buona
concordia e serena tranquillità di rapporti”; mentre il dizionario
Devoto-Oli riporta: “Situazione contraria
allo stato di guerra (…)l’atto che sanziona la definitiva cessazione di uno
stato di guerra”; per concludere con il dizionario etimologi di
Battisti-Alessio che definisce pace:”propriamente
patto (pangere) convenzione tra due parti belligeranti, donde stato di pace”.
Confrontando tali definizioni descrittive, emerge che è primaria la definizione
del termine “come non-guerra”, ossia assenza di conflitto armato e come “patto”
ossia convenzione, accordo fra due o più parti di speciale importanza e
stipulato con particolare solennità.
La primaria definizione di pace
come non-guerra lega in una relazione stretta il termine pace alla guerra e in
questa coppia di opposti (pace-guerra) è sempre il primo termine (pace) ad
essere definito per mezzo del secondo (guerra) e non viceversa. Pertanto, guerra viene definito positivamente con
l’aggiunta e l’elencazione dei suoi connotati caratterizzanti che sono:
conflitto, lotta, violenza, brutalità, stragismo, furia, tempo di Ares, Erinni,
ecc. ecc., mentre pace non ha bisogno di connotarsi e caratterizzarsi, è
semplicemente la negazione della guerra, ossia la sua assenza, la non guerra, è il tempo che intercorre
tra due successive guerre. Quando tra due termini di una opposizione uno di
essi è definito tramite le sue caratteristiche e proprietà (guerra), mentre
l’altro è definito per negazione e opposizione (pace), si genera un legame di
dipendenza, dove il termine più caratterizzato manifesta la sua prevalenza e
indica lo stato più rilevante. Infatti, esiste una grande filosofia della
guerra, ma non esiste un’altrettanto filosofia della pace.
Da sempre i filosofi si sono
interrogati sul problema della guerra e grande parte della filosofia della
storia e della filosofia politica non è altro che una lunga meditazione sulla
guerra, argomentando su due principali filoni di idee, quello che riguarda i
rapporti interni ad una comunità affrontando la relazione “pace-ordine” e
quella che riguarda i rapporti inter-stato dove è preminente lo studio della
coppia “disordine-guerra”.
Non si può definire il termine
pace e comprendere il significato vero della pace senza aver prima definito il
termine guerra. Vediamo quindi ciò che dicono i dizionari in merito.
Consultando il dizionario della lingua latina di Castiglioni Mariotti,
leggiamo: “ Bellum, i, nominativo; guerra
civile, bellum civile o bellum intestinum ac domesticum; guerra esterna, bellum
externum; (…) in senso traslato stato di guerra, lotta, inimicizia” e indagando ulteriormente l’etimo troviamo la
radice tedesca “wërra” e quella francese “wèrra” con il significato di
confusione, contesa, lotta.
Alla pace si oppone il bellum e
quest’ultimo termine è prescrittivo e principale. Termine così forte che una
delle più diffuse enciclopedie italiane (compilata dalla redazione grandi opere
di cultura UTET, rielaborando i contenuti delle banche dati UTET, Garzanti
grandi opere e De Agostini, per il gruppo l’Espresso S.p.a. e per il suo
quotidiano La Repubblica )
impiega soltanto 28 righe per definire il termine pace contro le oltre 12
pagine per definire il termine guerra.
Per molti secoli la pace stava ad
indicare il tempo che intercorreva tra le guerre, solo nel 1700 con l’imporsi
nell’occidente cristiano del pensiero razionale e dell’Illuminismo si fa avanti
l’idea di uno stato del mondo finalmente libero dalla ricorrente violenza
armata e dalla guerra, cominciando ad auspicare una pace universale, una pace
perpetua. Dei tanti progetti elaborati da: Ugo Grozio, Emeric Crucè, William
Penn, abate di si Saint-Pierre, Saint Simon e Thierry fino all’ultimo elaborato
da Hans Kelsen nel 1944, vogliamo ricordare in particolar modo, per la sua
importanza, quello che Immanuel Kant nel 1795 propose con lo scritto
“Zum-ewigen Frieden” (Per la pace perpetua), che continua a tutt’oggi a
svolgere la sua funzione pedagogica di educazione alla pace e di stimolo degli
studiosi al confronto per la ricerca di un unico modello condiviso di governo
del sistema internazionale di stati sovrani.
Sarebbe molto istruttivo ed
interessante vedere attraverso le diverse epoche storiche e lo svolgersi delle
successive culture politiche e filosofiche il variare dell’interpretazione
della coppia pace-guerra fino all’affermarsi, nell’attuale nostra epoca, di una
profonda e condivisa domanda dei popoli di pace universale, ma il tempo è
tiranno e impone scelte radicali. Per cui dopo aver delineato sommariamente il
termine pace, ci caliamo nella nostra attualità contemporanea: una terribile attualità. Infatti, secondo i dati
raccolti da uno dei più autorevoli istituti di studi sulla pace, il SIPRI
(Stockholm International Peace Research Istitute), che pubblica ogni anno un
suo annuario con dati e statistiche relative alla pace del mondo, apprendiamo
che dal 1945 ad oggi si sono combattute ben 125 guerre civili (con almeno 1.000
morti l’anno), che sono durate in media 10 anni, ossia è iniziata una guerra e
mezza ogni anno. Non solo, ma la terza edizione del “Global terrorism index” ci
informa che nel 2014 ben 32.685 esseri umani sono stati uccisi a seguito di
azioni terroristiche, il doppio in confronto a quelle dell’anno precedente ed è
questa la cifra più alta mai raggiunta, visto che nell’anno 2000 le vittime del
terrorismo risultarono essere 3.329, esattamente il 10% di quelle attuali.
Delle oltre 30.000 vittime del terrorismo il 78% risulta di religione musulmana
e sono il frutto dell’operato di gruppi terroristici quali: “Talibani, Boko
Haram, IS/Daesh”. Non solo, l’Unicef informa che nello stesso periodo 15
milioni di bambini sono stati a vario titolo vittime di violenza politica e
migliaia di persone sono giornalmente, in diverse parti del mondo, sottoposte a
brutali torture. A trenta anni dalla firma della Convenzione dell’ONU contro la
tortura, ancora 131 stati la praticano.
Ad oggi in: Afghanistan, Iraq,
Siria, Libia, Somalia, Eritrea, Etiopia, Congo, Kinshasa, Mali, Repubblica
Centroafricana, Nigeria, Kenya, Pakistan, Yemen, Palestina, Ucraina ecc. ecc.
si combattono brutali conflitti che rendono sempre più utopica la desiderata
pace universale. A ciò si aggiunge la piaga della criminalità organizzata, che
2015 sconvolge la vita interna di parecchi stati nazionali, principalmente
nell’America latina, nell’Asia Sud orientale, nell’Africa ed anche in Europa.
L’analisi dei dati mette in crisi
il nostro ottimismo di occidentali che credono fermamente che con il progredire
materiale dei popoli e il diffondersi dei valori democratici occidentali si
realizzi una costante regressione della violenza. Come uno studio di alcuni
anni fa, di Rudolph J. Rummel, tentò di verificare esaminando tutte le guerre
internazionali verificatesi tra il 1816 e il 1991, giungendo ai seguenti
risultati:
-
198 guerre combattute tra stati non democratici;
-
155 guerre combattute tra stati democratici e non;
-
Nessuna guerra combattuta tra stati democratici.
Lo Stato democratico era visto
come un impedimento verso i conflitti armati e in modo particolare le
democrazie stabili, quelle di chiara impronta liberale, ma anche lui dovette ammettere che gli Stati democratici,
più o meno stabili, fanno la guerra con la medesima frequenza di quelli non
democratici, dimostrando così che non è la diffusione o meno dei valori
democratici che impedisce i conflitti, perché molto dipende dalla demografia
globale, dalla limitatezza delle risorse materiali e dalla loro allocazione
territoriale del tutto casuale e caotica, a cui si aggiunge il radicale
cambiamento climatico che causa grande povertà. Esportare la democrazia, prima
di essere una pia illusione, è una cattiva politica che genera sistematicamente
instabilità e conflitti. Come bene insegna la lezione della Rivoluzione
francese: “sono i popoli nei loro Stati che devono liberamente e autonomamente scegliere
nei modi e nei tempi i valori democratici
e le loro istituzioni”, a seguito di una precedente rivoluzione
culturale e di costume nella loro società. Imporli dall’esterno non è altro che
una odiosa forzatura, che non produce i risultati sperati ma genera ulteriore
caos, confusione, conflitto.
Al termine della Grande Guerra
(1914-1918) le potenze alleate e associate alle vincitrici insieme alla
Germania, l’Austria, l’Ungheria e la Bulgaria (potenze sconfitte) diedero vita alla
Società delle Nazioni, detta anche Lega delle Nazioni, con sede a Ginevra. Essa
fu fondata nella conferenza di Parigi del 1919 dalle potenze vincitrici la Prima Guerra Mondiale, con
l’approvazione e la firma del patto istitutivo (28 aprile 1919) e che costituì
la prima parte dei trattati di pace. Tale istituzione internazionale aveva
ordinamento e forma di tipo confederativo, personalità giuridica e permetteva
di ammettere al suo interno, con uguali poteri, altri Stati. I suoi fini erano:
-mantenimento della pace
-cooperazione internazionale;
-attuazione della cosiddetta “diplomazia aperta” mediante
registrazione di tutti i trattati e delle convenzioni segrete.
Da subito gli Stati Uniti
d’America e il suo presidente Wilson, che ne era stato uno dei principali
patrocinatori, ne restarono fuori, minando così il suo funzionamento. Svolse
tra grandi difficoltà la sua missione e governò l’area della Saar (Germania)
dal 1919 al 1935 e la città libera di Danzica fino all’occupazione tedesca del 1939.
I veti incrociati dei paesi partecipanti la posero nell’impossibilità di
funzionare e non riuscì ad impedire la Seconda Guerra Mondiale
(1940-1945).
Al termine della Seconda Guerra
Mondiale con deliberazione della propria assemblea, il 18 aprile 1948, la Società delle Nazioni si
estinse. Al suo posto gli Stati vincitori, le Nazioni Unite, diedero vita
all’ONU, sigla che sta per Organizzazione delle Nazioni Unite. Questa
organizzazione universale che veniva a prendere il posto della Società delle
Nazioni, fu predisposta dalle potenze alleate con la dichiarazione della
alleanza militare tra le Nazioni Unite del 12 gennaio 1942 in piena guerra. In
tale dichiarazione furono elaborati i principi fondamentali, molti dei quali,
già presenti nella “Carta Atlantica” del 1941 ossia a dar vita al termine della
guerra ad “un sistema collettivo di
sicurezza” e all’abbandono dell’uso della forza da parte degli Stati
aderenti, nelle contese inter-statali. Nelle successive conferenze, come quella
di Mosca (ottobre 1943) USA, URSS, Gran Bretagna, Cina nazionalista, ribadirono
la loro volontà di dar vita ad una organizzazione generale aperta a tutti gli
Stati della comunità internazionale e fondata sul principio del rispetto della
sovranità nazionale e finalizzata al mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale. Successivamente nella conferenza di Dumborton Oaks (distretto
di Washington), nell’agosto del 1944, viene elaborato un progetto di statuto
che verrà approvato alla conferenza di San Francisco, del 26 aprile 1945, da
parte dei delegati lì convenuti da 49 Stati.
I fini che si propone l’ONU sono:
-mantenimento della pace e
sicurezza internazionale;
-garanzia di eguaglianza e di
indipendenza di tutti i popoli;
-sviluppo della cooperazione tra gli
Stati nel campo economico, sociale, culturale;
-tutela dei diritti umani.
Inoltre gli Stati membri si
impegnavano a risolvere le controversie inter-statali con mezzi pacifici e
secondo il principio di giustizia seguendo ciò che prescrive il diritto internazionale
in merito, con l’astenersi a far ricorso alle armi e ad ogni atto di
aggressione e uso della forza. Gli Stati si impegnavano inoltre a fornire
assistenza militare per prevenire o reprimere ogni minaccia alla sicurezza
internazionale e alla pace ed ogni sua
violazione.
All’articolo 7, dello statuto,
vengono definiti gli organi di governo dell’organizzazione che sono: assemblea
generale, consiglio di sicurezza, consiglio economico e sociale, consiglio di
amministrazione fiduciaria, corte internazionale di giustizia, segretariato, ma
l’organo più importante di tutti è il consiglio di sicurezza, anzi i soli
membri permanenti di tale consiglio, che assommano a se il potere di tutta
l’organizzazione. Tra i poteri del consiglio di sicurezza vi è anche quello di
accertare i requisiti degli Stati richiedenti di entrare a far parte
dell’organizzazione, è il consiglio che ne propone l’ammissione all’assemblea
generale, che con votazione a maggioranza dei due terzi decide in merito.
Attualmente l’ONU risulta composto da tutti gli Stati del mondo, dopo
l’ingresso nell’anno 2002, della Svizzera e di Timor Est. Con l’esclusione
dello Stato Città del Vaticano e dell’OLP palestinese che hanno lo status di
osservatori permanenti e di Taiwan che, a seguito della sciagurata delibera del
1971 la quale riconobbe la Cina
comunista unica e legittima rappresentante di tutta la Cina e vide esclusa la Cina nazionalista, ossia
Taiwan, dal contesto organizzativo, minando in questo modo il principio della
libera e autonoma scelta dei popoli a favore degli interessi della ragione di
Stato.
L’assemblea generale dell’ONU
svolge prevalentemente una funzione consultiva, essa coordina le attività
dell’organizzazione, approva gli accordi internazionali conclusi dai suoi
organi e il bilancio, ma può solo emettere “raccomandazioni ai paesi” e in
nessun caso procedere autonomamente a sanzioni o a esclusioni di Stato membro.
Il grosso del lavoro è svolto
dalle commissioni, la più importante delle quali è detta “piccola assemblea” e
svolge compiti di politica internazionale in collaborazione con il consiglio di
sicurezza, vera e propria centrale di potere dell’organizzazione.
Il consiglio di sicurezza, fino
al 1965 era composto da 11 membri, di cui 6 permanenti, oggi esso è composto da
5 membri a titolo permanente, che sono: USA, Gran Bretagna, Francia, Cina,
Russia (subentrata nel 1991 al posto dell’URSS) e 10 membri a titolo non
permanente, eletti ogni 2 anni dall’assemblea generale.
Le decisioni, non procedurali,
del consiglio di sicurezza, ossia quelle di politica internazionale, vanno
prese con voto concorde dei 5 membri permanenti, che hanno quindi un diritto di
veto su tutte le decisioni dell’ONU. Il principio di unanimità tra le grandi
potenze e il potere amplissimo del consiglio di sicurezza, impediscono una vera
democrazia dell’organizzazione, infatti si parla di “democrazia apparente” dell’ONU e di sostanziale “dominio
decisionale dei 5 membri permanenti”.
Da tempo si avanzano proposte di
riforma per aumentare la democrazia interna ed incrementare l’autorevolezza
dell’organizzazione, tra queste segnaliamo ad esempio quella che giace da molto
tempo e che prevede di portare da 5
a 10 i membri permanenti, con la presenza della
Germania, del Giappone e di 3 Stati rappresentanti i paesi di sviluppo, ma veti
incrociati, opinioni diverse, interessi conflittuali, un diverso senso di
giustizia e soprattutto la ragion di Stato di più di un paese ne impediscono la
realizzazione.
Tra i tanti poteri del consiglio
segnaliamo quello di indagine su qualsiasi situazione possa causare “attrito
internazionale” e dar luogo ad una controversia o conflitto, esso può adottare
sanzioni politiche ed economiche contro gli Stati che ne minacciano la
sicurezza internazionale e infine può avvalersi di forze armate messe a
disposizioni degli Stato membro e stabilire le regole d’ingaggio.
Al segretario generale, nominato
dall’assemblea generale, ma su proposta del consiglio di sicurezza, che adotta
la delibera solo quando vi è piena unanimità tra i 5 membri permanenti, restano
i compiti di coordinamento e poteri di iniziativa e convocazione del consiglio.
L’Italia aderisce all’ONU, dal 14
dicembre del 1955, esattamente 10 anni dopo la sua fondazione, anche se il suo
percorso di adesione risale al 1947, ed entra nella categoria dei “membri
successivi”. Infatti i membri originari sono i 47 Stati che hanno partecipato
alla Conferenza di San Francisco. Questa distinzione tra originari e successivi
non comporta attualmente una differenza di diritti e doveri, ma ha solo un valore
storico e ideologico. Durante il periodo precedente alla sua piena adesione
all’ONU, l’Italia ebbe l’incarico, nel 1949 di amministrare, per conto
dell’ONU, in modo fiduciario, la
Somalia in vista della sua indipendenza e tra il 1951 e il
1954, inviammo in Corea un ospedale da campo gestito dal Corpo Militare della
CRI.
Fummo quindi coinvolti nella
prima guerra dell’ONU. Il 23 giugno 1950, forze armate della Corea del Nord
aggredirono il governo di Seoul, che venne immediatamente condannata dal
consiglio di sicurezza e dall’assemblea generale, che delegarono gli USA al
compito di guidare una coalizione internazionale per l’applicazione delle
risoluzioni delle Nazioni Unite. In sostanza si trattò di una coalizione di
Stati la cui struttura militare e di comando coincisero in larghissima misura
con l’ottava U.S.Army.
Successivamente partecipammo, nel
1956, come caschi blu, in funzione di supporto logistico alla United Nations
Emergency Force I, nella crisi del canale di Suez.
Il primo vero intervento di peacekeeping
avvenne nel 1960 in Congo, a seguito
della risoluzione 143 del 14 luglio1960 del consiglio di sicurezza, che
prevedeva il controllo delle forze belghe ancora presenti dopo la dichiarazione
di indipendenza e assistenza al governo locale per il mantenimento dell’ordine
interno.
L’Aereonautica Militare italiana
ebbe l’incarico di supporto logistico del contingente schierato e l’11 novembre
del 1961, presso la località di Kindu, dove era acquartierata una guarnigione
dell’ONU, 13 militari dell’Aereonautica furono trucidati da un gruppo di
ribelli congolesi. Furono i nostri primi caduti, perché nelle successive 27
missioni portate a termine dai nostri contingenti militari il totale dei nostri
caduti ammonta a 50 uomini su 3.400 peacekeepers morti dalla fondazione
dell’ONU fino ad oggi.
Ventisette missioni seguirono
dopo la prima ufficiale del Congo in: Africa occidentale, Angola,
Bosnia-Erzegovina, Cambogia, Cipro, Congo-Darfur, El Salvator, Etiopia-Eritrea,
Guatemala, Haiti, India-Pakistan, Iran-Iraq, Kosovo, Kuwait-Iraq, Libano,
Egitto-Israele, Mozambico, Namibia, Repubblica democratica del Congo, Sahara
occidentale, Siria, Somalia, Sudan, Yemen, Libano, Mali. Sempre l’Italia si è
dimostrata disponibile a condividere i pericoli derivanti dal raggiungimento
dei fini e degli obiettivi dell’ONU, come la nostra Costituzione repubblicana,
all’articolo 11, definisce in modo esemplare per tutti: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo.”
Il mantenimento della pace, la
sicurezza internazionale, la giustizia sono per tutti gli Italiani non una
aspirazione ma un preciso impegno costituzionale, per questo motivo, negli
anni, siamo diventati il primo tra i paesi occidentali in termini di contributo
militare alle operazioni di peacekeeping e il settimo contributore finanziario
e, quindi, meritatamente attendiamo che, all’attuarsi della prossima riforma,
venga accolta la nostra richiesta di far parte in modo permanente del Consiglio
di sicurezza.
La professionalità delle nostre
forze armate è ampiamente riconosciuta e richiesta, diventando meritatamente un
vanto nazionale. Pertanto gli amministratori e i politici debbono operare
affinchè non manchino le risorse materiali alle nostre forze armate che, con il
loro sacrificio, impegno, alta professionalità, garantiscono la sicurezza del
nostro paese e operano secondo il mandato costituzionale per il mantenimento
della sicurezza internazionale.
Il prestigio internazionale che
scaturisce dal “buon operare delle nostre armate”, deve essere, come bene
insegna Camillo Benso conte di Cavour, trasformato, da altre amministrazioni,
più votate alla “diplomazia d’affari”, in ricchezza materiale per il paese.
In un’epoca come quella attuale,
dove vediamo aumentare i conflitti e la possibile richiesta di intervento da
parte delle nostre forze armate in funzione di peacekeeping, per garantire la
sicurezza e la pace, dobbiamo far ricorso a tutta la nostra razionalità e
comprendere che la pace è un “patto” che prevede sempre un dare e un avere; è
un’amicizia fondata sul principio di reciprocità che non è mai a interesse
zero, perché la Ragion
di Stato prevale sempre sui rapporti inter-statali. Questa palese verità, che
in ogni caso il nostro sentire democratico nega e cerca in ogni modo di
occultare, si palesa sempre ogniqualvolta all’ONU (e per esso il Consiglio di
sicurezza), che ricerca la composizione pacifica di controversie tra Stati, si
impone l’obbligo di far ricorso all’uso della forza.
In questi casi la legittimità e
la legalità dell’atto confligge con la scarsa democrazia interna
dell’organizzazione. Quindi, i giuristi, per sanare questa evidente e ormai
“cronica” contraddizione, pongono mano ad una casistica di eccezioni al divieto
di guerra.
La prima eccezione, storicamente,
fu legata alle “guerre di liberazione” e all’uscita dal dominio coloniale con
il raggiungimento dell’indipendenza di molti Paesi; poi si dovettero
giustificare gli interventi militari dell’URSS nei Paesi satelliti e quelli
degli USA in Corea e nel Vietnam, di nuovo l’URSS in Afghanistan, gli USA a
Grenada ed in Iraq ed altre ancora. Dove
le accuse di illegalità e illegittimità, da più parti invocate, non
furono prese in considerazione e nessuna condanna né politica, né giuridica fu
emessa per il loro operato. In questo modo i membri permanenti del Consiglio di
sicurezza hanno violato il principio cardine dell’ONU ossia: “l’assoluta illegalità della guerra” a
favore della loro ragione di Stato.
Altre eccezioni riguardano le
guerre civili e l’intervento armato per ragioni umanitarie. In questi casi
l’uso della forza, anzi la guerra, perché di ciò si tratta, diviene “legittima,
legale, morale” perché si fonda sul preteso consenso universale di una
organizzazione, anche se a democrazia apparente. E’un camuffamento che nasconde
interessi particolari e ragioni di Stato, che esclude la stragrande maggioranza
degli Stati membri dell’ONU, perché le decisioni sono saldamente in mano agli
Stati permanenti del Consiglio di sicurezza e alla loro diplomazia.
In attesa di una vera riforma
democratica dell’ONU e dei suoi principali organi, non possiamo, in conformità
al dettato della nostra Costituzione e per il pieno convincimento del popolo
italiano, limitarci nelle partecipazioni alle missioni di pace, ma dobbiamo
tornare a tener presente “la nostra ragione di Stato”, come bene affermano i
nostri padri costituenti quando scrivono, all’articolo 7, “(…) consente, in condizioni di parità”.
Aggiustamenti e cambiamenti
debbono realizzarsi nella nostra sfera politico diplomatica, con un approccio
meno idealistico e più concreto nei confronti degli interessi nazionali, quando
si presenteranno richieste di una nostra nuova partecipazione a missioni di
pace, essendo questo cambiamento, da molto tempo richiesto da tutto il Paese.
Concludo qui il mio intervento,
consapevole di aver affrontato superficialmente e sommariamente i tanti temi
riguardanti il peacekeeping, ma il tempo è tiranno e quindi in altre occasioni
spero di riprendere il discorso interrotto.
Bibliografia e sitografia di
riferimento
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https://www.rapportoannuale.amnesty.it/2014
-2015
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