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domenica 6 marzo 2016

Albania. Nota di Studio. Introduzione

SCENARI, REGIONI,QUADRANTI



C.V.  Astrit ALIAJ

ALBANIA

INDICE

Introduzione
Prima Parte – Storia del Kosovo dalle origini alla fine dell’impero ottomano
1.1 Posizione geografica e caratteristiche demografiche
1.2 Le origine degli albanesi
1.3 Il Kosovo medievale serbo
1.4 I Balcani durante l’impero ottomano
1.5 La disgregazione dell’impero ottomano e il destino del Kosovo
Seconda Parte – Il Kosovo durante le guerre mondiali ed il federalismo jugoslavo
2.1 La rinascita nazionale albanese ed il Congresso di Berlino
2.2 Dal Regno Serbo-Croato-Sloveno alla prima R.F.J
2.3 Il Kosovo sotto Tito
Terza Parte – Intervento della Nato e l’indipendenza del Kosovo
3.1    Il Kosovo sotto Miloševič e la crisi della R.F.J
3.2    3.2 La strategia non violenta di Ibrahim Rugova e L’Uçk
3.3 Gli accordi di Dayton e le discussioni del Kosovo
3.4Lufta Çlirimtare dhe ndërhyrja veriatlantike Intervento militare-unamitario della Nato 
3.6 Il Kosovo come elemento di stabilità regionale
Conclusione
Appendice
Bibliografia
“Quando gli uomini entrano in conflitto
 non è perché hanno costumi o culture diverse,
 ma per conquistare il potere,
e quando lo fanno seguendo schieramenti etnici
 è perché quello dell’etnicità diventa il mezzo più efficace per farlo”.
Ugo Fabietti

Introduzione

Parlare della storia e delle radici dei popoli dei Balcani è molto difficile ma non impossibile. Lo stesso vale anche per la storia del Kosovo. Io non mi ritengo uno storico però questo non significa che non abbia le conoscenze appropriate sulla storia di questo Paese. Prima di introdurvi il tema vorrei citare un detto molto comune tra le varie nazionalità in Kosovo. Questo detto si usa quando si chiede: “ di chi è il Kosovo, e chi sono stati i primi ad abitarci? ” si risponde con un’ altra domanda: “ c’è stato prima l’uovo o la gallina? “. Penso che sia ovvia l’importanza di questa frase e non vale la pena di commentarla oltre.
Con la consapevolezza della complessità del tema vorrei esprimere comunque il mio giudizio. La maggior parte dei storici nazionali ed internazionali vedono la storia del Kosovo in modi diversi o meglio dire in modi che servono alle ipotesi usate dagli estremisti e nazionalisti di tutte le comunità che fanno parte del Kosovo. A parte questo, tutti siamo consapevoli che la storia molto spesso è stata scritta da coloro che avevano maggiore influenza. Ma esistono anche i storici contemporanei che sono critici e creativi e che vedono le cose sotto un’ottica logica e neutrale. Secondo la mia opinione che prende spunto dalla letteratura usata durante i miei studi, la storia del Kosovo non può esser vista distaccata dalla storia dell'Albania. Come gli albanesi che vivono in Albania anche gli albanesi del Kosovo condividono l'idea che siamo discendenti degli Illiri, abbiamo la stessa lingua e le stesse tradizioni ma con differenze e vari dialetti. Secondo le tesi più accreditate esso discende dagli illiri o, in subordine, dai traci. Noel Malcom individua la prima apparizione degli albanesi “sul palcoscenico della storia” nel 1043, nei ranghi dell’esercito guidato da un generale bizantino ribelle, e rileva come nei due secoli successivi i riferimenti ad essi aumentino. Lo stesso autore propone una serie d’ipotesi basate sullo studio della lingua albanese per dimostrare la continuità, o almeno la comune origine, tra una popolazione insediata nei pressi di Durazzo, denominata da Tolomeo nel II secolo d. C. “Albanenses” in latino o “Albanoi” in greco bizantino, e gli albanesi medievali, senza però raggiungere conclusioni esaurienti[1].
Nel primo capitolo cercherò di ricostruire la storia del Kosovo proponendone non tanto un’analisi super partes o oggettiva, cosa che non ritengo possibile né di particolare utilità in ambito di ricerca storiografica, ma cercando di fornire una versione perlomeno distaccata da logiche d’appartenenza o di convenienza politica. Pur senza nutrire alcuna pretesa di esaustività, sono convinto che il modo migliore per fare ciò sia cimentarsi nel
tentativo di restituire alla storia quella sua caratteristica essenziale, la complessità, che è stata invece a lungo negata da quei sedicenti intellettuali che hanno inteso ricercare in una storia ridotta ad aneddoto una presunzione di legittimità all’ostilità verso quanti hanno eletto a nemici del (proprio) popolo. Può allora essere utile sottolineare come la nozione di nazione e tutti i suoi derivati siano concetti assai recenti, e che ogni tentativo di isolare una presunta storia nazionale dal contesto complessivo in cui si è svolta è ad alto rischio d’incorrere in anacronismi, nel caso sia condotto in buona fede, o, qualora tale requisito non sia dato, di manipolazione propagandistica. Sarà dunque interessante riscoprire, a titolo d’esempio, come gli antichi re serbi fossero disposti a siglare alleanze e a sottomettersi a sovrani stranieri e d’altra religione, pur di mantenere intatto il proprio dominio, oppure riscoprire come dietro le prime rivendicazioni nazionali albanesi si nascondesse in realtà un disegno conservatore antimoderno e non un appello alla libertà dei popoli; fa un certo effetto rilevare come durante la Battaglia del Campo dei merli, che dal Romanticismo in poi è divenuta il simbolo stesso dello scontro tra serbi e albanesi, se non addirittura tra Occidente e Islam, sia gli uni che gli altri fossero schierati in entrambi gli eserciti che si affrontavano perché allora nessuna logica di lealtà nazionale era ipotizzabile. Ripercorrere le tappe della guerra aperta tra le dinastie regali serbe è interessante almeno quanto conoscere le spaccature e le rivalità, risolte a colpi d’arma da fuoco, che attraversavano il movimento irredentista kosovaro, prima che esso diventasse feudo dei servizi segreti delle potenze europee. Dedicherò quindi un certo spazio alla situazione conosciuta dal Kosovo sotto la Jugoslavia di Tito. Sebbene non si possano – né io voglia – rimuovere le responsabilità di quel regime nel negare ai propri cittadini alcuni diritti civili fondamentali, l’impostazione politico-istituzionale proposta in quegli anni è oggi oggetto di feroci critiche che io ritengo eccessive ed ingenerose. Se ci fu mai un momento in cui quell’arretrata regione conobbe sviluppo sociale diffuso e un allentamento delle tensioni nazionali, quello fu proprio il periodo inaugurato dalle modifiche costituzionali introdotte nella seconda metà degli anni ’60 dalla classe dirigente jugoslava.
Nel secondo capitolo proverò a tracciare un percorso d’analisi del fenomeno nazionalista, cercando di focalizzare l’attenzione su quell’accezione impostasi nei Balcani alla metà del secolo XIX la cui eredità avvelenata non è ancora stata superata. Cercherò di mettere in rilievo tutta l’artificialità dei processi di costruzione dell’identità nazionale fondati su presunte tradizioni e tratti etnici condivisi, a partire da una panoramica di studi che ritengo confermare le mie convinzioni. Posso dire sin d’ora che gli autori a cui sono maggiormente debitore sono Eric J. Hobsbawm anzitutto, quindi Ernest Gellner e Benedict Anderson. Per quanto riguarda invece le rapide considerazioni che svolgerò sull’uso pubblico della storia, l’autore a cui ho fatto principalmente riferimento è Nicola Gallerano. Nella seconda parte del capitolo soffermerò l’attenzione sulla strategia politica lucidamente portata avanti dal gruppo dirigente facente capo a Slobodan Milošević negli anni ’80 dello scorso secolo, finalizzata ad esasperare le tensioni interetniche regionali al fine di fortificare il proprio potere dietro la solida corazza rappresentata da un’irrazionale paura dell’Altro capillarmente diffusa tramite una sistematica azione di propaganda dai toni fanatici, che ha saputo coinvolgere e mobilitare una quota critica della società serba. Sarà mia cura sottolineare con un certo vigore la gravissima responsabilità di cui si è macchiata buona parte della classe intellettuale serba nell’appoggiare in maniera incondizionata tale operazione politica, così tradendo in maniera clamorosa la propria missione ed il proprio ruolo sociale. Dal mio punto di vista, smascherare e denunciare tale comportamento è cosa relativamente facile perché, come rileva Ugo Fabietti, “quando gli uomini entrano in conflitto non è perché hanno costumi o culture diverse, ma per conquistare il potere, e quando lo fanno seguendo schieramenti etnici è perché quello dell’etnicità diventa il mezzo più efficace per farlo[2].
Il capitolo si chiude con un’analisi del processo di vicendevole esclusione avvenuto in Kosovo tra la comunità serba e quella albanese allorquando il dialogo reciproco è stato bruscamente interrotto. Da questo punto di vista si può sostenere che il conflitto è stato preparato sul piano culturale da un mancato riconoscimento dell’interlocutore e dalla circolazione esclusiva nel discorso pubblico di una narrazione unilaterale per cui l’Altro veniva citato solo in qualità di persecutore o nemico. Le comunità si sono così arroccate in se stesse negando(si) ogni possibilità di confronto con coloro con cui, paradossalmente, continuavano a condividere una presenza fisica ma nessuna forma di narrazione della realtà.


[1] Cfr. N. Malcom, op. cit., pp. 59 e seguenti.
[2] U. Fabietti, cit. in M. Aime, Eccessi di culture, Torino, Einaudi, 2004, p. 80. 

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