Ricerca di PaoloChirialetti
Caporale ROSSI
Antonio di Giacomo
Decorato di Croce di Guerra al Valor
Militare
37° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA
CAMPAGNA, nato a Nepi il 6 febbraio 1895
D.L. 27/01/1927; B.U. 1927, disp. 7°
del 18/02/1927, pag. 395
motivazione
“Servente
di batteria, dimostro’ nell’adempimento delle sue mansioni zelo, coraggio e
sprezzo del pericolo. Durante tutto il combattimento, e sotto il persistente
bombardamento a gas dell’avversario fu costante esempio ai compagni.”
Croce di Musile (Basso Piave), 15 Giugno 1918.
Estratto del
Foglio Matricolare
Caporale ROSSI Antonio di Giacomo e
Mecarocci Maddalena, nato a Nepi il 6 febbraio 1895. Residente a Nepi.
Professione carrettiere.
25 novembre 1914 – Soldato di leva, 1a
categoria, classe 1898, Distretto Militare di Orvieto e lasciato in congedo
illimitato.
12 gennaio 1915 - Chiamato alle armi e giunto.
19 gennaio 1915 - Tale nel 33° Reggimento Artiglieria
da Campagna.
24 maggio 1915 - Tale nel 37° Reggimento Artiglieria
da Campagna.
15 giugno 1918 - Prigioniero di guerra per fatto
d’armi (Basso Piave). 19
novembre 1918 - Rientrato in Italia. 1 gennaio
1919 - Trattenuto alle armi per mobilitazione.
11 febbraio 1919 - Inviato in licenza di convalescenza
di giorni 60, da Ospedale Militare Perugia. 16 aprile
1919 - Rientrato al corpo.
1 dicembre 1919 - Tale nel 33° Reggimento con sede in
Terni e mandato in congedo illimitato.
Effettuato il pagamento del premio di
congedamento di cui alla circolare 114 del G. M. 1919 in lire 250.
Concessa dichiarazione di aver tenuto
buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore.
Campagne di guerra: 1915, 1916, 1917, 1918.
IL SUO REPARTO
Il 37° Reggimento Artiglieria
da campagna viene istituito durante la 1a Guerra
Mondiale, dal Deposito del 1° Reggimento Artiglieria da Campagna che ha dato
vita al 37° e al 55° Reggimento, oltre
a qualche reparto minore. La
costituzione di questo reparto risale al 1870 a Foligno, appena formato il
Regno d’Italia, con il nominativo di 11° Reggimento Artiglieria, unendo
reparti d’artiglieria che avevano
partecipato alle campagne del Risorgimento.
Durante il primo
conflitto mondiale combatte in vari settori del fronte. Nel 1934 muterà ancora
il suo nome nel più conosciuto “Cacciatori
delle Alpi”, con il quale parteciperà alla 2a Guerra Mondiale,
impegnato nel 1941 in Albania e dal 1942 in Jugoslavia con compiti di presidio
e repressione della guerriglia. Colto dall’armistizio nella zona di Lubiana,
ripiega su Fiume dove si scioglie. Per non far cadere la Bandiera di Guerra
nelle mani dei tedeschi, l’alfiere del reggimento la nasconde nel suo zaino, e
dopo le amare vicissitudini della prigionia nei campi di concentramento, alla
fine della guerra la bandiera viene consegnata al ricostituito reggimento. Dopo
alterne vicende e cambi di nome, nel 1976 torna all’antico con la denominazione
1° Gruppo Artiglieria “Cacciatori delle
Alpi”, fino al novembre del 1999 quando viene sciolto ed il personale con
parte dei mezzi confluisce nel neo costituito Gruppo Addestrativo della Scuola
di Artiglieria.
ANDO’ COSI’
Nel 1918
gli austriaci pianificarono
una massiccia offensiva
sul fronte italiano da sferrare
ad inizio estate, si scelse di dare inizio alle
operazioni nel mese di giugno.
L’offensiva fu preparata
con grande cura
e larghezza di
mezzi dagli austroungarici, che
vi impegnarono ben 66
divisioni. Gli alti comandi
austroungarici erano talmente sicuri del
successo, che avevano persino
preparato in anticipo
i timbri ad
inchiostro da usare
nelle zone italiane
da occupare.
Già da lunedì 10
giugno 1918 il nemico inizia ad ammassare materiali e rifornimenti a ridosso
della prima linea. Il Diario del 37° Reggimento così riporta: “Alle ore 0,15 venivano segnalati movimenti
di carri e scarico di materiali dietro le prime linee a nord e sud della
ferrovia. Vennero eseguiti i seguenti tiri: […] alle ore 0,15 tiri di disturbo nei pressi della ferrovia […] ”. I nostri comandi sono a conoscenza
della data precisa dell’attacco nemico, infatti venerdì 14, sul Diario del 37°
Reggimento si legge: “Il tiro
d’interdizione notturno stabilito con i pezzi delle posizioni avanzate viene
sospeso in seguito all’imminenza di attacco nemico nel mattino del 15. Vengono
impartite speciali disposizioni perché la vigilanza sia intensificata durante
la notte, tanto agli osservatori che alle batterie”. L’informazione si rivela esatta, cosi
continua il Diario: “Sabato 15
giugno 1918, alle ore 0 tutto il personale delle batterie e del Comando
viene svegliato e inviato al proprio posto. La calma è completa su tutta la
fronte. Nostre artiglierie eseguono violenti tiri d’interdizione sui più
importanti obiettivi nemici. Alle ore 03,00 incomincia il bombardamento nemico
con artiglierie di piccolo e medio calibro, con tiri a lungo, a granata, a
doppio effetto, a liquidi speciali. Le bombarde battono le zone adiacenti
all’argine. Alle ore 03,05 come da ordine ricevuto dal Comando Divisionale si
apre il fuoco di contropreparazione violentissimo sopra gli obiettivi
precedentemente assegnati. Tutto il personale tiene applicato il respiratore
inglese” (La maschera antigas di fabbricazione inglese, nda). Dopo sei
ore, il nemico
scatena l’offensiva che
considera decisiva per le sorti
della guerra e
attraversa quello che
era stato il
fronte per sette
mesi: il Piave.
Particolarmente efficace fu
l’attacco nella zona
di Musile, cittadina situata nel
basso Piave attualmente in provincia di Venezia dove, sulla
sponda destra del
fiume nella frazione di Croce,
si trova il Caporale Rossi
Antonio con la sua
batteria di cannoni. Così riporta
il Diario: “Alle ore 06,45 [...] vengono segnalati tentativi di passaggio
del Piave compiuti dal nemico tra il Ponte della Ferrovia e Musile”, poi
ancora, “Alle ore 8,40 rientrano alcuni
comandati ai posti di corrispondenza riferendo che il nemico è a sud ovest di
Croce”. Alle ore 9,00 rientra una pattuglia riferendo che il 23°
Battaglione Arditi va al contrattacco. ”Alle
ore 9,20 austriaci all’altezza di Croce”, il nemico ha ormai passato il
Piave e tenta la penetrazione; “Alle ore
9,30 le batterie continuano il tiro di repressione con cadenza rallentata,
essendo i pezzi eccessivamente riscaldati”. Qui si trova Antonio, che risponde
al fuoco nemico
con tutte le munizioni a
disposizione. E’ in una situazione critica
perché il nemico ha
bombardato in modo massiccio,
usando anche granate
a gas asfissiante; i nostri
hanno resistito solo
grazie alle nuove
maschere antigas di fabbricazione inglese,
ed ora stanno
arrivando granate fumogene e
lacrimogene, per coprire
ancora di più la
visuale sulla prima
linea. A tal
proposito il fante
Luigi Gasparotto che l’ha
vissuta di persona,
scrive nel suo “Diario
di un fante”:
”Il nemico
sviluppò una nebbia
così fitta di
gas lacrimogeni che
giungeva a tre
chilometri dal Piave.
Era tanto densa,
che la vedetta
di una postazione
di mitragliatrici sul
ciglio del fiume
toccava con la
mano l’acqua ma
non la vedeva”. Nella zona
di Musile, i
reparti d’assalto asburgici,
attraversato il Piave con perdite
insignificanti, perché protetti dalla
nebbia artificiale,
investono e riescono a sopraffare le
difese italiane stabilendo
un’importante testa di
ponte. Così afferma
il Valori nel
suo libro “La
guerra italo-austriaca”: “Gli effetti
della violenta azione
nemica furono impressionanti. I
piccoli presidi dei
nostri reparti di
vigilanza, situati negli
isolotti, sugli argini
o nella trincea
più avanzata, furono
dal nemico avvicinati
durante il fuoco
di preparazione, e sopraffatti
all’arma bianca; le
principali vie d’irruzione
avversaria divennero così
i nostri stessi
camminamenti, sicché le
prime fasce di
reticolati poterono essere
facilmente superate”.
Alle ore 11,00 nuclei
nemici armati di mitragliatrice si avviano rapidamente alle batterie del 2°
Gruppo che dopo essersi difeso con fucili, bombe a mano e tiri ad altezza
d’uomo, su ordine del Comando ripiega, sempre
combattendo. “Alle ore 11,10 la 7°
Batteria, con un solo pezzo in efficienza si difende ancora vigorosamente, e
cerca intanto di riparare un altro pezzo inceppato. Ma Il nemico incalza e il
Comandante la Batteria è accerchiato e costretto ad abbandonare i pezzi dopo
averli resi inutilizzabili, ed a portarsi sulla linea del Gorgazzo (Fosso
del Gorgazzo, nda) [...] fa ancora una
disperata difesa, ma per il violento fuoco delle mitragliatrici e con diversi
uomini feriti deve ripiegare sulle posizioni della 4° batteria”, gli artiglieri
a differenza dei fanti, non possono arretrare facilmente perché hanno i cannoni
da trasportare; “Alle ore 11,30 la 5°
Batteria, completamente circondata spara ancora con due pezzi Shrapnel (Proiettile cavo per artiglieria, riempito di
sfere metalliche che scoppia prima dell’impatto con il suolo, sparando il
contenuto su una vasta area; usato in funzione antiuomo, nda) a zero. Il Comandante non cede e difende uno
ad uno i suoi pezzi con fucili e bombe a mano. Nessuno sfugge
all’accerchiamento e non si hanno più notizie attendibili sulla sorte di questi
valorosi.” Alle ore 11,45, minacciata di accerchiamento, anche la 4°
Batteria riceve l’ordine di lasciare i pezzi asportando otturatori, alzi, parti
vitali dei pezzi e di ripiegare sul Comando di Gruppo.
L’esercito italiano
cercò di tamponare
alla meno peggio
l’avanzata. Scoppiarono così
una serie di
lotte cruente, a
volte simili ad
operazioni di guerriglia,
spesso per opera
di piccoli gruppi
di soldati, che
cercavano di conquistare
piccole aree di
territorio, capisaldi e
punti strategici. Anche
le riserve vengono
inviate in prima linea
ad arginare il
nemico ed iniziano
una serie di
attacchi e contrattacchi
da ambo le
parti. Così Baj-Macario riporta nel
suo libro “Giugno 1918” : “Furibonde lotte intorno
ai villaggi e ai
casolari, perduti e
riconquistati una, due,
tre volte in
un’alternativa piena di
ansie, infiltrazioni nelle
linee, sorprese di
fuoco ed agguati
fra le messi,
lungo gli argini,
sotto i filari
dei gelsi e
di olmi, sotto le
pergole […] La linea
di fuoco, ch’è
tutto un serpeggiamento, ondeggia
senza posa: è
quasi impossibile conoscerne
la precisa ubicazione
in un dato
momento: sarebbe più
appropriato dire area
di combattimento”. L’abitato
di Croce
di Musile era
una zona di
grande importanza strategica,
circondata da fortificazioni predisposte
nei mesi precedenti
dagli italiani. Tra il 15
e il 16
giugno 1918, con
lo scatenarsi dell’offensiva austriaca,
Croce venne per
due volte perduta
e riconquistata dai
soldati italiani. In
questo momento di confusione
tattica, dovuta al
variare continuo della
linea del fronte,
i soldati combatterono inebetiti dai
gas e storditi dal
bombardamento. Vennero a
cadere le regole
di combattimento, si mischiarono
le linee e
si trovarono a
combattere fianco a
fianco, arditi dei
reparti d’assalto , artiglieri,
bersaglieri e fanti; con un
ordine comune da
eseguire: RESISTERE. Premuti dal
nemico, alle ore
12,00 questi reparti
si concentrarono dietro
il Canale Fossetta, come
ricorda il fante
Gasparotto: “Sugli argini,
anche il Comando
del 145° reggimento
fanteria, col colonnello
Bianchi, col medico
e col cappellano
Fontanarossa, dovette fare
le fucilate. Stabilite
le difese sulla
Fossetta, la prima
batteria del 37°
reggimento da campagna,
piazzò i cannoni
sulla stessa linea
della fanteria […]
Qui, fanti, artiglieri,
fiamme rosse dell’Allegretti e
bombardieri del De
Prefetto, si batterono
a bombe a
mano, con gli
austriaci sull’altro margine
della Fossetta”. Parliamo di
un canale largo 4 metri, quindi i due
schieramenti erano a
strettissimo contatto. Il Caporale Edoardo Avellini che era presente
quei giorni su quell’argine insieme a Rossi, ci fa rivivere quei momenti con le
parole del suo Diario: ” […] tutti accerchiati si sarebbe stati, se non
fossero arrivati in tempo i bersaglieri che diedero l’assalto e dopo si aprì
fuoco accelerato, andandosi a fermare a Fossetta di Piave, dove c’è un piccolo
canale largo circa 4 metri e una discreta profondità, qui ci
fermammo tutta la notte fino alle ore 11 del giorno 16. Dalle ore 11 alle 14 le nostre artiglierie fecero 3 ore
di bombardamento, cessato questo andiamo tre volte all’assalto in due ore per
vedere se fu possibile mandare il nemico al Piave, ma questo non fu possibile
però ci
fruttò di fare moltissimi prigionieri […] ”. Così ricorda il Diario del 37° Reggimento Artiglieria: “Alle ore 23,00 il gruppo superstite che in
tutta la giornata ha cooperato a respingere il nemico avanzante, batte
specialmente le strade a cavallo della stazione di Fossalta (attuale Fossalta di Piave, nda) e la linea del canale della Fossetta dietro
alla quale si sostiene la nostra linea”. Nel caos della battaglia il
Caporale Rossi è stato fatto prigioniero e portato nelle retrovie.
Fortunatamente per lui, la guerra
sarebbe terminata di lì a poco e la sua prigionia è durata solamente cinque
mesi.
Tra arretramenti
e contrattacchi, gli
uomini sul Canale
Fossetta hanno resistito.
Nei giorni successivi
il Regio Esercito Italiano torna
vittorioso sulla riva
del Piave, rioccupando
le posizioni che aveva
prima dell’offensiva asburgica.
Termina così la
violentissima e sanguinosa battaglia,
denominata “Battaglia del Solstizio”, ultima
possibilità per l’esercito
austroungarico di volgere
le sorti della
guerra a proprio
favore. Il suo
fallimento ha determinato,
dopo soli quattro
mesi, la vittoria finale
dell’Italia a Vittorio
Veneto.
Il caporale Rossi
Antonio, ha combattuto
un’importantissima quanto sanguinosa
battaglia, avrà caricato quel
cannone chissà quante
volte, l’avrà spostato
indietro e avanti, ora
tra gli alberi, ora
nel fango, ora tra
le case diroccate,
ma non l’ha
combattuta solo da artigliere; l’ha
combattuta da fante
e da ardito,
quando ha difeso il
suo cannone dal
nemico che sbucava
da tutte le
parti con la
baionetta sul fucile,
quando combatteva con
le bombe a
mano sul bordo
del canale, quando arrivavano
le granate cariche
di gas, l’ha
combattuta e nonostante la
prigionia, l’ha vinta.
Di fronte al nepesino
Rossi nella austroungarica “Isonzo Armee”
combatteva un ex sarto polacco (la Polonia meridionale faceva parte del
multietnico Impero Asburgico) dal cognome famoso, Karl Wojtyla. Fortunatamente
è sopravvissuto alla guerra e nel 1920 ha avuto un figlio di nome Karol,
salito al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo II°, uno degli uomini
più importanti dei nostri giorni. Il Sergente Maggiore Karl Wojtyla del 56°
Reggimento Fanteria “Wadowice” era un
militare di carriera che aveva combattuto sul fronte austro-russo fino alla
primavera del 1917, per passare poi sul fronte italiano dove ha combattuto in
vari settori, tra cui il Basso Piave. Venne insignito di “Croce di Ferro con Ghirlanda” e i suoi superiori annotarono in un rapporto che lo riguardava:
“E’ onesto, leale, serio, educato,
modesto, retto, responsabile, generoso e instancabile”, qualità che si può
dire, ha trasmesso al figlio. Dopo la guerra passò al neonato esercito polacco
e venne congedato nel 1927 su sua richiesta, perché la moglie gravemente malata
e morente aveva bisogno di cure, come il figlio Karol ancora piccolo.
Tratto dal libro
“Nepi in Armi”
di Paolo Chirieletti,
disegni di Federico Farnesi,
pubblicato
dall’Associazione Culturale Antiquaviva.)