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domenica 9 marzo 2025

Una pagina della nostra storia recente

 APPROFONDIMENTI


QUESTIONE DI TRIESTE 1943 - 1954*




Con il trattato tra Jugoslavia ed Italia, con il quale si stabilivano definitivamente i confini tra i due paesi, si chiudeva nel 1975 uno dei tanti contenziosi che la fine della Seconda Guerra Mondiale aveva aperto, quello che noi italiani definivamo la “Questione di Trieste”. A seconda dei punti di vista tale Trattato rappresenta un “tradimento” oppure un inizio di stabilità nel quadro generale europeo.


L’Italia perse il controllo di Trieste all’indomani della firma dell’armistizio del settembre 1943. (Fig.1) quando le truppe tedesche occuparono tutta l’Italia sulla base del Piano “Ache” già predisposto all’indomani del 25 luglio 1943, quando cadde Mussolini ed il fascismo si sciolse come neve al sole.


Trieste fu occupata il 10 settembre 1943. La Repubblica Sociale Italiana, riconosciuta dalla Germania, aveva riconosciuto tali confini creando

Nell’ottobre 1944 i Britannici, in disaccordo con gli Statunitensi, lanciarono una pesante offensiva (Operazione Olive) che, da Rimini, superata Bologna e Venezia, doveva raggiugere Trieste per puntare su Vienna e raggiungere il centro Europa, in funzione antirussa, ma non ebbe successo. La conseguenza furono gravi.

Gli alleati giunsero a Trieste, dopo le forze titine, che la occuparono il 1 maggio 1945 (la resa delle forze tedesche in Italia è del 2 maggio 1945). Gli jugoslavi rimasero a Trieste per 40 giorni, poi furono costretti a ritirarsi.

Si apre la prima fase della “Questione di Trieste”. L’Italia non aveva alcuna capacità di incidere sulla situazione e doveva dipendere dalle decisioni altrui, nel quadro dei rapporti di forza. Come fu il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che in pratica riconobbe i confini tracciati dai tedeschi nel settembre 1943.

Gli Alleati gestirono nel modo peggiore la situazione. Fatte arretrare le truppe titine, divisero il territorio di Trieste in due zone, la Zona A, sotto amministrazione fiduciaria alleata, comprendere anche Pola, e la Zona B sotto amministrazione fiduciaria jugoslava. Tutto il resto dell’Istria, già italiana fino al 1943 era tacitamente assegnato alla Jugoslavia. L’Italia aveva perso la guerra


Le speranze di recuperare i vecchi confini ed avere l’Istria (Fiume, Pola, e el altre città italiane della costa dalmata) erano riposte nella volontà degli Stati Uniti, ormai diventata superpotenza, e della Gran Bretagna, che ancora aveva un peso in Europa..

In realtà gli Stati Uniti, guardavano a Tito con simpatia dopo la sua rottura con Stalin del 1948, mentre la Gran Bretagna, che lo aveva sostenuto durante la guerra partigiana, era più incline a sostenere le posizioni    di Belgrado che quelle di Roma.

In pratica sul piano diplomatico non vi era alcuna speranza di avere i vecchi confini. Solo una guerra avrebbe permesso di averli, condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna, cioè dalla Nato, contro la Jugoslavia avrebbe permesso all’Italia di veder soddisfatte le sue aspettative.

Emergeva in tutta la sua crudele realtà il dato che viene sempre ignorato: l’Italia aveva perso la guerra e queste erano le conseguenze. L’annessione della Germania di questi territori nel settembre del 1943 fu il primo gravissimo colpo della nostra sconfitta, che aprì la strada a tutto il resto. Nessuno poi, dei nostri alleati, voleva sacrificarsi per le nostre aspirazioni e l’Italia, ovviamente, non era in condizioni di condurre una guerra da sola contro la Jugoslavia. Ritornata Trieste e la Zona A all’Italia, la questione entro in stallo e via via perse di interesse.


Questa situazione rimase in sospeso fino al 1975. In Italia intanto si era diffusa la falsa idea che l’Italia avesse vinto la seconda guerra mondiale con l’epopea partigiana, che quanto svolto dagli Italiani dal 1941 in poi in quei territori fosse di responsabilità non dell’Italia democratica e repubblicana, che quanto i nostri confinanti facevano erano fuori del diritto internazionale, quasi un abuso (esodo delle popolazioni giuliano-dalmate). In pratica l’Italia denunciava la poca comprensione dei suoi alleati., era vittima della propria propaganda e dei propri errori.   


Il Trattato di Osimo nasce in una situazione geopolitica ormai tramontata, che a metà degli anni settanta aveva mostrato tutti i suoi cambiamenti rispetto a quella degli anni cinquanta. La leaderschip di Belgrado aveva consumato nella realtà tutte le sue aspettative ed idealità generate dalla guerra partigiana titina. Dopo i tremendi mesi dal maggio al dicembre del 1945 in cui tutti gli avversari jugoslavi di Tito furono debellati (in cui si inserisce la tragedia che noi definiamo “Foibe”), la Jugoslavia negli anni aveva collezionato errori su errori, con crisi ed epurazioni periodiche, con una posizione internazionale ibrida, terzomondista; negli anni settanta guardava all’Occidente ed all’ Italia con occhi diversi e si avviava, senza che nessuno potesse arrestarla, sul sentiero che la porterà alla sua disgregazione; la Gran Bretagna aveva definitivamente perso la sua influenza in Europa, gli Stati Uniti, usciti sconfitti dalla guerra in Vietnam, erano in forte crisi, L’Unione Sovietica era sulla difensiva, mentre in Italia Berlinguer, capo del forte partito comunista, si compiaceva di essere sotto l’ombrello della Nato ed aveva rapporti freddi con il confratello partito comunista jugoslavo.


Osimo fu la sintesi di tutto questo.


L’alternativa ad Osimo era l’uscita dell’Italia dalla Nato, una politica nazionale di proiezione e conquista verso la Jugoslavia, con obbiettivo la riconquista delle posizioni perdute, nel solco di quella d’anteguerra. Una situazione irreale, che però chiama in causa le ragioni remote che portarono ad Osimo, ed al suo trattato.


Una ricostruzione critica di tali ragioni non vi è oggi in storiografia. Con onestà dovrebbe partire, dall’annessione al Regno d’Italia della provincia di Lubiana del 1941, dal regime di occupazione e dalla nostra politica di dominio verso le popolazioni non italiane che in sostanza era allineata a quella tedesca, seppure applicata con minore violenza, fino al settembre 1943. Soprattutto si dovrebbe anche approfondire il comportamento dei nostri alleati di allora (del 1940-43) i Germanici (compresi i Croati ed il movimento Ustascia) che non esitarono mai a contrastare sempre la presenza italiana in quelle terre, nel solco della tradizione asburgica, sostanzialmente antitaliana, di tradizione risorgimentale che atavicamente contrastò sempre gli interessi e la presenza italiana nei Balcani.


Nella realtà oggi il Trattato di Osimo non ha più alcuna incidenza nel campo della politica reale in quanto la Jugoslavia non esiste più. Ora di fronte abbiamo la Slovenia, la Croazia, la Serbia, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro con il loro coacervo di problemi.    Sono tutti Stati, termine usato forse con eufemismo, che sono nell’orbita germanica e guardano solo a Berlino e continuano la loro politica, che è alla base della guerra fratricida del 1992-1993, di un nazionalismo di cui l’anti italianità ha una forte componente, nel quadro generale delle loro ulteriori divisioni interne.


Osimo non lo abbiamo scelto noi: è il portato della crisi armistiziale del 1943, ed in generale della nostra sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, con le naturali conseguenze delle linee di forza del secondo dopoguerra. A pagare furono gli Italiani d’Istria, della Dalmazia e delle altre terre balcaniche, a cui va il nostro ricordo delle loro tragedie, nella convinzione che politiche di imperio, dominazione, imposizione portano solo a tragedie come quella che hanno dovuto, non per colpa loro, subire.

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 Nota predisposta e pubblicata a Gennaio 2025 sulla Rivista "Noi del Lager" Roma

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