DIBATTITI
Maria Luisa Suprani Quersoli
A
quasi dodici mesi dall’entrata in guerra, l’Aviazione italiana ancora non
poteva contare una prima affermazione sull’avversario nonostante il mito del
Cavaliere dell’aria avesse attirato molti giovani entusiasti che vedevano nel
velivolo un mezzo sportivo[1]
declinato al servizio della Patria. Il confronto con la realtà era però riuscito
a smorzare lo slancio anche dei più ardimentosi che disperavano di poter vedere
coronata la propria valentia con l’abbattimento di un velivolo nemico.
Nessuna macchina, fra l’altro, era armata; lo erano invece i piloti i
quali, caso mai si fossero scontrati in aria con il nemico, dovevano sparargli
addosso con la pistola, con il moschetto oppure con un grosso revolver Mauser, custodito in un fodero di legno
che sembrava un astuccio di violino. In un clima come quello era naturale che i
nostri aviatori guardassero con una punta d’invidia a ciò che accadeva in
Francia, dove esisteva un’armata aerea e le macchine erano moderne e veloci.[2]
Il desiderio tenace di riuscire sostenne i più audaci, fra i
quali figurava un giovane volontario,
riformato per la salute malferma, che, a dispetto di ciò, per primo si laureò
Asso: Luigi Olivari atterrò un velivolo nemico in data 2 aprile 1916 ma non
poté fregiarsi della vittoria (e né lo poté fare il Paese) perché l’aereo cadde
dietro le linee nemiche, rendendo di fatto impossibile il sopralluogo
necessario al riconoscimento formale[3].
Un altro giovane, proveniente dalla Cavalleria, riuscì invece di lì a breve ad
abbattere l’avversario entro i confini nazionali, riuscendo così a rompere
l’incantesimo che sembrava imprigionare l’Aviazione italiana: il Tenente
Francesco Baracca di Lugo di Romagna (in possesso del brevetto di volo militare
conseguito in Francia), da tempo, annotava sul proprio taccuino tutti i
progressi, le manchevolezze (proprie e altrui) e, con una costanza incrollabile,
progredì nel perfezionare il suo gesto fino a strappare la vittoria, una vittoria
che, date le criticità difficilmente sormontabili, sorprese lui per primo.
Carissimo Papà,
dovrei scriverti un volume sulla giornata di ieri, ma siccome non ho né
tempo né voglia dirò che abbiamo abbattuto due velivoli nemici dopo tanti mesi
di voli continui e senza alcuna soddisfazione.[4]
La vista del nemico abbattuto gli rivela il volto crudo della
vittoria: «[l’]apparecchio era tutto intriso di
sangue coagulato al posto dell’osservatore [che versava in condizioni
disperate] e dava una triste impressione della guerra»[5]. L’uomo che giace di fronte a lui, al
pari suo, è un difensore della Patria e in difesa di questa è caduto sotto i
suoi colpi: [h]o parlato a lungo con il pilota
austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio perché era molto
avvilito; veniva dal fronte russo dove aveva guadagnato la croce di guerra e
medaglia al valore che portava sulla sua uniforme azzurra. Non aveva potuto
salvarsi dalla mia caccia e mi esprimeva la sua ammirazione con le poche parole
di italiano che sapeva»[6].
Il tributo richiesto dalla guerra gli appare in tutta la sua
smisurata drammaticità. Il dovere
militare richiede l’impegno più strenuo nel conseguire la vittoria mentre
il dovere morale impone la
solidarietà umana nei riguardi dell’avversario che il momento tragico ha
trasformato in nemico.
Il valore militare ed umano, notevolissimo, di Francesco Baracca
riuscì a palesarsi nel margine angusto che permise l’equilibrio fra tali
istanze intimamente contraddittorie.
[1] Lo sport
e i valori di cui era detentore ebbero un rilievo notevole nella cultura che
permeò l’ambiente interventista, anche grazie al contributo del «La Stampa
Sportiva».
[2] L.
Romersa, Francesco Baracca. Cavaliere del
Cielo, Roma: Istituto poligrafico dello Stato, 1968, pp. 2 – 3.
[3] Cfr. Luigi Olivari in
www.guerra-allorizzonte.it.
[4]
L’incipit della lettera originale citata compare in G. Manzoni, Onoranze all’eroe Francesco Baracca dal 1913
al 1945, Lugo: Walberti, 1986, p. 45. L’incipit riportato nella storica
raccolta di V. Varale, invece, è assai meno informale («ieri è stato il trionfo della mia
Squadriglia».
[5] Lettera
di Francesco Baracca al padre, Campoformido, 8 aprile 1916 (V. Varale, La carriera, le battaglie, le vittorie del
grande aviatore raccontate nelle Lettere alla Madre con presentazione del
Ten. Col. P.R. Piccio, Milano: «Il Secolo Illustrato», 1919, pp. 53 –
56).
[6] Ibidem.
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