Tomaso Vailardi di Sandignano
Scrive Helms nel suo libro sulla Guerra Fredda: «Jim was recognized as the dominant
counterintelligence figure (1)», ma se Helms avesse conosciuto Cavour probabilmente
avrebbe scritto: «Camillo was recognized as the dominant counterintelligence figure».
Jim è James J. Angleton (2), l’uomo che ha trasformato l’intelligence in uno dei più
spregiudicati giochi di agenti doppi e tripli («an infinity of mirrors») e nulla sembra
accomunarlo a Cavour. Diversi i tempi storici, opposti fisicamente e caratterialmente:
silente, monacale e introverso fino alla paranoia il primo, giocatore d’azzardo,
gaudente sregolato e braccatore di femmine di più o meno buon affare il secondo. Ma
scomponendo i chiaroscuri che delineano le loro azioni, si scopre quanto i due uomini
sono simili. Identica è la freddezza del calcolo strategico e la capacità di imparare dagli
errori, identico è lo sprezzo di ogni forma di etica. Entrambi hanno distillato von
Clausewitz e il suo “Vom Kriege”:
Con la parola informazioni designiamo tutte le cognizioni che possiamo avere del nemico […],
e cioè la base per tutte le nostre idee ed azioni.
L'enorme bibliografia su Cavour ha vivisezionato dell’uomo precursore dei tempi,
azioni e pensieri, dal politico all’oggetto del gossip amoroso, ma non molto ha dedicato
al suo “sistema intelligence”, ossia agli uomini e alle donne utilizzati per piegare gli
eventi ai suoi obiettivi, privati e politici: per gli storici, i Servizi Segreti «sono solo un
maleodorante retrobottega nel quale sarebbe disgustoso e poco utile ficcare il naso (3)».
Il Servizio Segreto privato: l’inizio
Fallita la speranza di una carriera militare e inutile la nomina a Sindaco di Grinzane,
Michele Benso tentò un’ultima possibilità. Affidò al figlio Camillo l’amministrazione della
grande tenuta di Leri, entrata nel patrimonio famigliare per il matrimonio di Michele con
Adelaide de Sellon, quando l’ambiguo massone opportunista «baron [Michele] Bens
de Cavour» era «chargé du service de la Chambre, fêtes et concerts» del principe
Borghese (4.)
Con i De La Rüe, banchieri sia del padre che dei de Sellon, Cavour scoprì il gioco in
borsa, titoli e derrate, dove si poteva guadagnare molto di più che ai tavoli da gioco, ai
quali aveva quasi sempre perso. Nel 1853 le sue speculazioni sul grano attraverso la
Società Anonima dei Mulini Anglo-Americani, di cui era il principale azionista,
sfociarono nei tumulti del 18 ottobre (5). Operare in borsa richiedeva informazioni e
Cavour, tra i tavoli da gioco, le case chiuse londinesi e parigine, i legami con dame di
più o meno onesto costume e intellettuali dalle idee pericolose, aveva coltivato amicizie
buone e meno buone, entrambe utili. Con loro iniziò a costruire una rete informativa
personale, che consolidò nel 1839 quando La Marmora lo chiamò alla Regia
Commissione Superiore di Statistica che, negli atti di Governo, compare quasi sempre
a copertura dei centri di controspionaggio6 (Sezioni o Centri di Statistica).
Il Servizio Segreto privato e il Servizio Segreto istituzionale
La Commissione Superiore di Statistica fu un osservatorio privilegiato per la raccolta
di informazioni, dove Cavour capì l’importanza delle covert actions («the main thing
about Covert Action is that it must be deniable»). Ufficialmente il Piemonte non aveva
un Ufficio Informazioni, anche se era inserito nella Istituzione del Real Corpo dello
Stato Maggiore Generale del 1816, poi nelle Istruzioni del 1850 sulle “pattuglie
segrete”. Istituzionalizzato nel 1855 con la ”Istruzione La Marmora7”, il Servizio Segreto
continuò a non esistere negli organigrammi e negli Ordini di Servizio, neppure nel 1861
quando l'Armata Sarda divenne Esercito Italiano.
Quando Cavour assunse il Dicastero degli Esteri nel 1855, la sua rete di spionaggio
diventò il Servizio Segreto del Ministero degli Esteri, che diresse attraverso Negri di
Saint Front, parallelo e in concorrenza a quello militare diretto da Govone, il padre del
Servizio Segreto italiano. Di fatto, padre di un bimbo virtuale perché gli Ufficiali
piemontesi continuarono a giudicare l’intelligence “‘na bala di Stat Magiur” (una balla
dello Stato Maggiore, in piemontese), mentalità che permise a Cavour di consolidare
la propria rete informativa, costituita quasi tutta da civili e quasi tutti di poca fama,
pagati in denaro e cariche pubbliche.
Il Servizio Segreto privato: le etére
Ammiratore spregiudicato e cinico della donna, Cavour fu il primo a utilizzare in
maniera sistematica lo spionaggio anche al femminile, sfruttando amori di letto e
incandescenze di Patria. La bellezza non fu un fattore prioritario. Come per le etére di
Demostene contava l’intellettualità colta e la capacità di relazione. La storia ha sfiorato
le più celebri, molte rimangono sconosciute.
A Parigi operò Paolina Rasini8, bruttina, disincantata e venale spia del gran mondo,
talmente abile che fu sospettata di essere anche al servizio della Russia. A Londra ci
fu la fascinosa paranoica Maria Canera di Salasco, figlia del generale finito sotto
inchiesta per avere sottoscritto l'armistizio con gli Austriaci dopo la sconfitta di Custoza.
Fuggita dal convento dove il padre l’aveva rinchiusa per un’ennesima storia di debiti,
si rifugiò a Londra e incontrò Garibaldi. Se ne innamorò e lo seguì nella impresa dei
Mille. Cavour ne sfruttò l’amore e quando la follia ebbe il sopravvento, la abbandonò
nei debiti tra le carceri di Londra e Parigi.
Del ruolo di Maria Letizia Wyse-Bonaparte, spiata dai Servizi Segreti e dalle polizie di
mezza Europa, espulsa dall'Impero per le sue «abitudini particolari», tre matrimoni (de
Solms, Rattazzi, de Rute), si seppe solo durante il boccaccesco processo alle Assise
di Angoulême del 1891. L’accusato era Bouly de Lesdain, che aveva sparato alla
moglie Charlotte e al suo amante Delboeuf. Si doveva capire se Bouly de Lesdain,
marito “in partibus” per contratto, aveva agito per gelosia o su ordine della Bonaparte,
gelosa di Delboeuf. Charlotte, che le malelingue chiamavano «monsieur Charlotte»,
era l’«amie intime» della Bonaparte. Sui giornali finirono le lettere infuocate di Maria
Letizia a Charlotte, «in cui è evidente la fusione del pensiero di sangue con quello della
lascivia (9)», e nel dibattimento uscirono documenti riservati, tra cui i rapporti informativi
con Cavour iniziati ai tempi di quando era passata per il letto di Vittorio Emanuele II.
A Parigi operò anche l’etéra per antonomasia, la contessa di Castiglione (Virginia
Verasis di Castiglione alias Nicchia), consegnata alla vulgata risorgimentale con molti
epiteti, «la contessa che ha fatto l’Italia» fu il più garbato. Più bella e con più amanti
della Bonaparte, ma meno intelligente e colta della Rasini, fu addestrata ai cifrari da
Negri di Saint Front e protetta a Parigi da Costantino Nigra, altro agente di Cavour che
era stato chiaro: compito della Castiglione era di spingere con ogni mezzo Napoleone
III a un’alleanza franco-piemontese. Come d’abitudine Cavour informò il Governo a
cose fatte (10).
La realtà storica sfuma però il mito risorgimentale. Se effettivamente la bellezza della
Castiglione entrò nell’intimità delle alcove del castello di Compiègne, il progetto di
Cavour riuscì solo in parte (11). La relazione fu saltuaria, molta la concorrenza delle
«créatures venues se faire donner l'obole impériale (12)» e nel 1857, dopo il dubbio
attentato a Napoleone III di Avenue Montaigne, la Castiglione fu espulsa. L’attentatore
fu ucciso da Griscelli, un corso che dal 1859 si ritroverà tra gli uomini di mano di
Cavour. All’Imperatore fu fatto credere che era stato un complotto mazziniano, ma
rimase il dubbio che l’ispiratrice fosse l’Imperatrice Eugenia. La Castiglione ritornò a
Parigi nel 1872 in un tentativo di riciclo di spionaggio, ma i tempi erano cambiati. Morì
alla soglia della pazzia, svanito per ordine del Governo francese e di Umberto I il
carteggio e il diario dove annotava a chi e per conto di chi aveva dispensato i suoi
favori. Di lei, «la divine comtesse», rimane il giudizio del suo psichiatra Emile Blanche:
«un cas pathologique, relevant du neurologique (13)».
Se la Castiglione era riuscita a portare Napoleone III verso il Piemonte non oltre
promesse da garçonnière, a decidere l’Imperatore fu un rapporto segreto del 4 marzo
1859, stilato da Govone in missione in Lombardia, che documentava i progetti
aggressivi austriaci.
Il Servizio Segreto privato: la fine
Una sera del 1858, era marzo, fu fermato casualmente a Torino Vincenzo Cibolla, un
malavitoso noto alle forze dell’ordine. Interrogato dal giudice istruttore Soardi, fu il
primo pentito della storia giudiziaria del Regno. Confessò di essere un membro della
“banda della Cocca”(14) che imperversava dal 1857 in città con truffe, furti, stupri e
omicidi. Una banda che aveva riunito tutte le batterie malavitose di Torino (cocche),
tessendo protezioni in quella parte grigia della città dove si congiungevano malaffare,
potere e politica. Cibolla fece i nomi dei compagni, Soardi spiccò i mandati di cattura,
il processo iniziò nell’aprile 1860 e si concluse con condanne pesanti, 14 gli imputati
accusati di una trentina di omicidi. Ma Soardi continuò a indagare su altri delitti emersi
nel dibattimento e riaprì un nuovo processo l’anno successivo.
All’appello mancava Tanino, uno dei condannati, morto il 7 agosto in carcere proprio
all’inizio del nuovo dibattimento. Si parlò di veleno, ma non fu fatta l’autopsia e non fu
chiesta la riesumazione. Cibolla stava male e parlava strano: «divulgandosi la mia
dichiarazione, chi è ancora libero fuggirebbe. Trattasi di persone potenti». Riferì di
spartizioni, disse che Tanino doveva dare parte della refurtiva a un «personaggio della
questura molto potente», che identificò con l’ispettore Filippo Curletti (15). Ne aveva
accennato al giudice Soardi durante il primo processo, quando gli aveva parlato di
Tanino. Ma Soardi era stato trasferito a Parma, ordini dall’alto e il suo comportamento
fu messo in dubbio dal Presidente della Corte di Assise Mola di Larissé. Fu convocato
con Curletti, irreperibile perché in missione tra Perugia (16) e Napoli (17) per conto di Cavour.
I giornali promossero Cibolla eroe tenebroso di romanzetti mielosi e con la penna di
Beghelli, “La Cocca” divenne una Società segreta in un romanzo a puntate.
Mola di Larissé interrogò Soardi, che confermò la testimonianza di Cibolla. Curletti
questa volta era in aula. Il processo si chiuse a settembre con nuove condanne, ma
Curletti non fu incriminato nonostante le prove emerse sul suo collegamento con l’ex
carabiniere ed «esploratore segreto della pubblica sicurezza» Tanino. Sotto la
pressione dei giornali, il 10 settembre Curletti chiese al Ministero degli Interni
un’indagine sulla propria condotta. Contemporaneamente, il Procuratore Generale aprì
un procedimento penale e il 17 fu spiccato un mandato d’arresto «contre Philippe
Curletti, ancien employé de police, prévenu de graves abus». I giornali fecero il diavolo
a quattro tirando in mezzo gli ex Governatori dell’Italia appena annessa: d'Azeglio,
Farini, Cipriani, Ricasoli, Pepoli e Della Rovere (che aveva inviato Curletti a Palermo
per riorganizzare la polizia segreta dopo lo sbarco dei Mille). Il processo fu breve, si
doveva acquietare l’opinione pubblica. Gli furono riconosciute tutte le accuse più
qualche omicidio e gli diedero vent’anni di lavori forzati, teorici, perché Curletti era già
in Svizzera e nessuno andò a cercarlo. La sentenza circoscriveva lo scandalo alla
cronaca nera e gli uomini del primo Governo Unitario si tranquillizzarono.
Curletti era di molte risorse e quando si presentò al processo il suo piano di fuga era
già pronto. La morte di Cavour a giugno gli aveva tolto ogni protezione, ma Curletti
aveva un archivio con dentro tutti gli uomini che avevano “fatto” l’Italia e un
Risorgimento molto diverso da quello che si raccontava (18). Conosceva i trascorsi del
Presidente del Consiglio Ricasoli, quando «governava la Toscana come un Pascià
Turco non badando né a leggi né a legalità (19)». La sua richiesta al Ministero degli Interni
fu un messaggio al Governo, che capì e ne favorì la fuga, mentre Ricasoli faceva finta
di cercarlo con la tattica del depistaggio:
Priez la Police fédérale de le signaler pour l'arrêter. J'écris directement au Tesin. Les
documents pour l'extradition seront expédiés plus tard (20).
L’ex agente di Cavour non era in Ticino, ma a Ginevra e arrivò negli Stati Uniti a fine
dicembre (21). Della sua presenza a New York nel 1865 e dei suoi rapporti con il sindaco
newyorchese Willett scrisse Beghelli in un nuovo romanzo (22). Merita attenzione, perché
Beghelli fu “camicia rossa” nella campagna dei Vosgi (2° battaglione Erba, Legione
Tanara) e mazziniano vicino al Movimento Operaio internazionalista, che aveva tra gli
iscritti anche fuorusciti italiani negli Stati Uniti. Da New York, Curletti si spostò a
Filadelfia e vi morì nel 1876. Il necrologio fu ripreso in Italia due anni dopo da
“L’Illustrazione popolare” di Milano:
Ricordate ancora, o lettori, quel famoso commendatore Isidoro Curletti, organizzatore della
polizia in parecchie provincie nel 1859 […]. Orbene, quel Curletti è morto ora a Filadelfia, come
ce ne dà notizia L’Eco d’Italia di Nuova York, il quale aggiunge che il Curletti trasse negli Stati
Uniti una vita laboriosa, fu maggiordomo nella trattoria la Maison dorée, poi impiegato nella
casa Malatesta, ed era roso dai malanni e dai rimorsi.
La “Maison dorée” di New York non era una trattoria, ma un ristorante di lusso aperto
da un Piemontese, Francesco Martinez, pochi mesi prima dell’arrivo di Curletti23. Un
prestanome?
A Ginevra, Curletti vendé l’archivio all’abate Mermillod, allora parroco a Ginevra. Gran
protetto di Pio IX, attore maggiore nella storia della dottrina sociale della Chiesa e
sodale di patrioti in esilio come Runcaldier, Mermillod aveva anche legami con un
conterraneo di Cipriani, il corso Griscelli coinvolto nel dubbio attentato a Napoleone III
di Avenue Montaigne. Curletti conosceva Griscelli da Torino e lo aveva ritrovato a
Modena, quando il Regio Commissario Farini razziava Palazzo Ducale con la moglie
Genoveffa e la figlia Ada, sotto l’occhio del genero-segretario Riccardi di Netro, agente
del Servizio Segreto del Ministero degli Interni (Ufficio Alta Sorveglianza Politica), sotto
la copertura di Consigliere di Governo addetto al Gabinetto del Ministro. Il punto di
unione tra Curletti, Mermillod e Griscelli fu probabilmente Runcaldier, romagnolo come
Curletti, rifugiato in Corsica dopo i moti di Romagna del 1831, esule a Torino nel 1849
e a Ginevra dal 1852.
Bruxelles, 1861: il pamphlet di «J. A. ancien agent secret du comte Cavour»
Mermillod spedì l’archivio di Curletti in Vaticano, utile in un momento in cui il primo
Parlamento Italiano insisteva sulla “questione romana”, ma trattenne il regesto che
accompagnava l’archivio. Lo correlò con i documenti originali e incaricò Griscelli di
portarlo a Bruxelles, dove il tipografo Delièvre lo mise in stampa per “La Revue Belge
et Étrangère”, 24 pagine firmate «J. A. ancien agent secret du comte Cavour24», al suo
servizio per «trente mois environ», quindi dal 1858. Il pamphlet andò a ruba e rimbalzò
in Italia tradotto e pubblicato dall’Osservatore Romano. La stampa antisabauda e
papalina alzò un polverone e nel solo 1862, tra Europa e Italia, se ne stamparono
almeno una decina di edizioni.
Correlato con un altro pamphlet uscito anonimo a Torino nel 1869 (“Storia dei ladri nel
Regno d'Italia”), che citava ladrocini e corruzioni di quando si “faceva” l’Italia e tanto
attuale che nel 1966 il Governatore della Banca d’Italia Carli ne fece un’anastatica di
50 copie da regalare a Natale, il pamphlet di Curletti prende una dimensione storica
sconcertante. Indagate già alla loro uscita e riscoperte con la ricorrenza del 150°
anniversario dell’Unità nazionale nel confronto con la parzialità della storia conosciuta,
le 24 pagine di “J. A.” sono profetiche nella loro conclusione:
Je n'avais aperçu nulle part cet enthousiasme pour l'unité italienne […] j'avais au contraire
retrouvé partout dans toute sa vivacité l'instinct de l'indépendance locale. Partout, enfin, le
Piémont était regardé comme un étranger et comme un conquérant. En face de pareils
sentiments, j'ai été bien obligé de reconnaître que le véritable drapeau du mouvement italien
n'avait pas cessé d'être l'indépendance, et n'avait jamais été l'unité, dont l'idée n'était pas
encore mûre; il devenait évident à mes yeux que la maison de Savoie, en voulant en fausser le
sens pour satisfaire son ambition, s'était jetée dans une entreprise bien au-dessus de ses
forces, et que le faisceau de provinces qu'elle cherchait à embrasser ne tarderait pas à
échapper à ses mains trop faibles.
Bruxelles, 1867: il Memoriale di Griscelli, «agent secret de Cavour»
Nel 1867, sempre a Bruxelles, uscì un memoriale parallelo alle “Révélations”, 243
pagine di storia europea e italiana firmate da un altro «agent secret de Cavour (25)»,
Jacques François Griscelli, che cercò di camparci con multipli remakes. A differenza
di Curletti emerso alle cronache solo tra il 1858 e il 1861, poco prima (26) e quasi niente
dopo (27), Griscelli era un «Individu fort connu pendant le second Empire à Paris» per le
sue derive penali, vissuto in fuga tra condanne e galere (lo ricorda a lungo nelle sue
“Mémoires” il Capo della Polizia di Parigi Antoine Claudei (28), killer prezzolato ai margini
di Servizi Segreti e folklore in qualche alcova. Nato a Vezzani in Corsica nel 1811 da
Pietro Antonio e Giulia Baldovini, arruolatosi nel 1831 nella 4a Compagnia volteggiatori
del 60° Reggimento di linea in fuga da un’incinta cugina-moglie (Giovanna Griscelli),
risposato quattro volte, un processo per bigamia e molte amanti, Griscelli debuttò nelle
carceri francesi nel 1841 per truffa, poi nel 1844 per lo stesso reato e nel 1845 per
furto.
Membro della famigerata “squadra còrsa” diretta dal Prefetto Pietri a protezione di
Napoleone III, ebbe gloria con Victor Hugo, quando lo scrittore millantò l’offerta di
25.000 franchi che Griscelli avrebbe dovuto ricevere per ucciderlo su mandato di
Petri29. Caduto in disgrazia dopo l’attentato di Orsini (1858), si rifugiò a Londra, dove
scampò di misura a un sicario dello spionaggio francese di Hyrvoix, «Inspecteur
général de la police des résidences impériales». Griscelli fuggì a Vienna passando al
servizio di von Buol-Schauenstein, la cui rete informativa era ben infiltrata nei
movimenti mazziniani di tutta Europa. A Torino, uno dei centri della propaganda
rivoluzionaria, la rete faceva capo al Cancelliere della Legazione austriaca Pisani.
Marchisio, un agente segreto al servizio del senatore Arese poi di Cavour, riuscì a
intercettare due lettere, una subito antecedente l’attentato di Orsini, l’altra subito
posteriore, tutte e due datate da Zurigo, in cui «Filippo» annunciava al «Caro Gigi
[Pisani]» un nuovo attentato contro Napoleone III. Arese passò il carteggio
all’Imperatore e a Cavour, che lo usò sia per il discorso del 16 aprile 1858, sia per fare
pressione su Napoleone III, evidenziandogli il rischio di nuovi attentati da parte di
Italiani guidati dall’Austria, provenienti dalle file del Comitato Centrale Democratico
Europeo di Mazzini a Londra. Non a torto, perché il Comitato era ampiamente infiltrato
dai Servizi Segreti austriaci, francesi ma soprattutto inglesi, finanziatori occulti degli
attentatori per spingere Napoleone III verso la “questione italiana”, che aveva la fiera
opposizione del suo Ministro degli Esteri Colonna-Waleski.s
Da Vienna, Griscelli passò a Pesaro accolto da monsignor Bellà, sanfedista e filoaustriaco
con le mani nelle “congrue” cavouriane, che lo mandò a Torino (1859), dove
conobbe Curletti (il «Filippo» delle lettere intercettate da Marchisio? Per questo Arese
scrisse che la polizia di Torino «ne m’inspire pas assez de confiance»?) ed entrò nel
Servizio Segreto di Cavour con la garanzia di Crispi (30). In missione in Sicilia quando
Cavour progettava di eliminare Garibaldi, fu tradito dall’insipienza di Pellion di
Persano (31), pessimo ammiraglio ma ottimo tangentatore di ufficiali borbonici. Passò a
Napoli, quindi a Modena e poi a “triplo servizio” nelle Marche (32) (Stato Pontificio, Crispi
e Cavour) sotto nomi diversi (De Mezzani, Griselle De Mezzani), dove ritrovò Curletti.
Condannato in contumacia a Marsiglia nel 1861, ancora per truffa, «à 5 ans de prison
et à 5 ans de surveillance», arrestato e accompagnato alla frontiera belga, fuggì a
Ginevra. Da Mermillod incontrò Curletti che negoziava il suo archivio e proseguì per
Bruxelles per la pubblicare le “Révélations", dove tornò nel marzo 1864 con un falso
passaporto emesso a Parigi l’anno prima a nome di sir Arthur Rimeni, americano. Il 6
aprile, a Ostenda, auto-nominatosi per l’occasione barone di Rimini, negoziò una
cambiale su un banchiere di Roma, insoluta perché il banchiere dichiarò che «persona
e firma a lui erano sconosciute e del quale barone la banca non possiede fondi». Nel
1867 tornò a Bruxelles, dove vendé le sue “Mémoires" all’editore Janssen.
Nel 1869 Griscelli fu a Firenze durante lo scandalo della Regia Privativa Tabacchi
Cointeressata, un giro di tangenti che lambiva deputati e Re, dove per conto di Crispi
inscenò il finto attentato al deputato Lobbia, amico e compagno in Parlamento dello
stesso Crispi. Lobbia aveva affermato di avere le prove di «lucri percepiti nella
contrattazione sui tabacchi», impaurendo corruttori e corrotti. Non lo si poteva
assassinare, troppo lo scalpore (a suo favore si era mosso anche Garibaldi), ma lo si
poteva implicare in qualche storia torbida, magari a sfondo sessuale. Crispi ne incaricò
Griscelli, che assoldò un domenicano cacciato dall'Ordine perché «dedito alla
sodomia» (Giuseppe Lai). Il 24 agosto 1869 Lobbia denunciò un tentativo di attentato,
il Governo si mosse pesantemente sulla Procura, l’ex frate fu prosciolto perché aveva
«attentato non alla vita, ma alla castità del deputato» e Lobbia finì sotto processo per
«simulazione di delitto (33)». Con i soldi e una lettera di Crispi, Griscelli passò a Brindisi
dove il Vice-Prefetto Agnetta, compagno di Crispi in Sicilia, lo fece espatriare, e fu
promosso Prefetto.
Nel 1871, mentre l’Italia festeggiava la nuova capitale, uscì una nuova edizione delle
“Mémoires (34)» contestata da Griscelli («absolument falsifiée, contrefaçon
audacieuse»). Condannato per porto abusivo di titolo nobiliare, si rifugiò a Londra, poi
a Ginevra. I documenti tacciono fino al 1884, quando ricomparve a Parigi promettendo
a un libraio l’edizione originale delle "Mémoires" con 31 documenti dell’archivio Curletti.
Il libraio gli anticipò 400 franchi e non lo rivide più. Ritornato a Bruxelles, Griscelli fu
arrestato per vagabondaggio e condannato il 9 febbraio 1885 «pour double
escroquerie». Estradato in Francia a fine settembre, è l’ultimo documento che lo
riguarda, assente negli archivi l’atto di morte.
La sovrapposizione Curletti-Griscelli
Nel 1896 uscì sul “Giornale di Erudizione” di Firenze una criptica inserzione sfuggita ai
più, si pensava ad altro, le spie preunitarie erano sepolte tra l’ultimo Governo Crispi e
i 7.000 morti di Adua. «Un ramingo», così si firmava l’autore, scriveva:
Griscelli, barone di Rimini - Questo celebre poliziotto […] che lasciò delle memorie non prive di
interesse […] Chi ne sa qualcosa? E per cominciare chi sa dove e quando morì il “sor barone”?
Anche se lo negò sempre, il «ramingo» era Adriano Colocci, che aveva scoperto
Curletti in una ricerca sui plebisciti marchigiani preunitari. Regista occulto di tutti i
“Comitati spontanei” che da Nord a Sud inneggiavano all’annessione, Curletti aveva
capito molto prima del sociologo Mucchielli che non erano le circostanze a indirizzare
l'opinione pubblica, ma la “percezione delle circostanze” costruita attraverso la
sovversione degli opinion makers (35). Quell’uomo senza passato, capace e defilato,
aveva intrigato Colocci, lo aveva inseguito per l’Italia, ma più avanzava, più la sua
figura si appiattiva su un altro personaggio meno vago, finendo per sovrapporsi e
diventare una persona sola: il «sicaire, criminel et espion politique» Griscelli,
resuscitato nel ritorno alla moda del Secondo Impero. In un commento a un drammone
di successo in scena a Parigi (“La Savelli”), Gosselin aveva scritto:
Je m'étonne que le succès de la Savelli […] avec la reconstitution de scènes Second Empire,
carbonari, complots romanesques, coups de poignard mystérieux, etc., n'aient pas remis en
mémoire cette surprenante figure de policier que fut ce berger corse devenu, à la faveur des
circonstances, Griscelli de Vezzani(36).
Rievocato da uno storico come Gosselin, il padre della «petite histoire», che
considerava le “Mémoires" un «singulier livre», si aprì una polemica tra Colocci e chi
scriveva «nous continuons à croire que Griscelli est une mystification». A caccia di
Curletti, Colocci aveva scoperto ogni cosa sul «baron de Rimini», ma poco su Curletti,
che non compariva neppure nell’articolato dossier conservato al tribunale di Bruxelles,
dove dentro c’era tutto Griscelli, «un rastaquouère du dernier rang». Aveva
sovrapposto i due personaggi, fuorviato da cosa lo stesso Griscelli aveva scritto nella
prima edizione delle “Mémoires" («J'avais pris le nom de Courletti»), ma il lungo
investigare tra Italia ed Europa gli aveva dato la certezza che i personaggi erano due
e ben distinti (37):
Curletti era quello dei due che era stato a latere di Farini, di Boncompagni, di Cipriani e poi di
Cialdini a Napoli; il Curletti era stato direttore capo di polizia e ben dentro il lavoro politico delle
annessioni, mentre: Griscelli aveva traversato correndo il paese e gli avvenimenti, in posizione assai più umile ed oscura; qualche spionaggio, qualche servizio di alcova, null’altro.
Colocci intuì che il punto di partenza era l’incontro ginevrino tra Curletti, Mermillod e
Griscelli, ma sbagliò pensando che l’archivio fosse nelle mani di Griscelli. Ignorava la
fuga negli Stati Uniti di Curletti, che probabilmente Griscelli conosceva (38), e lo pensò
morto, spiegando così perché Griscelli si era potuto sostituire senza azzardi al vero
autore delle “Révélations". Se è inesatta la ragione, la conclusione di Colocci è giusta:
l'ex-capraro di Corsica, si è ubriacato dal contatto e dalle lodi di legati, ministri, deputati, prelati
a cui ha presentato l’opuscolo come suo. Ormai non può né sa rinunciare a spacciarlo per roba
sua, successa a lui […] bramava sostituirsi egli al Curletti nella personalità dell’eroe di quelle
avventure, entrando addirittura e completamente nella pelle del collega. E tutto lo sforzo del
Griscelli consisterà da quel momento nell’obliterare e spingere la figura del Curletti verso
quell'oblìo, che […] bramava completo.
Conclusione
La ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità nazionale ha riportato il Risorgimento al
centro della nostra storia moderna. Ricerche più approfondite negli archivi hanno
permesso correlazioni tralasciate da studi affrettati e sovente di parte, con il risultato
di una nuova attenzione su Curletti, sulla storicità delle sue “Révélations" e sul Servizio
Segreto privato di Cavour. Sugli scandali della Napoli di Garibaldi aveva già scritto nel
1860 un deputato, Fratello della Loggia torinese Ausonia:
Che spieghi [Garibaldi] prima che fine hanno fatto le somme di pubblica ragione trovate in
Palermo, e nelle altre della stessa natura, ma anche più considerevoli trovate in Napoli! Volete
un saggio di quel poco che moltissimo giunse insino a noi? (39)
Sulla «passeggiata militare dalla Sicilia a Napoli, stancante è vero, ma senza rischio
alcuno» (Maxime Du Camp, garibaldino), aveva scritto lo stesso Garibaldi in una lettera
del 1868:
Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non
aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere
preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio (40).
Il giudizio sui Mille, lo sembra averlo dato lo stesso Garibaldi in Parlamento a Torino il
5 dicembre 1861, proprio mentre il Governo discuteva la proposta del deputato La
Masa sull’assegnazione di una pensione ai “Mille”:
tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni, con radici
genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto.
Sul mito postumo e non contemporaneo di Garibaldi (41), ai suoi inizi un «image making»
dell’intelligence inglese, aveva scritto nel 1882 un altro massone:
Non si deve lasciar credere in Europa che l’unità italiana, per realizzarsi avea bisogno d’una
nullità intellettuale come Garibaldi. Gli iniziati sanno che tutta la rivoluzione in Sicilia fu fatta da
Cavour, i cui emissari militari, vestiti da merciaiuoli girovaghi, percorrevano l’isola e compravano
a prezzo d’oro le persone più influenti (42).
La rilettura delle “Révélations" ha evidenziato l’incidenza di Curletti nell’Italia
preunitaria e fatto emergere nomi noti e meno noti, etére e agenti doppi e tripli a
controllo uno dell’altro, di amici come di nemici, costituenti quell’«infinity of mirrors»
che fu il “sistema intelligence” di Cavour: Castiglione, Wyse-Bonaparte, Rasini, Farini,
Bozino, Nigra, Negri di Saint Front, Totti, Massari, Bixio, Miehaud, Conneau,
Boncompagni, Marchisio, Polasky alias Pollacky alias Jules Fresnery, La Cecilia, La
Farina. Ma molti mancano ancora all’appello.
Un “sistema intelligence” a volte imperfetto per un uso non sempre controllato di agenti
(e ordini) doppi e tripli, anche infedeli, che conferma l’idea di molti storici: nel suo
complesso, il Risorgimento fu «a complete fluke (43)». Un esempio? Lo sbarco di
Garibaldi sul continente: Cavour passò in pochi giorni dall’idea di assassinarlo, a quella
di arrestarlo, salvo poi facilitarne l’entrata a Napoli per bloccarlo tra Marche e Umbria.
Ma se il Risorgimento fu un «fluke», Cavour seppe coordinarlo alla sua strategia e
«Curletti Filippo - agente segreto, gran fabbricatore di votazioni e manifestazioni
entusiastiche (44)», ne fu l’interprete migliore: alleato di tutti, sinistra e destra, patrioti e
assassini, capace di trasformare i nemici in amici e gli amici in nemici di altri amici. La
sua azione si mosse all’interno di un sistema informativo la cui complessità,
dimensione e capillarità, fu la più larga covert action messa in atto in Italia da un uomo
solo, Cavour, partito da un semplice concetto che Curletti riassume:
C'est pourtant l'histoire de toutes les révolutions. Elles sont presque toujours l'oeuvre de
quelques hommes à qui deux ou trois fonctionnaires achetés ouvrent les portes.
Tomaso Vialardi di Sandigliano, socio dell'Istituto del Nastro Azzurro
Siglario
AD - Archives départementales
ASP - Archivio di Stato di Perugia
AST - Archivio di Stato di Torino
CC - Carteggi Camillo Cavour
NARA - National Archives and Records Administration
Note:
1 RICHARD HELMS, A Look over My Shoulder: A Life in the Central Intelligence Agency, New York 2003. Helms
fu Direttore della CIA dal 1966 al 1973.
2, Associate Deputy Director of Operations for Counterintelligence dal 1954 al 1975.
3 ALDO GIANNULI, La guerra fredda delle spie, Roma 2005.
4 Almanac Impérial, pour l’année MDCCC, Maison du Prince Borghese, Paris s.d. ma 1810.
5 «il conte Cavour è magazziniere di grano e di farina, contro il precetto della moralità e della legge […] sotto il
governo del conte di Cavour ingrassano illecitamente i monopolisti, i magazzinieri, i borsaiuoli, i telegrafisti, e gli
speculatori sulla pubblica sostanza». ANGELO BROFFERIO, “Voce della libertà”, Torino 24 novembre 1853.
6 Con il Regolamento Generale del 1822, le informazioni erano raccolte dalla “Commissione per i lavori statistici”e dal “Comitato esecutivo dell’emigrazione italiana”.
7 Raccolta uffiziale delle leggi, regolamenti e disposizioni relativi al servizio ed all’amministrazione militare diterra e di mare, “Giornale Militare”, circolare 21, I, Torino 1855. suddivisa in cinque parti, negli ultimi due Capi (quinto e sesto) si istituivano il «servizio di missioni speciali» e il «servizio segr8 «La Comtesse Rasini Cuggiani [Caissotti di Chiusano] a à ses pieds Fould et le Ministre de la Marine. Elle ne
manque pas d'esprit, mais elle est laide». CC, Cavour-Salmour, Ruggiero Gabaleone di Salmour a Cavour, 19agosto 1854, Bologna 1961.
9 CESARE LOMBROSO, La psicologia di una uxoricida tribade, in “Archivio di psichiatria, scienze penali edantropologia criminale per servire allo studio dell'uomo alienato e delinquente”, XXIV, Torino 1903.
10 «Vi avverto che ho arruolato nelle file della diplomazia la bellissima contessa di *** invitandola a coqueter eda sedurre, ove d’uopo, l’Imperatore». CAMILLO BENSO DI CAVOUR, Epistolario, Cavour a Luigi Cibrario, ministrodegli Esteri, 22 febbraio 1856, XIII, Firenze 1992.eto».
11 «Per l’amor di Dio e della verità̀, non trasformiamo Nicchia in uno dei protagonisti del Risorgimento e non facciamo della camicia di finissimo lino indossata nella notte di Compiègne, e che ella avrebbe voluto, e non ottenne, avere addosso anche nella bara, una bandiera nazionale». ALBERTO MARIA GHISALBERTI, recensione al libro di Pauline Metternich-Winneburg, in “Rassegna storica del Risorgimento”, XXIX, 1952.
12 MICHEL DE DECKER, Napoléon III, ou, L'empire des sens, Paris 2008.
13 MIREILLE BIALEK, La comtesse de Castiglione et la famille Blanche, in “Les Amys du Vieux Dieppe”, CV, Dieppe,1997.
14 “Sa cocca”, il pane schiacciato delle confraternite religiose sarde, era il segno di appartenenza a una banda.
15 «Dirigeva un ramo importante» della Questura di Palazzo Madama, in posizione di forza sul Questore Moris», «un ispettore di polizia cosmopolita: egli a Bologna, egli a Firenze, egli a Perugia, egli a Napoli, egli a Palermo,egli a Torino, dappertutto chiamato dagli uomini del progresso e della civiltà per istabilire su basi morali il servizio della pubblica sicurezza». GIACOMO MARGOTTI, Curletti e i Misteri di Torino, “L'Armonia”, 20-21 settembre 1861.
16 ASP, Carte Pepoli, Corrispondenza Pepoli-Curletti, b. 4, fasc. 60, f. 21, 9 ottobre 1860 e AST, Governo provvisorio dell’Umbria, mazzo 7-7bis, f. 51, 12 ottobre 1860.
17 A Napoli, il 25 ottobre 1860 Farini nominò Curletti Ispettore Generale di polizia alle sue dirette dipendenze, escludendo la sua dipendenza dal Segretario Generale del dicastero dell'Interno e Polizia. Curletti mantenne l’incarico anche quando Farini, «sopraffatto dalle immoralità sfrenate» «cadde macero come canna». Riconfermato da Eugenio di Savoia e Cialdini, rientrò a Torino a fine agosto 1861 per il processo.18 Il suo salvacondotto, lo scrive lo stesso Curletti, furono «un certain nombre de documents officiels et plusieurs lettres, émanées des principaux personnages, qui, dans ces dernières années, ont joué un rôle dans l'Italie méridionale, lettres et documents qu'un hasard heureux a fait rester entre mes mains». Il rischio politico del suo archivio lo riassume de Sangro: «Curletti, segretario di Cavour, direttore di polizia a Bologna, braccio del Farini a Modena ed a Parma, direttore nelle Romagne e nelle Marche con Pepoli e d'Azeglio, ispettore generale di polizia a Napoli con Cialdini». MICHELE DE SANGRO, Scritti politici e religiosi, Como 1881.
19 CC, Liberazione del Mezzogiorno, Cavour a Vittorio Emanuele III, 23 ottobre 1860, XIII, Bologna 1952. Curletti era stato presentato a Ricasoli dal Governatore generale delle Romagne Cipriani: «il nostro Direttore della Sicurezza Pubblica, il Signor Carletti [Curletti] piemontese, uomo intelligentissimo, esperto, attivo ed energico».
CATERINA CECCHINI, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini, Cipriani a Bettino Ricasoli, 18 agosto 1859, in “Archivio Storico Italiano“, quinta serie, XXXVIII, Firenze 1906.
20 BETTINO RICASOLI, Carteggi di Bettino Ricasoli, Ricasoli Presidente del Consiglio ad Alessandro Jocteau Ambasciatore a Berna, 26 settembre 1861, XVIII, Bologna 1939.
21 Sentenza della Corte di New York del 18 ottobre 1866, che conferma la sua Petition for Naturalization. NARA, Index to Petitions for Naturalizations, New York City 1792-1906, M1674, R49. Poiché il Naturalization Act del 1802 vincolava la naturalizzazione a una residenza negli Stati Uniti di cinque anni, il suo arrivo è di fine 1861.
22 GIUSEPPE BEGHELLI, La Cocca / Memorie di Curletti / Ossia / I Misteri della Polizia, “Il Ficcanaso”, a puntate dal gennaio 1873.
23 “New-York daily tribune”, 27 June 1861.
24 J. A. [FILIPPO CURLETTI], La vérité sur les hommes et les choses du royaume d'Italie - Révélations - par J. A.ancien agent secret du comte Cavour, Bruxelles 1861. Le iniziali J. A. furono fantasia di Griscelli, che unì il suo nome (Jacques) a quello del padre (Antonio)?25 [JACQUES FRANÇOIS] GRISCELLI, Mémoires de Griscelli: Agent secret de Napoléon III (1850-58), de Cavour (1859-61), d'Antonelli (1861-62), de François II (1862-64), de l'Empereur d'Autriche (1864-67), par l'auteur des Révélations et de A bas les masques!, Bruxelles 1867.
26 Un Filippo Curletti era già a Torino almeno dal 1850, come dimostra una deposizione di Cavour: «L'anno del Signore 1850 ed alli 26 del mese di Agosto in Torino, nell'Uffizio d'istruzione […] con intervento del Sostituto Segretario infrascritto Curletti Filippo». ANNIBALE BOZZOLA, TERESA BUTTINI, Stato e Chiesa nel Regno di Sardegna negli anni 1849-50, Appendice, in “Il Risorgimento italiano”, SSS, XIV, 1-2, Torino 1921. La certezza che il Curletti nato a Piacenza nel 1818 e iscritto all’anagrafe come Francesco Isidoro (ENRICO BOTTRIGARI, in “Cronaca di Bologna”, III, Bologna 1961), è il Filippo Curletti «agent secret du comte Cavour» si evince dal necrologio su “L’Eco d’Italia”, che recita «Curletti Francesco Isidoro (n. Piacenza 1818; m. Filadelfia 1876)».
27 RODOLFO FANTINI, Due “buone lane” nelle vicende del nostro Risorgimento: Griscelli e Curletti, in “Strenna storica bolognese”, XV, Bologna 1965.
28 ANTOINE CLAUDE, Mémoires de Monsieur Claude Chef de la Police de Sûreté Sous Le Second Empire, Paris 1881.
29 VICTOR HUGO, Histoire d’un crime, t. II, Paris 1878.30 «Il sig. J. Griscelli presentavasi al Governo Sardo [Cavour] dando a credere ch'egli era amico del Generale Lamoricière sul quale egli aveva molto ascendente». Francesco Crispi, I mille, Milano 1911. Per i pagamenti di Cavour a Griscelli, tra gli altri, CC, Liberazione del Mezzogiorno, I, Sebastiano Tecchio a Cavour, 31 maggio
1860, Bologna 1949.
31 Griscelli (con passaporto a nome di Curletti) era stato denunciato a Garibaldi da Persano, che corse ai ripari quando seppe che era un agente di Cavour. GIUSEPPE LA FARINA, Epistolario di Giuseppe La Farina, Cavour a Giuseppe La Farina, 14 luglio 1860, II, Milano 1869.
32 SANDRO SCOCCIANTI, Appunti sul servizio informativo pontificio nelle Marche nel 1859-60, in “Atti e Memorie,Deputazione di Storia Patria per le Marche”, Nuova Serie 88, Ancona 1983 ma 1985.
35 «La subversion est un ensemble de stratégies et de techniques visant à déstabiliser un groupe ou un système en lui inoculant des idées qui remettent en cause ses valeurs les plus intimes […] jusqu'au sabotage d'institutions en vue de fomenter une révolution et d'instaurer un nouveau régime politique». ROGER MUCCHIELLI, La subversion, Paris 1976.
36 G. LENOTRE [THÉODORE GOSSELIN], Le terrible Griscelli, “Le Monde Illustré”, n. 2597, Paris 5 Janvier 1907.
37 ADRIANO COLOCCI, Griscelli e le sue memorie, Roma 1909.
38 La prova potrebbe essere il passaporto rilasciatogli a Parigi nel 1863, che lo indicava Americano.
39 PIER CARLO BOGGIO, Cavour o Garibaldi?, Torino 1860.
40 GIUSEPPE GARIBALDI, Lettere ad Anita ed altre donne, Garibaldi ad Adelaide Cairoli, 7 settembre 1868, Roma
1926.
41 LUCY RIALL, Garibaldi: Invention of a Hero, New Haven 2007. Senza dimenticare che Cavour e gli Inglesi
volevano Garibaldi «out of the way as quickly as possible». Fonti dell’intelligence inglese sospettavano che
Garibaldi progettasse una repubblica mazziniana a Napoli. Scrive Curletti: «ce danger n'était pas complètement
chimérique».2 FLAMINIO [PIETRO BORRELLI], “Deutsche Rundschau“, Berlin Oktober 1882.
43 MANLIO GRAZIANO, The Failure of Italian Nationhood. The Geopolitics of a Troubled Identity, New York 2010.
44 SANTO CICCARELLI, Il vocabolario politico sociale di Antonio Palomes (1840-1914), Palermo 2004