APPROFONDIMENTI
La prima guerra afgana - 1838 -1842
L'ambiente Operativo - I piani operativi e le forze in campo e la loro dislocazione iniziale
Massimo Coltrinari
L’ambiente
Operativo
La guerra si svolse Nord Est dell’Afganistan
Paese. L’ambiente operativo è delimitato ad ovest dalla città di Kabul e ad est
da quella di Jalalabad. Si tratta di una striscia di terreno che collega le due
città, compresa tra il 34° ed il 35° parallelo Nord. Un’unica strada sormontata
da montagne alte e scoscese attraversava il passo di Khoord-Cabool per arrivare
alla città di Jalalabad.
Meritano
un cenno le caratteristiche antropomorfiche. Nell’area in cui si svolsero i combattimenti non esistevano città o
agglomerati stabili. I guerrieri afgani vivevano in modo non stanziale in
accampamenti posti tra le montagne. In generale, la popolazione
dell’Afghanistan era suddivisa in grandi clan tribali, i Durrani, i Ghilzai, i
Barakzai, a loro volta suddivisi in innumerevoli sotto clan ciascuno con i
propri usi e costumi. Spesso i clan erano in lotta tra di loro ma la loro
inimicizia poteva trasformarsi in alleanza secondo le modalità proprie delle
società tribali. Gli Afghani nel loro complesso avevano una quasi naturale predisposizione
a cercare e a trovare nel combattimento la soluzione di tutti i problemi. Per
questo motivo una tradizione consolidata già ai primi dell’Ottocento “li presentava come di animo estremamente
mutevole, pronti a trasformarsi in bande assai temibili di traditori e
assassini”1. Tuttavia, alla fine del 1841 Mohammed Akbar, figlio
del re deposto dagli Inglesi, Dost, aveva coagulato intorno alla sua persona un
vasto movimento antibritannico trasversale ai vari clan tribali.
I piani
operativi e le forze in campo e la loro dislocazione iniziale
L’intera
operazione dei britannici si caratterizzò per la mancanza di qualsiasi piano.
Militari e civili marciarono su un’unica colonna lunga una quindicina di
chilometri. Nelle fila dell’esercito la disciplina e l’ordine non esistevano
più. Del resto il presupposto operativo assunto dal generale Elphinstone era
che i ribelli avrebbero consentito la ritirata, come promesso dal loro capo
Akbar. Nessun piano fu adottato neppure quando fu chiaro, dopo i primi attacchi,
che la promessa non sarebbe stata mantenuta.
La tattica dei ribelli fu invece chiara: l’annientamento dell’intera
colonna britannica. Ciò che invece non siamo in grado di stabilire è se tale
tattica fosse stata pianificata da Akbar o se invece scaturì dalla mancanza di
un pieno controllo del capo su tutte le componenti del suo esercito. Una serie
di indizi che si concretizzano nell’alternarsi “randomico” nel corso della
ritirata di feroci e gratuite esecuzioni di civili e militari e il trattamento
“umano” di prigionieri fanno propendere per questa seconda ipotesi cioè per un
non completo controllo da parte del capo in ogni circostanza del comportamento
delle truppe.
L’Esercito anglo-indiano. All’atto del superamento dell’Indo, il 20 febbraio 1839, l’esercito
britannico era composto da circa 25.000 uomini operativi (14.000
costituivano il contingente bengalese al comando di Sir Harry Fane, 6.000 le
forze rapidamente reclutate dallo Shah Soojah e 5.000 la forza messa a
disposizione dalla presidenza di Bombay) al comando dell’esercito di Bombay, il
generale Sir. John Keane, con un seguito di oltre 40.000 persone.
L’Esercito afgano. Il numero dei combattenti è indeterminato. E’
stato stimato in circa 30.000 unità con un rapporto di
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