DIBATTITI
La vis che contraddistinse il pensiero e
l’agire del generale Luigi Capello non consente un’analisi neutrale: i
detrattori e i sostenitori, allora come oggi, sono mossi da «odii inestinguibili ed amore indomito», come
sintetizzò alla Camera durante la discussione sull’Inchiesta[1] il
deputato generale Marrazzi, già divisionario del Comandante della II Armata[2]. Queste reazioni difficilmente
conciliabili trovano una pluralità di argomenti pro e contra atta ad
autoalimentarsi.
Parrebbe opportuno, più che schierarsi, orientarsi verso la comprensione della figura di
Capello al fine di diradare ogni possibile fonte di equivoco e, soprattutto, di
favorire il delinearsi di una riflessione produttiva. Più che affrontare gli
aspetti salienti del pensiero strategico del Generale esplicitati durante la
Grande Guerra, gioverà soffermarsi quindi sugli anni giovanili di Capello al
fine di individuarvi i tratti del temperamento in grado di offrire una maggior
comprensione del suo assetto.
Il racconto autobiografico Il mantello di S. Antonio, scritto durante i primissimi anni della
detenzione (1925 – 1927), denota una spiccata capacità di autocritica, lontana
da intenti autocelebrativi o assolutori:
Il nostro ufficiale, come abbiamo detto, non era troppo in contrasto col
regolamento: forse le dimensioni della sua uniforme non erano tutte conformi
alle prescrizioni della stretta ordinanza, ma non vi era, come si è detto, nel
suo vestito alcuna esagerazione: […] era un ufficiale serio e amante del
decoro. […] Non aveva ancora vent’anni; la fronte spaziosa e lo sguardo acuto
ne dimostravano la vivezza dell’ingegno e la maschia volontà, mentre certe
espressioni degli occhi buoni e leali attenuavano la durezza dei tratti,
temperandola con una leggiera tinta di malinconia. Le spalle larghe, le braccia
forti e le mani vigorose denotavano l’appassionato per gli esercizi sportivi e
dimostravano la forza fisica in armonia colla forza morale che traspariva dal
complesso della sua figura.
Malgrado che la sua attitudine desse l’idea del riposo o magari della
noia, tuttavia era attentissimo ai particolari del servizio e nulla sfuggiva al
suo sguardo penetrante e mobilissimo. […] I soldati ben lo conoscevano … era
buono e giusto, ma rigido.
Egli pareva pensieroso. Uscito da meno di un anno dalla Scuola di Modena
aveva già la febbre della carriera. Erano quelli tempi tristi. Il corpo degli
ufficiali, specie della fanteria, non era né il più omogeneo né il più
brillante. […] Le condizioni di carriera, lo abbiamo detto, erano disastrose.
Vi era la prospettiva di rimanere subalterni per una ventina d’anni […]. Dotato
di ingegno vivace, di prodigiosa memoria, di ferma volontà e sofferente
d’indugi pensava all’avvenire. […] fin dai primi giorni della sua nomina ad
ufficiale aveva ripreso lo studio frequentando biblioteche e qualche corso
all’Università.
Per i suoi compagni era un solitario […]; preferiva passatempi seri
anziché le sedute al Caffè dei Servi dove la maggior parte dei subalterni
passava lunghe ore a bere o a giocare interminabili partite a bestia o al
piattello …[3]
Gli stessi
tratti, visti da prospettive diametralmente opposte, compariranno nelle
descrizioni accese della nutrita schiera di detrattori e sostenitori.
L’assetto
costantemente dissonante di Luigi Capello trova giustificazione nella
riflessione di Niccola Marselli[4]
il quale, amareggiato, constatava un progressivo impoverimento culturale
all’interno dell’Esercito dovuto all’esodo dei giovani più brillanti, attratti dalle
molteplici prospettive professionali che si erano venute delineando.
Qual n’è la causa? L’immenso sviluppo delle occupazioni intellettuali,
che ha strappato alla professione delle armi i migliori ingegni. In
Inghilterra, per esempio, ove sono aperti grandi sbocchi all’attività
intellettuale, industriale e commerciale, quasi sempre che se un padre ha un
figliuolo di molto ingegno lo destina ad una di quelle professioni cui l’utile
è proporzionale all’abilità; ma se ne ha uno mediocre, lo fa soldato o prete.
Le cause che hanno promosso l’ingrandimento della classe intellettuale hanno
altresì creato l’antagonismo fra essa e quella militare; cioè l’antagonismo tra
il pensiero e l’azione, tra l’intimo e l’estrinseco, tra il ragionamento e la
violenza, tra la persuasione e la forza; o, per riassumere, tra coloro che
vivono con le arti della pace e coloro che col mestiere delle armi.[5]
Luigi Capello
desiderava ardentemente dedicarsi agli studi scientifici.
Si trovò invece a dover seguire il volere paterno
dettato dalla necessità[6]
e lo fece in un’ottica manzoniana, con influenze notevoli sui destini dell’intero
Paese.
[1]
Il riferimento è alla Commissione d’Inchiesta (R.D. 12 gennaio 1918, n. 35)
sulle cause che determinarono il ripiegamento sul Piave.
[2]
L. Capello, Per la verità, Milano:
Fratelli Treves Editori, 1920, p. 95.
[3]
Brano tratto dal racconto autobiografico Il
mantello di S.Antonio in D. Ascolano, Luigi
Capello. Biografia militare e politica, Ravenna: Longo, 1999, pp. 27 – 28.
[4]
Niccola Marselli (Napoli, 5 novembre 1832 – Roma, 26 aprile 1899) fu storico,
politico, Generale di Corpo d’Armata e insegnante alla Scuola Superiore di
Guerra di Torino.
[5]
N. Marselli, La guerra e la sua storia,
Torino: Tip. Ed. E. Schioppo, 1930, pp. 97 – 98.
[6]
Cfr. D. Ascolano, Luigi Capello.
Biografia militare e politica, cit., p. 26.
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