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mercoledì 4 aprile 2018

La passione nazista per l’arte


APPROFONDIMENTI

di Alessia Biasioloé



Intorno alla metà dell’Ottocento, il musicista Richard Wagner cominciò a introdurre il concetto di arte guastata da correnti che la influenzavano negativamente. Nella sua opera “Das Judenthum in der Musik” sosteneva che gli ebrei avessero introdotto note negative nel panorama musicale e, più in generale artistico, teoria che venne acquisita da altri pensatori con il termine di degenerazione artistica. Wagner, molto amato dal filosofo Friedrich Nietzsche, venne in seguito criticato proprio da questi, nel celeberrimo libro dal titolo “Il caso Wagner” non solo per essersi lasciato guidare nelle scelte musicali dalle necessità dei committenti, ed essersi, così, illanguidito, dimenticando la potenza sonora che incarnava il mito tedesco, ma proprio per il suo dichiarato antisemitismo. Se ne “La nascita della tragedia” Nietzsche acclamava Wagner per la sua capacità di superare la concezione analitica della musica e andare “al di là”, come il filosofo e musicologo chiedeva di fare nella vita di tutti coloro che si fossero sentiti in grado di cogliere nel Caos l’essenza di ciò che poteva innovare l’uomo, ne “Il problema di un musicista”, del 1888, la rottura dell’amicizia con il musicista era diventata netta. Superata anche la fase di ammirazione per la potenza musicale e di contenuti del ciclo “L’anello del Nibelungo”. Wagner diventa simbolo del nichilismo che stava pervadendo l’Europa nel senso più stretto e basso del termine, incapace di superare i limiti imposti dalla società, dalle “pecore” e ripreso poi ampiamente dal nazismo. Nel 1892, il critico ebreo Max Nordau tenta di collocare la degenerazione dell’arte che sembrava in atto in quel lasso di tempo prima del nuovo secolo, nella degenerazione dell’artista, che si intuiva ampiamente da varie correnti innovative, alcune delle quali sdoganavano l’artista come fonte di ispirazione e di illuminazione da trasmettere all’umanità, ma lo etichettavano come bohemien, borderline a volte, spregiudicato oppure così strano da non essere capito per la propria immediatezza e modernità. Nordau seguiva le teorie lombrosiane che additavano i caratteri delle persone dalla loro fisionomia, cercando spiegazioni alla criminalità o alle malattie mentali, così come all’estro, nei tratti fisici e genetici. Il nazismo hitleriano pescò a piene mani in questi concetti e in questi scritti, per mettere a fuoco l’idea di Hitler sull’arte, definita degenerata perché figlia di persone indegne dell’umanità e, soprattutto, di vivere in Germania e più in generale in Europa.
Tra coloro maggiormente sotto la lente di ingrandimento, gli appartenenti all’Impressionismo e al Simbolismo, ai quali si aggiungeranno gli espressionisti, sia nella pittura che nella poesia, nella definizione di “Entartung” data come titolo del suo libro da Nordau stesso. Definire quanto accaduto la sublimazione di Hitler della sua voglia di diventare un artista e di accedere all’Accademia di Belle Arti per l’ammissione alla quale non superò l’esame, è riduttivo. Nella teoria politica hitleriana il concetto di razza pura e dominante doveva passare per tutti gli ambiti del vivere, e l’arte, che a lui stava particolarmente a cuore, non faceva eccezione. Pertanto, nel 1937, prese avvio l’epurazione dall’arte “degenerata” di tutti i musei. Le opere confiscate furono centinaia e alcuni dei dipinti condannati vennero scelti per la realizzazione di una mostra chiamata “Entartete Kunst” Arte degenerata appunto che, a partire dall’Hofgarten di Monaco di Baviera dove venne inaugurata, doveva circuitare per le principali città tedesche e austriache come simbolo di ciò che non si sarebbe più dovuto ripresentare agli occhi dell’umanità “depurata” grazie al nazismo. La mostra, che venne inaugurata da Joseph Goebbels, capo della propaganda, era parallela alla mostra sull’arte tedesca, in modo che fosse chiaro il confronto e che si formassero le coscienze su quello che significava demonizzare ciò che era sbagliato. L’esposizione era ad ingresso libero, per agevolare quante più persone possibile a rendersi conto dello spregio (all’arte secondo il pensiero nazista e allo stesso tempo all’arte e agli artisti secondo il libero pensiero). Gli artisti che avevano realizzato le opere per la maggior parte vennero esiliati o vennero imprigionati.
Parallela, si è detto, de “La Grande Esposizione dell’Arte Germanica” che vide otto edizioni dal 1937 al 1944 presso l’Haus del Kuns, edificio che venne fatto costruire appositamente da Hitler e sotto la sua diretta attenzione, dall’architetto Paul Ludwig Troost tra il 1933 e il 1937. Inaugurata tra trionfalistiche esibizioni e sventolii di svastiche, l’Esposizione venne visitata in tutto da oltre 4 milioni di persone, per oltre dodicimila opere presentate appartenenti a circa 9mila artisti. Chi voleva esporre doveva appartenere alla Reichskammer der Bildenden Kunste.




Nel 1938, nella Commissione nazista per la confisca dei beni degli ebrei, a seguito delle famigerate Leggi razziali, venne inserito Hildebrand Gurlitt, mercante d’arte famoso e ben noto negli ambienti della Galleria d’Arte Moderna. Hitler e Goering gli diedero l’incarico di vendere l’arte “degenerata” per poter avere a disposizione pregiata valuta straniera da impiegare per i propri scopi politico-militari. Le opere sarebbero state vendute all’asta e pare ammontassero a circa 16mila, ma alcuni arrivano a oltre 600mila, tra dipinti e sculture razziati da privati, chiese, musei e altro. Una “spazzatura”, come veniva definita, che si rivelò molto redditizia, soprattutto dopo che vennero bruciati alcuni dipinti per convincere molti acquirenti anche da fuori Europa all’acquisto, perché non venisse perso quell’immenso patrimonio così come erano andati perduti i libri nei roghi organizzati in piazza. Nell’immenso patrimonio raccolto dai nazisti, alcune opere, secondo alcuni molte, vennero trafugate dai funzionari o dai militari nazisti per venderli personalmente, soprattutto in Svizzera, e arricchirsi. Opere confiscate ci furono anche nei territori occupati dai nazisti durante la guerra. Gurlitt tenne per sé circa un migliaio di quelle opere che passarono poi al figlio Cornelius. Questi le tenne per onorare la memoria del padre e, forse, per ipotizzare un futuro profitto personale. I quadri rimasero nascosti per decenni in un appartamento di Monaco di Baviera e appartengono ad artisti come Pablo Picasso, uno dei più demonizzati dal regime, ma anche Chagall, Matisse e altri, per un valore delle tele astronomico.
Per fortuna di tutti noi, le opere sopravvissero alla tragedia della seconda guerra mondiale, purtroppo sopravvissero spesso solo le opere e non gli autori al tempo ancora viventi, ma sono rimaste a rappresentare quel periodo di alta produzione innovativa, eccentrica e illuminante. Se è vero che numerose tele appartenute a famiglie ebraiche sono state esposte a lungo nei musei, e in alcuni casi restituite ai legittimi proprietari o eredi come nel caso della tela di Klimt del Museo di Salisburgo e ritornata alla famiglia Zuckerkandl, l’ammasso di tele trovato a Monaco sorprende proprio per la sua immensità, rispetto ad altri casi di ritrovamento o di acquisizione. La ricostruzione delle appartenenze di diritto delle opere, ma anche l’attribuzione certa agli artisti che le hanno realizzate sono alquanto difficili, dovendo cercare di ricostruire la vita dell’opera da cataloghi o archivi degli anni Trenta o, comunque, precedenti alla guerra. Essendo infatti scomparse le opere per tanto tempo, di molte se ne erano cancellate tracce e talvolta anche memoria, soprattutto se i quadri erano stati venduti a privati collezionisti.
Nello stesso 1938, comunque, prese avvio l’Haus der Deutschen Kunst’s Index, l’Indice degli Artisti, che permette di vedere l’accettazione, il rifiuto e la vendita delle opere d’arte per l’Esposizione. Sempre nello stesso anno iniziarono ad essere registrati, in sedici faldoni che sono giunti fino a noi, i libri contabili che testimoniano la vendita di 7milioni di pezzi per circa 19 milioni di Reichsmark incassati. L’ultima transazione è datata 24 aprile 1945, poco prima della morte di Hitler.
Il Fuhrer sapeva che costruire la grande Germania passava anche dal costruirle un’adeguata arte, che testimoniasse la sua potenza e nella quale i tedeschi potessero adeguatamente identificarsi.
Dal 1941 al 28 febbraio 1944 è stato creato e aggiornato il libro dei dipinti di Hitler che comprendeva 825 opere e dipinti delle Grandi Esposizioni di Arte Germanica da lui acquistati direttamente e conservati all’Haus der Kunst, trasferiti a partire dal 1942 al Fuhrerbau di Konigsplatz a Monaco e, quindi, alla miniera di sale di Altausee. Nel 1943, però, 21 quadri vennero portati nell’appartamento di Hitler in Prinzregentenplatz.
Se Hitler aveva in mente di creare una ricca collezione di opere, soprattutto antiche e classiche, con le quali allestire il Fuhrermuseum a Linz, città dov’era cresciuto e dove aveva iniziato la sua attività di pittore, ad emulazione del Louvre arricchito da Napoleone Bonaparte, anche tra i gerarchi nazisti serpeggiava l’amore per il collezionismo d’arte. Hitler amava soprattutto l’arte classica, comunque precedente le avanguardie dei primi del Novecento, forse fatta eccezione per il Futurismo che, essendo prevalentemente italiano, si è salvato dalle mire eliminatorie dell’arte definita “degenerata” e razziata soprattutto in Germania, Austria e Francia. Goebbels e Goering prediligevano l’arte antica e, il secondo, anche quella “degenerata” (anche se suo malgrado aveva dovuto adeguarsi alla volontà del suo Fuhrer e bandirla) e organizzarono parecchie missioni di acquisto in Italia, talvolta anche comprando dei falsi abilmente rifilati dai venditori o galleristi italiani. La Collezione Goering venne recuperata a seguito della liberazione di Berchtesgaden da parte della 101st Airborne Division che trovò tele e numerosi altri oggetti di estremo pregio. La pinacoteca di Hermann Goering era invece custodita a Carinhall, a circa sessanta chilometri da Berlino, dove la Galleria costituiva uno dei più interessanti cataloghi del tempo, sinonimo di status simbol forse più di quanto fosse sinonimo di cultura dell’arte da parte del proprietario. Gli americani trovarono, nel 1945, il rifugio di opere d’arte presso la miniera di sale di Altaussee, in Austria, dove accanto a opere di Michelangelo sono state rinvenute opere di Van Eyck e Jan Vermeer appartenenti al Fuhrer e altre della collezione di Goering come “Danae” di Tiziano, la “Flagellazione di Cristo” di Caravaggio, “Antea” del Parmigianino, una “Madonna” di Raffaello, lavori di Leonardo. Queste ultime opere provenivano dall’abbazia di Montecassino dove erano state poste in salvo e dalla quale erano state trafugate dai nazisti della Divisione Goering, per portarle a Berlino e a Goering stesso in occasione del suo compleanno.


Ancora, in una miniera di potassio a Merkers, vicino a Francoforte, gli americani trovarono depositi di oro e valute tedesche per circa 520milioni di dollari. Anche lì c’era un rifugio di opere d’arte sottratte ai musei berlinesi, tra i quali lavori di Goya e Manet. Ma c’erano anche gioielli e argenteria, compresi denti d’oro, requisiti agli ebrei e ai prigionieri dei campi di concentramento. Alcune delle opere sono tornate agli eredi del mercante d’arte olandese Jacques Goudstikker, ebreo di Amsterdam, al quale Goering fece sequestrare svariate opere all’occupazione tedesca dei Paesi Bassi. Accanto a lui si possono ricordare anche Rosenberg e Goodman, collezionisti di opere d’arte e di oreficeria ai quali vennero comperate a prezzi stracciati o confiscate opere dai nazisti.
Tornando a Gurlitt, come fu possibile che si tenesse in casa per decenni opere così importanti e soprattutto così tante? Venne scoperto per puro caso nel 2010, durante un fermo di polizia. A seguito di questo, venne perquisita la sua casa dove vennero rinvenute le opere ufficialmente perdute durante il bombardamento di Dresda del 1945. Il ritrovamento venne tenuto segreto e confermato solo nel 2013, dopo un’inchiesta giornalistica da parte di “Focus”. Tra le opere “degenerate” di Gurlitt, pezzi di Matisse, Kandinsky, Klee, fra gli altri. In effetti, i soldati americani avevano scoperto suo padre, ma sembrava che possedesse solo un centinaio di lavori, avendo dichiarato che gli altri erano andati perduti, appunto, durante i bombardamenti, fatto che sembrava del tutto plausibile.
Tra i quadri, “Ritratto del dottor Gachet” di Van Gogh, confiscato nel 1938 dallo Staedl Museum di Francoforte da Goering, venduto ad un banchiere tedesco e a sua volta rivenduto negli Stati Uniti dove, nel 1942, Rosenberg lo espose in una mostra a New York. Per cercare di trovare i proprietari legittimi delle opere confiscate o trafugate dai nazisti, vari musei europei hanno organizzato mostre di “Looted Art”, assistite da un’apposita commissione internazionale che aiuta gli eredi a rientrare in possesso di ciò che era appartenuto a famiglie ebree soprattutto.
Di questo interessante e spesso sconosciuto aspetto della politica hitleriana, si è occupato un documentario trasmesso nei cinema italiani il 13 e 14 marzo 2018, dal titolo “Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione dei nazisti per l’arte”, sulla scia proprio dei ritrovamenti recenti che fanno essere la storia, ancora una volta, non un argomento trascorso e finito, ma una realtà presente.
Del resto, bisogna anche considerare che la Germania chiede la restituzione di numerose opere d’arte requisite dai russi durante la campagna offensiva e d’assedio della seconda guerra mondiale. In quel periodo l’arte veniva definita “degenerata” non solo dai tedeschi, ma anche dai russi. In Unione Sovietica molti artisti venivano perseguitati già dal 1924, soprattutto se appartenenti alle avanguardie, e anche lì la censura di fatto chiedeva a pittori e letterati di mettersi al servizio del regime, come accadrà per i regimi totalitari di destra.

*Comm. Alessia Biasiolo
Collegio degli Scrittori Rivista Quaderni del Nastro Azzurro



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