DIBATTITI
La scomparsa improvvisa del Capo di
Stato Maggiore Alberto Pollio
alla vigilia della Grande Guerra
Chi
si accinge allo studio della Grande Guerra incontra
la figura di Alberto Pollio inevitabilmente collegata alla nomina a Capo
di Stato Maggiore del Generale Luigi Cadorna (avvenuta a seguito della
subitanea scomparsa del Generale casertano, suo predecessore). In prospettiva,
lo spazio dedicato alla figura del Generale Pollio è davvero minimale rispetto
sia al suo spessore sotto il profilo militare, sia alla portata delle
conseguenze inerenti alla sua morte sulle sorti del Paese.
Egli era un convinto triplicista.
Proveniente dalla Nunziatella, approdò infine alla Scuola di
Guerra di Torino. Le notevoli doti gli valsero la considerazione del Re Umberto
I[1], anch’egli più vicino all’Austria di
quanto non lo fossero gli Ufficiali piemontesi che vedevano in essa
prevalentemente il nemico storico.
Il regicidio colpì profondamente Pollio.
Se si compara, anche per sommi capi, l’indirizzo politico preso successivamente dall’Italia con le convinzioni radicate e lo spessore militare notevole[2] di Pollio i dubbi che circondano tuttora la sua prematura scomparsa sembrano assumere una certa consistenza. Il viaggio a Torino in ottime condizioni di salute, una lieve indigestione rivelatasi subdolamente fatale, le inspiegabili infrazioni sul piano formale[3] rendono legittimo interrogarsi sulle reali dinamiche della morte dell’uomo di vertice dell’Esercito Regio: la sua presenza costituiva un fiero ostacolo sul piano politico, insormontabile tanto da oscurare le sue innegabili capacità sul comando degli uomini e sull’impiego efficace delle nuove tecnologie. Inutile riflettere su ciò che non fu. Risulta opportuno invece ricordare che, dopo la XII Battaglia dell’Isonzo, il comando del Regio Esercito fu affidato al generale Diaz, fermo nel trattare con l’interlocutore politico, vicino al Generale Pollio da molti anni[4], allo stesso Diaz al quale per primo pervenne la comunicazione della morte improvvisa del Capo di Stato Maggiore con la pietosa consegna di comunicare la notizia ferale alla famiglia.
Maria Luisa Suprani
[1]
«L’ultima volta che lo vidi
a Napoli fu il giorno dell’attentato di Passanante. Eravamo schierati davanti
al Palazzo Reale, attendendo l’arrivo del Sovrano che faceva il suo ingresso
ufficiale. Ad un tratto da Toledo vedemmo spuntare Pollio al galoppo, passare
davanti a noi stravolto in viso e l’udimmo gridare al mio capitano: «Hanno
pugnalato il Re» e poi sparire entro il palazzo» (E. De Rossi, La
vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, Milano: Mondadori, 1927, p. 22).
[2] L’anno precedente alla nomina a Capo di Stato
Maggiore così veniva descritto Alberto Pollio da un suo Superiore: «ha
tutti i requisiti per raggiungere i più elevati gradi della gerarchia; e più si
troverà in posizione eminente, meglio potrà esplicare tutta la sua
intelligenza, operosità ed iniziativa e saprà acquistare quell’ascendente tanto
necessario per ottenere il volonteroso concorso di tutti nella attuazione dei
suoi concetti … Auguro, nell’interesse dell’Esercito, che egli possa in più
vasto ambiente mettere in luce tutto il suo valore» (I Capi di
Stato Maggiore dell’Esercito – Alberto Pollio – 4 Roma: Comando del Corpo di Stato Maggiore
dell’Esercito, 1935, p. 10 in G.
Catenacci, F. M. Di Giovine, Il Generale
Alberto Pollio: dalla Nunziatella ai vertici dello Stato Maggiore del Regio
Esercito Italiano, Scuola Militare Nunziatella, Società di Storia di Terra
di Lavoro; Associazione Nazionale ex Allievi Nunziatella; Sezione Campania e
Basilicata, Civitella del Tronto, 21 marzo 2015, p. 9). La testimonianza di un giovanissimo Eugenio De Rossi è
conferma al giudizio espresso dal Superiore circa l’ascendente personale: «Ritornammo
a Napoli ed alla stazione trovammo il capitano Pollio di Stato Maggiore.
Rassomigliare a Pollio era il sogno di noi ragazzi. Egli allora era un
bellissimo giovine, sempre inguantato, profumato, calzato a pennello. Alle
parate non mancava mai di avvicinarsi a noi e rivolgerci qualche piacevolezza,
facendo danzare un suo vivace morello» (E. De
Rossi, La vita di un ufficiale italiano
sino alla guerra, cit., p. 22).
[3]
Il medico (la cui carriera paradossalmente decollò dopo l’infausto esito del suo
operato) che si prese cura del Capo di Stato Maggiore non era un medico
militare (G. Catenacci, F. M. Di
Giovine, Il Generale Alberto Pollio:
dalla Nunziatella ai vertici dello Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano,
cit. p.15).
[4] Nel
biennio 1895 – 96, Armando Diaz era in forze presso la segreteria del Generale
Pollio.
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