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venerdì 26 febbraio 2016

Progetto Albania. Materiali

La condizione delle donne albanesi


Le studentesse
della classe XII e V della Sezione Bilingue
italo-albanese di Tirana
2012*

   

Questo articolo è il risultato di un progetto sulla violenza alle donne, portato avanti dagli studenti delle classi XII e V della Sezione Bilingue italo-albanese di Tirana insieme agli studenti di un liceo di Parma.
Al progetto ha partecipato anche il Centro Antiviolenza di Parma e la Biblioteca Spazio Donne di Tirana con il patrocinio della Regione Emilia Romagna.      
 L’iniziativa ha previsto varie attività : la visione di un video contenente le testimonianze di donne vittime di violenza in Albania, prodotto dalle donne del Forum contro la violenza, la  lettura di diversi articoli sulla condizione della donna in Albania, un incontro con operatrici del Centro Antiviolenza di Parma  e un conclusivo incontro in videoconferenza con gli alunni del liceo di Parma, tenutosi nei locali della Biblioteca delle Donne di Tirana. Particolarmente interessante per gli alunni albanesi  si è rivelato l’incontro in videoconferenza   perché, permettendo loro di confrontarsi con una realtà  a volte diversa da quella albanese, ha reso possibile una visione più lucida e oggettiva della condizione della donna in Albania.

ROSANNA MAROTTI
  docente di Lettere della Sezione Bilingue italo-albanese di Tirana


LA CONDIZIONE DELLE DONNE IN ALBANIA

C’è una leggenda nella tradizione culturale albanese che ci fa capire  molto bene il ruolo della donna nell'immaginario albanese: la storia di Rozafa. Questa donna leggendaria fu murata viva da suo marito e dai suoi fratelli per annullare una maledizione che impediva loro di costruire il castello che sovrasta Scutari. Prima di morire Rozafa chiese che le lasciassero fuori almeno un braccio per accarezzare   suo figlio neonato, un seno per allattarlo e un piede per dondolare la sua culla.
Questa leggenda ci ricorda che la vita delle donne in Albania è     considerata meno importante di quella degli uomini e che lo spirito di sacrificio delle donne albanesi sembra non esaurirsi mai.  
 D’altra parte  se si considera il ruolo che il Kanun ha sempre rivestito nella società albanese, forse possiamo meglio capire qual è il posto che viene assegnato alla donna nella società albanese.
Il kanun, che è un codice di consuetudini promulgato nel 1450, le cui                                       
norme ancora influenzano la società albanese. 
«Secondo questo codice, la donna si trova in una condizione di sottomissione assoluta. Una norma di questo codice, ad oggi frequentemente citata dagli e dalle albanesi, afferma che la donna è "un piccolo otre fatto per sopportare pesi e fatiche"» (Abbatecola, 2005: p.109)
E’ facile capire come ciò non abbia un’influenza positiva sulla condizione femminile e ponga la donna in una condizione di subalternità all’uomo     nella vita sociale e in quella domestica.
Questa subalternità della donna, socialmente accettata, ha agevolato e "legittimato"forme di sfruttamento e di prepotenza esercitate dall’uomo sulla donna, basti pensare che nelle zone più povere e isolate del paese ancora il padre o i fratelli possono arrivare a vendere la figlia o la sorella. Spesso la nascita di una figlia femmina, ancora oggi, non è ben accettata e, soprattutto tra le donne originarie del nord dell’Albania, è diffuso l’uso dell’aborto selettivo, se si scopre che il feto è di sesso femminile,preferendo alla nascita di una figlia femmina, quella di un figlio maschio che tramanderà il nome della famiglia.
La ginecologa Rubena Moisiu primario della clinica Kiço Gliozheni di Tirana spiega “Non vi sono statistiche accurate, ma in base ai nostri sondaggi,   solo nel 2010 sono avvenuti 470 aborti. Le cause principali sono i motivi economici, le deformazioni e il sesso del feto“
 Del problema ha scritto la giornalista Anna Meldolesi nel suo libro “Mai nate” recentemente pubblicato dalla Mondadori Università e la giornalista Mariola Rukaj in un articolo uscito il 14 dicembre sulla rivista online “Osservatorio Balcanico”che riporta  i risultati di un rapporto del Consiglio d’Europa in cui emerge che in Albania nascono 112 maschi per 100 femmine.
Sicuramente fino al 1945 in tutta l’Albania la donna non aveva nessun diritto: fin da piccola era fidanzata dalla famiglia (non poteva scegliere il proprio futuro marito); insieme alla dote veniva consegnato al marito anche un proiettile che gli serviva   nel caso lei “non rispettasse le regole” (verginità, alzarsi quando un uomo entra in casa, non parlare mai prima che abbiano parlato gli uomini etc.)
   Durante la seconda guerra mondiale, malgrado le tante restrizioni che caratterizzavano la sua esistenza,la donna albanese  partecipò alla lotta  di liberazione antifascista,(6.000 donne fecero parte dell'esercito dei partigiani, in una popolazione in quel tempo solo di un milione di abitanti) Il regime comunista diede per questo come premio alle donne   uguaglianza giuridica con gli uomini, diritto al voto e stessi salari. 
Così dopo il 1945,le donne sono entrate gradualmente nella vita economica del paese, diventando forza principale nella produzione sia nelle città che nelle zone rurali. In quel periodo fu fissata l'istruzione obbligatoria per le donne   e l’abolizione del Kanun.
Ma siccome  l'uguaglianza non è soltanto un atto legale, ma si realizza anche con una trasformazione  culturale e psicologica, caduto il regime,  la condizione della donna non continuò a migliorare come avrebbe dovuto accadere.Come nella maggior parte dei paesi ex socialisti cominciò ad abbassarsi la percentuale di donne presenti negli apparati statali e nei vari settori produttivi. 
Se facciamo riferimento alla partecipazione delle donne nella vita politica in Albania prima degli anni '90, la percentuale della rappresentanza femminile era   più del 30%; dopo le elezioni del '91 le donne presenti in Parlamento sono diventate 8 su 140 deputati, la percentuale è quindi scesa al 5,7%.
  Le donne, prima degli anni ’90,   coprivano  l'80% dell'industria leggera e del sistema d'istruzione. Oggi, dopo la privatizzazione e la chiusura delle fabbriche, queste donne sono perlopiù disoccupate.
Questo non vuol dire che la condizione della donna durante il regime fosse ottimale;al contrario durante questo periodo la donna albanese era sottoposta a forti richieste dalla società comunista: la donna doveva crescere i figli, mantenere la famiglia e fare i turni in fabbrica.
Se ci soffermiamo ad analizzare la condizione delle donne in Albania dal 1990 ad oggi,cioè nel post-regime,a differenza di quanto avvenuto in altri paesi ex-socialisti, in cui difficoltà di natura economica e sociale hanno portato a rivolgimenti politici e a mutamenti sostanziali  nell’organizzazione familiare, cioè  nel modo di vivere le relazioni sociali e in particolare quelle tra uomo e donna (diminuzione dei matrimoni,diffusione delle unioni di fatto aumento delle nascite fuori dall’unione matrimoniale),   in Albania non ci sono stati cambiamenti  innovatori nei costumi sociali, sembra che nella società albanese ci sia una resistenza ai cambiamenti:le generazioni giovani,soprattutto quelle femminili, continuano a sposarsi in età piuttosto precoce e il ruolo centrale occupato dall’istituzione matrimoniale rende in Albania assolutamente marginale la possibilità che si possa mettere su famiglia al di fuori dei legami per così dire “legali”. “La società albanese appare ancora oggi impregnata di forti tradizioni patriarcali   e la subordinazione di genere sembra essere ancora radicata nelle coscienze tanto degli uomini quanto delle donne” (National Equity Commitee 2002).
 Il tentativo da parte degli uomini di conservare le tradizionali gerarchie potrebbe spiegare il fenomeno della violenza domestica in Albania e l’idea che le violenze fisiche e psicologiche facciano in qualche modo parte della vita coniugale.
A tal fine ci sembra interessante riportare   i risultati di un rapporto di
Amesty international sulla violenza alle donne in albania del marzo
2006 (poco prima che fosse approvata dal Parlamento la legge sulla violenza domestica) in cui si sollecitava il governo albanese a rispettare i suoi obblighi e prendere immediate misure per proteggere la vita di migliaia di donne che subiscono violenza da parte dei loro partner.
 "Sollecitiamo il governo di Tirana a predisporre un piano d'azione che comprenda meccanismi di protezione per le donne che subiscono violenza e a incriminare e punire i responsabili, rendendo la violenza
domestica un reato penale" - afferma Amnesty International.
Nel rapporto emergeva che le donne albanesi sono portate a credere che a loro non spettino gli stessi diritti degli uomini e che la violenza domestica sia un elemento normale del matrimonio. Tutto questo le
spinge a non chiedere aiuto alla polizia e a non avere fiducia nel sistema giudiziario. Quando una donna telefona alla polizia per denunciare un caso di violenza, trova spesso dall'altra parte della cornetta riluttanza a intervenire e a prendere misure adeguate.
La battaglia per ottenere una legge per la protezione delle donne ha coinvolto decine di Ong che si occupano di diritti umani. L’arrivo della legge in Parlamento (il 23 gennaio 2006) è stato vissuto come un evento di grande significato. Ciononostante, a tutt’oggi l’unico avanzamento in sede legislativa è costituito dal nuovo Codice di famiglia (2003), che stabilisce alcuni provvedimenti per la protezione delle vittime, oltre a misure volte ad assicurare l’equità e la non discriminazione nelle cause di divorzio riguardo alla proprietà, alla 
custodia e al mantenimento dei figli.
La legge definisce quali sono le istituzioni statali competenti in materia di violenza domestica e garantisce alla magistratura il potere di adottare “misure di protezione restrittive”contro gli autori delle violenze,ma molto spesso le norme restano inapplicate. Resta il fatto che i casi di violenza domestica, da quando è stata approvata la legge, sembrano essere aumentate:dall'inizio del 2011, vi sono stati più casi di donne assassinate e nessun colpevole in galera.Questo potrebbe non essere un dato del tutto negativo perché potrebbe significare che finalmente il fenomeno sta iniziando ad emergere dalle mura chiuse di casa. 
Dai dati emerge che la violenza avviene in più forme: da quella emotiva, a quella economica (in particolare nelle aree urbane) a quella fisica (in particolare nelle aree rurali), a quella sessuale, che è la più sommersa. I gruppi d'età che subiscono più violenze sono solitamente quelli di ragazze e donne che vanno dai 18 ai 23 anni e dai 37 ai 45. Tra tutte le vittime le più vulnerabili sono quelle con disabilità, donne migranti, rom e ragazze e donne originarie delle zone rurali.Per quanto riguarda l'assistenza alle vittime, quella che arriva dalle istituzioni statali è talmente minima che può considerarsi praticamente inestistente. Nonostante la legge del 2006 vi sono enormi difficoltà nel garantire protezione alle vittime, aiutarle a trovare lavoro, una casa, e garantire ai loro figli diritti adeguati.
  
Tuttavia qualcosa si sta muovendo e stanno nascendo numerose associazioni che operano nell’ambito del contrasto alla violenza alle
donne. In particolare,  la Regione Emilia Romagna  dà il proprio sostegno a questo tipo di attività in  Albania, soprattutto nelle aree di Scutari, Elbasan e Valona, occupandosi di formazione professionale finalizzata all’inserimento delle donne nel mondo lavorativo. 


L'articolo è stato predisposto a seguito di una visita in Albania in occasione della presentazione del Volume "Albania" in lingua albanese.

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