APPROFONDIMENTI
di Alessia Biasioloé
Intorno
alla metà dell’Ottocento, il musicista Richard Wagner cominciò a
introdurre il concetto di arte guastata da correnti che la
influenzavano negativamente. Nella sua opera “Das Judenthum in der
Musik” sosteneva che gli ebrei avessero introdotto note negative
nel panorama musicale e, più in generale artistico, teoria che venne
acquisita da altri pensatori con il termine di degenerazione
artistica. Wagner, molto amato dal filosofo Friedrich Nietzsche,
venne in seguito criticato proprio da questi, nel celeberrimo libro
dal titolo “Il caso Wagner” non solo per essersi lasciato guidare
nelle scelte musicali dalle necessità dei committenti, ed essersi,
così, illanguidito, dimenticando la potenza sonora che incarnava il
mito tedesco, ma proprio per il suo dichiarato antisemitismo. Se ne
“La nascita della tragedia” Nietzsche acclamava Wagner per la sua
capacità di superare la concezione analitica della musica e andare
“al di là”, come il filosofo e musicologo chiedeva di fare nella
vita di tutti coloro che si fossero sentiti in grado di cogliere nel
Caos l’essenza di ciò che poteva innovare l’uomo, ne “Il
problema di un musicista”, del 1888, la rottura dell’amicizia con
il musicista era diventata netta. Superata anche la fase di
ammirazione per la potenza musicale e di contenuti del ciclo
“L’anello del Nibelungo”. Wagner diventa simbolo del nichilismo
che stava pervadendo l’Europa nel senso più stretto e basso del
termine, incapace di superare i limiti imposti dalla società, dalle
“pecore” e ripreso poi ampiamente dal nazismo. Nel 1892, il
critico ebreo Max Nordau tenta di
collocare la
degenerazione dell’arte che sembrava in atto in quel lasso di tempo
prima del nuovo secolo, nella degenerazione dell’artista, che si
intuiva ampiamente da varie correnti innovative, alcune delle quali
sdoganavano l’artista come fonte di ispirazione e di illuminazione
da trasmettere all’umanità, ma lo etichettavano come bohemien,
borderline a volte, spregiudicato oppure così strano da non essere
capito per la propria immediatezza e modernità. Nordau seguiva le
teorie lombrosiane che additavano i caratteri delle persone dalla
loro fisionomia, cercando spiegazioni alla criminalità o alle
malattie mentali, così come all’estro, nei tratti fisici e
genetici. Il nazismo hitleriano pescò a piene mani in questi
concetti e in questi scritti, per mettere a fuoco l’idea di Hitler
sull’arte, definita degenerata perché figlia di persone indegne
dell’umanità e, soprattutto, di vivere in Germania e più in
generale in Europa.
Tra
coloro maggiormente sotto la lente di ingrandimento, gli appartenenti
all’Impressionismo e al Simbolismo, ai quali si aggiungeranno gli
espressionisti, sia nella pittura che nella poesia, nella definizione
di “Entartung” data come titolo del suo libro da Nordau stesso.
Definire quanto accaduto la sublimazione di Hitler della sua voglia
di diventare un artista e di accedere all’Accademia di Belle Arti
per l’ammissione alla quale non superò l’esame, è riduttivo.
Nella teoria politica hitleriana il concetto di razza pura e
dominante doveva passare per tutti gli ambiti del vivere, e l’arte,
che a lui stava particolarmente a cuore, non faceva eccezione.
Pertanto, nel 1937, prese avvio l’epurazione dall’arte
“degenerata” di tutti i musei. Le opere confiscate furono
centinaia e alcuni dei dipinti condannati vennero scelti per la
realizzazione di una mostra chiamata “Entartete Kunst” Arte
degenerata appunto che, a partire dall’Hofgarten di Monaco di
Baviera dove venne inaugurata, doveva circuitare per le principali
città tedesche e austriache come simbolo di ciò che non si sarebbe
più dovuto ripresentare agli occhi dell’umanità “depurata”
grazie al nazismo. La mostra, che venne inaugurata da Joseph
Goebbels, capo della propaganda, era parallela alla mostra sull’arte
tedesca, in modo che fosse chiaro il confronto e che si formassero le
coscienze su quello che significava demonizzare ciò che era
sbagliato. L’esposizione era ad ingresso libero, per agevolare
quante più persone possibile a rendersi conto dello spregio
(all’arte secondo il pensiero nazista e allo stesso tempo all’arte
e agli artisti secondo il libero pensiero). Gli artisti che avevano
realizzato le opere per la maggior parte vennero esiliati o vennero
imprigionati.
Parallela,
si è detto, de “La Grande Esposizione dell’Arte Germanica” che
vide otto edizioni dal 1937 al 1944 presso l’Haus del Kuns,
edificio che venne fatto costruire appositamente da Hitler e sotto la
sua diretta attenzione, dall’architetto Paul Ludwig Troost tra il
1933 e il 1937. Inaugurata tra trionfalistiche esibizioni e sventolii
di svastiche, l’Esposizione venne visitata in tutto da oltre 4
milioni di persone, per oltre dodicimila opere presentate
appartenenti a circa 9mila artisti. Chi voleva esporre doveva
appartenere alla Reichskammer der Bildenden Kunste.
Nel
1938, nella Commissione nazista per la confisca dei beni degli ebrei,
a seguito delle famigerate Leggi razziali, venne inserito Hildebrand
Gurlitt, mercante d’arte famoso e ben noto negli ambienti della
Galleria d’Arte Moderna. Hitler e Goering gli diedero l’incarico
di vendere l’arte “degenerata” per poter avere a disposizione
pregiata valuta straniera da impiegare per i propri scopi
politico-militari. Le opere sarebbero state vendute all’asta e pare
ammontassero a circa 16mila, ma alcuni arrivano a oltre 600mila, tra
dipinti e sculture razziati da privati, chiese, musei e altro. Una
“spazzatura”, come veniva definita, che si rivelò molto
redditizia, soprattutto dopo che vennero bruciati alcuni dipinti per
convincere molti acquirenti anche da fuori Europa all’acquisto,
perché non venisse perso quell’immenso patrimonio così come erano
andati perduti i libri nei roghi organizzati in piazza. Nell’immenso
patrimonio raccolto dai nazisti, alcune opere, secondo alcuni molte,
vennero trafugate dai funzionari o dai militari nazisti per venderli
personalmente, soprattutto in Svizzera, e arricchirsi. Opere
confiscate ci furono anche nei territori occupati dai nazisti durante
la guerra. Gurlitt tenne per sé circa un migliaio di quelle opere
che passarono poi al figlio Cornelius. Questi le tenne per onorare la
memoria del padre e, forse, per ipotizzare un futuro profitto
personale. I quadri rimasero nascosti per decenni in un appartamento
di Monaco di Baviera e appartengono ad artisti come Pablo Picasso,
uno dei più demonizzati dal regime, ma anche Chagall, Matisse e
altri, per un valore delle tele astronomico.
Per
fortuna di tutti noi, le opere sopravvissero alla tragedia della
seconda guerra mondiale, purtroppo sopravvissero spesso solo le opere
e non gli autori al tempo ancora viventi, ma sono rimaste a
rappresentare quel periodo di alta produzione innovativa, eccentrica
e illuminante. Se è vero che numerose tele appartenute a famiglie
ebraiche sono state esposte a lungo nei musei, e in alcuni casi
restituite ai legittimi proprietari o eredi come nel caso della tela
di Klimt del Museo di Salisburgo e ritornata alla famiglia
Zuckerkandl, l’ammasso di tele trovato a Monaco sorprende proprio
per la sua immensità, rispetto ad altri casi di ritrovamento o di
acquisizione. La ricostruzione delle appartenenze di diritto delle
opere, ma anche l’attribuzione certa agli artisti che le hanno
realizzate sono alquanto difficili, dovendo cercare di ricostruire la
vita dell’opera da cataloghi o archivi degli anni Trenta o,
comunque, precedenti alla guerra. Essendo infatti scomparse le opere
per tanto tempo, di molte se ne erano cancellate tracce e talvolta
anche memoria, soprattutto se i quadri erano stati venduti a privati
collezionisti.
Nello
stesso 1938, comunque, prese avvio l’Haus der Deutschen Kunst’s
Index, l’Indice degli Artisti, che permette di vedere
l’accettazione, il rifiuto e la vendita delle opere d’arte per
l’Esposizione. Sempre nello stesso anno iniziarono ad essere
registrati, in sedici faldoni che sono giunti fino a noi, i libri
contabili che testimoniano la vendita di 7milioni di pezzi per circa
19 milioni di Reichsmark incassati. L’ultima transazione è datata
24 aprile 1945, poco prima della morte di Hitler.
Il
Fuhrer sapeva che costruire la grande Germania passava anche dal
costruirle un’adeguata arte, che testimoniasse la sua potenza e
nella quale i tedeschi potessero adeguatamente identificarsi.
Dal
1941 al 28 febbraio 1944 è stato creato e aggiornato il libro dei
dipinti di Hitler che comprendeva 825 opere e dipinti delle Grandi
Esposizioni di Arte Germanica da lui acquistati direttamente e
conservati all’Haus der Kunst, trasferiti a partire dal 1942 al
Fuhrerbau di Konigsplatz a Monaco e, quindi, alla miniera di sale di
Altausee. Nel 1943, però, 21 quadri vennero portati
nell’appartamento di Hitler in Prinzregentenplatz.
Se
Hitler aveva in mente di creare una ricca collezione di opere,
soprattutto antiche e classiche, con le quali allestire il
Fuhrermuseum a Linz, città dov’era cresciuto e dove aveva iniziato
la sua attività di pittore, ad emulazione del Louvre arricchito da
Napoleone Bonaparte, anche tra i gerarchi nazisti serpeggiava l’amore
per il collezionismo d’arte. Hitler amava soprattutto l’arte
classica, comunque precedente le avanguardie dei primi del Novecento,
forse fatta eccezione per il Futurismo che, essendo prevalentemente
italiano, si è salvato dalle mire eliminatorie dell’arte definita
“degenerata” e razziata soprattutto in Germania, Austria e
Francia. Goebbels e Goering prediligevano l’arte antica e, il
secondo, anche quella “degenerata” (anche se suo malgrado aveva
dovuto adeguarsi alla volontà del suo Fuhrer e bandirla) e
organizzarono parecchie missioni di acquisto in Italia, talvolta
anche comprando dei falsi abilmente rifilati dai venditori o
galleristi italiani. La Collezione Goering venne recuperata a seguito
della liberazione di Berchtesgaden da parte della 101st Airborne
Division che trovò tele e numerosi altri oggetti di estremo pregio.
La pinacoteca di Hermann Goering era invece custodita a Carinhall, a
circa sessanta chilometri da Berlino, dove la Galleria costituiva uno
dei più interessanti cataloghi del tempo, sinonimo di status simbol
forse più di quanto fosse sinonimo di cultura dell’arte da parte
del proprietario. Gli americani trovarono, nel 1945, il rifugio di
opere d’arte presso la miniera di sale di Altaussee, in Austria,
dove accanto a opere di Michelangelo sono state rinvenute opere di
Van Eyck e Jan Vermeer appartenenti al Fuhrer e altre della
collezione di Goering come “Danae” di Tiziano, la “Flagellazione
di Cristo” di Caravaggio, “Antea” del Parmigianino, una
“Madonna” di Raffaello, lavori di Leonardo. Queste ultime opere
provenivano dall’abbazia di Montecassino dove erano state poste in
salvo e dalla quale erano state trafugate dai nazisti della Divisione
Goering, per portarle a Berlino e a Goering stesso in occasione del
suo compleanno.
Ancora,
in una miniera di potassio a Merkers, vicino a Francoforte, gli
americani trovarono depositi di oro e valute tedesche per circa
520milioni di dollari. Anche lì c’era un rifugio di opere d’arte
sottratte ai musei berlinesi, tra i quali lavori di Goya e Manet. Ma
c’erano anche gioielli e argenteria, compresi denti d’oro,
requisiti agli ebrei e ai prigionieri dei campi di concentramento.
Alcune delle opere sono tornate agli eredi del mercante d’arte
olandese Jacques Goudstikker, ebreo di Amsterdam, al quale Goering
fece sequestrare svariate opere all’occupazione tedesca dei Paesi
Bassi. Accanto a lui si possono ricordare anche Rosenberg e Goodman,
collezionisti di opere d’arte e di oreficeria ai quali vennero
comperate a prezzi stracciati o confiscate opere dai nazisti.
Tornando
a Gurlitt, come fu possibile che si tenesse in casa per decenni opere
così importanti e soprattutto così tante? Venne scoperto per puro
caso nel 2010, durante un fermo di polizia. A seguito di questo,
venne perquisita la sua casa dove vennero rinvenute le opere
ufficialmente perdute durante il bombardamento di Dresda del 1945. Il
ritrovamento venne tenuto segreto e confermato solo nel 2013, dopo
un’inchiesta giornalistica da parte di “Focus”. Tra le opere
“degenerate” di Gurlitt, pezzi di Matisse, Kandinsky, Klee, fra
gli altri. In effetti, i soldati americani avevano scoperto suo
padre, ma sembrava che possedesse solo un centinaio di lavori, avendo
dichiarato che gli altri erano andati perduti, appunto, durante i
bombardamenti, fatto che sembrava del tutto plausibile.
Tra
i quadri, “Ritratto del dottor Gachet” di Van Gogh, confiscato
nel 1938 dallo Staedl Museum di Francoforte da Goering, venduto ad un
banchiere tedesco e a sua volta rivenduto negli Stati Uniti dove, nel
1942, Rosenberg lo espose in una mostra a New York. Per cercare di
trovare i proprietari legittimi delle opere confiscate o trafugate
dai nazisti, vari musei europei hanno organizzato mostre di “Looted
Art”, assistite da un’apposita commissione internazionale che
aiuta gli eredi a rientrare in possesso di ciò che era appartenuto a
famiglie ebree soprattutto.
Di
questo interessante e spesso sconosciuto aspetto della politica
hitleriana, si è occupato un documentario trasmesso nei cinema
italiani il 13 e 14 marzo 2018, dal titolo “Hitler contro Picasso e
gli altri. L’ossessione dei nazisti per l’arte”, sulla scia
proprio dei ritrovamenti recenti che fanno essere la storia, ancora
una volta, non un argomento trascorso e finito, ma una realtà
presente.
Del
resto, bisogna anche considerare che la Germania chiede la
restituzione di numerose opere d’arte requisite dai russi durante
la campagna offensiva e d’assedio della seconda guerra mondiale.
In quel
periodo l’arte veniva definita “degenerata” non solo dai
tedeschi, ma anche dai russi. In Unione Sovietica molti artisti
venivano perseguitati già dal 1924, soprattutto se appartenenti alle
avanguardie, e anche lì la censura di fatto chiedeva a pittori e
letterati di mettersi al servizio del regime, come accadrà per i
regimi totalitari di destra.
*Comm.
Alessia Biasiolo
Collegio degli Scrittori Rivista Quaderni del Nastro Azzurro
Nessun commento:
Posta un commento