INDICE
Introduzione
Prima Parte – Storia
del Kosovo dalle origini alla fine dell’impero ottomano
1.1 Posizione geografica e caratteristiche demografiche
1.2 Le origine degli albanesi
1.3 Il Kosovo medievale serbo
1.4 I Balcani durante l’impero ottomano
1.5 La disgregazione dell’impero ottomano e il destino
del Kosovo
Seconda Parte – Il
Kosovo durante le guerre mondiali ed il federalismo jugoslavo
2.1 La rinascita nazionale albanese ed il Congresso di Berlino
2.2 Dal Regno Serbo-Croato-Sloveno alla prima R.F.J
2.3 Il Kosovo sotto Tito
Terza Parte – Intervento
della Nato e l’indipendenza del Kosovo
3.1
Il Kosovo sotto Miloševič e la crisi della R.F.J
3.2
3.2 La
strategia non violenta di Ibrahim Rugova e L’Uçk
3.3 Gli accordi di Dayton e le discussioni del Kosovo
3.4 Intervento militare-unamitario della Nato
3.6 Il Kosovo come elemento
di stabilità regionale
Conclusione
Appendice
Bibliografia
“Quando gli uomini
entrano in conflitto
non è perché hanno costumi o culture diverse,
ma per conquistare il potere,
e quando lo fanno seguendo
schieramenti etnici
è perché quello dell’etnicità diventa il mezzo più efficace per farlo”.
Ugo Fabietti
Introduzione
Parlare
della storia e delle radici dei popoli dei Balcani è molto difficile ma non
impossibile. Lo stesso vale anche per la storia del Kosovo. Io non mi ritengo
uno storico però questo non significa che non abbia le conoscenze appropriate
sulla storia di questo Paese. Prima di introdurvi il tema vorrei citare un
detto molto comune tra le varie nazionalità in Kosovo. Questo detto si usa
quando si chiede: “ di chi è il Kosovo, e chi sono stati i primi ad abitarci? ”
si risponde con un’ altra domanda: “ c’è stato prima l’uovo o la gallina? “.
Penso che sia ovvia l’importanza di questa frase e non vale la pena di
commentarla oltre.
Con
la consapevolezza della complessità del tema vorrei esprimere comunque il mio
giudizio. La maggior parte dei storici nazionali ed internazionali vedono la
storia del Kosovo in modi diversi o meglio dire in modi che servono alle
ipotesi usate dagli estremisti e nazionalisti di tutte le comunità che fanno
parte del Kosovo. A parte questo, tutti siamo consapevoli che la storia molto
spesso è stata scritta da coloro che avevano maggiore influenza. Ma esistono
anche i storici contemporanei che sono critici e creativi e che vedono le cose
sotto un’ottica logica e neutrale. Secondo la mia opinione che prende spunto
dalla letteratura usata durante i miei studi, la storia del Kosovo non può
esser vista distaccata dalla storia dell'Albania. Come gli albanesi che vivono
in Albania anche gli albanesi del Kosovo condividono l'idea che siamo
discendenti degli Illiri, abbiamo la stessa lingua e le stesse tradizioni ma
con differenze e vari dialetti. Secondo le tesi più accreditate esso discende dagli illiri o,
in subordine, dai traci. Noel Malcom individua la prima apparizione degli
albanesi “sul palcoscenico della storia” nel 1043, nei ranghi dell’esercito
guidato da un generale bizantino ribelle, e rileva come nei due secoli
successivi i riferimenti ad essi aumentino. Lo stesso autore propone una serie
d’ipotesi basate sullo studio della lingua albanese per dimostrare la
continuità, o almeno la comune origine, tra una popolazione insediata nei
pressi di Durazzo, denominata da Tolomeo nel II secolo d. C. “Albanenses”
in latino o “Albanoi” in greco bizantino, e gli albanesi medievali,
senza però raggiungere conclusioni esaurienti[1].
Nel primo capitolo cercherò di ricostruire la storia del
Kosovo proponendone non tanto un’analisi super partes o oggettiva, cosa
che non ritengo possibile né di particolare utilità in ambito di ricerca
storiografica, ma cercando di fornire una versione perlomeno distaccata da
logiche d’appartenenza o di convenienza politica. Pur senza nutrire alcuna pretesa
di esaustività, sono convinto che il modo migliore per fare ciò sia cimentarsi
nel
tentativo di restituire alla storia quella sua
caratteristica essenziale, la complessità, che è stata invece a lungo negata da
quei sedicenti intellettuali che hanno inteso ricercare in una storia ridotta
ad aneddoto una presunzione di legittimità all’ostilità verso quanti hanno
eletto a nemici del (proprio) popolo. Può allora essere utile sottolineare come
la nozione di nazione e tutti i suoi derivati siano concetti assai recenti, e
che ogni tentativo di isolare una presunta storia nazionale dal contesto
complessivo in cui si è svolta è ad alto rischio d’incorrere in anacronismi,
nel caso sia condotto in buona fede, o, qualora tale requisito non sia dato, di
manipolazione propagandistica. Sarà dunque interessante riscoprire, a titolo
d’esempio, come gli antichi re serbi fossero disposti a siglare alleanze e a
sottomettersi a sovrani stranieri e d’altra religione, pur di mantenere intatto
il proprio dominio, oppure riscoprire come dietro le prime rivendicazioni
nazionali albanesi si nascondesse in realtà un disegno conservatore antimoderno
e non un appello alla libertà dei popoli; fa un certo effetto rilevare come
durante la Battaglia del Campo dei merli, che dal Romanticismo in poi è
divenuta il simbolo stesso dello scontro tra serbi e albanesi, se non
addirittura tra Occidente e Islam, sia gli uni che gli altri fossero schierati in
entrambi gli eserciti che si affrontavano perché allora nessuna logica di
lealtà nazionale era ipotizzabile. Ripercorrere le tappe della guerra aperta tra
le dinastie regali serbe è interessante almeno quanto conoscere le spaccature e
le rivalità, risolte a colpi d’arma da fuoco, che attraversavano il movimento
irredentista kosovaro, prima che esso diventasse feudo dei servizi segreti
delle potenze europee. Dedicherò quindi un certo spazio alla situazione
conosciuta dal Kosovo sotto la Jugoslavia di Tito. Sebbene non si possano – né
io voglia – rimuovere le responsabilità di quel regime nel negare ai propri
cittadini alcuni diritti civili fondamentali, l’impostazione politico-istituzionale
proposta in quegli anni è oggi oggetto di feroci critiche che io ritengo eccessive
ed ingenerose. Se ci fu mai un momento in cui quell’arretrata regione conobbe sviluppo
sociale diffuso e un allentamento delle tensioni nazionali, quello fu proprio
il periodo inaugurato dalle modifiche costituzionali introdotte nella seconda
metà degli anni ’60 dalla classe dirigente jugoslava.
Nel
secondo capitolo proverò a tracciare un percorso d’analisi del fenomeno nazionalista,
cercando di focalizzare l’attenzione su quell’accezione impostasi nei Balcani alla
metà del secolo XIX la cui eredità avvelenata non è ancora stata superata. Cercherò
di mettere in rilievo tutta l’artificialità dei processi di costruzione
dell’identità nazionale fondati su presunte tradizioni e tratti etnici
condivisi, a partire da una panoramica di studi che ritengo confermare le mie
convinzioni. Posso dire sin d’ora che gli autori a cui sono maggiormente
debitore sono Eric J. Hobsbawm anzitutto, quindi Ernest Gellner e Benedict Anderson.
Per quanto riguarda invece le rapide considerazioni che svolgerò sull’uso pubblico
della storia, l’autore a cui ho fatto principalmente riferimento è Nicola
Gallerano. Nella seconda parte del capitolo soffermerò l’attenzione sulla
strategia politica lucidamente portata avanti dal gruppo dirigente facente capo
a Slobodan Milošević negli anni ’80 dello scorso secolo, finalizzata ad
esasperare le tensioni interetniche regionali al fine di fortificare il proprio
potere dietro la solida corazza rappresentata da un’irrazionale paura
dell’Altro capillarmente diffusa tramite una sistematica azione di propaganda
dai toni fanatici, che ha saputo coinvolgere e mobilitare una quota critica
della società serba. Sarà mia cura sottolineare con un certo vigore la
gravissima responsabilità di cui si è macchiata buona parte della classe
intellettuale serba nell’appoggiare in maniera incondizionata tale operazione
politica, così tradendo in maniera clamorosa la propria missione ed il proprio ruolo
sociale. Dal mio punto di vista, smascherare e denunciare tale comportamento è
cosa relativamente facile perché, come rileva Ugo Fabietti, “quando gli
uomini entrano in conflitto non è perché hanno costumi o culture
diverse, ma per conquistare il potere, e quando lo fanno seguendo
schieramenti etnici è perché quello dell’etnicità diventa il mezzo più
efficace per farlo”[2].
Il
capitolo si chiude con un’analisi del processo di vicendevole esclusione
avvenuto in Kosovo tra la comunità serba e quella albanese allorquando il
dialogo reciproco è stato bruscamente interrotto. Da questo punto di vista si
può sostenere che il conflitto è stato preparato sul piano culturale da un
mancato riconoscimento dell’interlocutore e dalla circolazione esclusiva nel
discorso pubblico di una narrazione unilaterale per cui l’Altro veniva citato
solo in qualità di persecutore o nemico. Le comunità si sono così arroccate in se
stesse negando(si) ogni possibilità di confronto con coloro con cui,
paradossalmente, continuavano a condividere una presenza fisica ma nessuna
forma di narrazione della realtà.
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