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sabato 7 dicembre 2019

La caduta di Mussolini Luglio 1943

APPROFONDIMENTI
La fine di una parabola

I tempi felci: Il Ministro Albanese Berischa 
passa in rassegna un reparto di Granatieri di Sardegna


La perdita della Sicilia in poco più di un mese mette a nudo la debolezza del regime fascista. Il comportamento dei soldati di origini siciliana che quasi in massa abbandonarono i loro reparti anziché difendere la propria isola fa emergere la profonda crisi del regime. La debole opposizione italiana allo sbarco, che fu solo in parte, accanto ad episodi di valore rileva come i nodi stanno arrivando al pettine. 39 mesi di guerra rilevarono come la decisione di entrare nel conflitto date le condizioni militari e di preparazione fu un errore strategico marchiano. Il conto di tutte e decisioni cervellotiche e insensate (attacco alla Grecia alla vigilia dell’inverno, invio di truppe in fronti lontani come quello russo, ritardo nello sviluppo di tecniche operative e carenza dottrinale) era arrivato. Passare dalla guerra parallela alla guerra di sudditanza alla Germania non era servito a nulla. L’Italia non era più in grado di difendere nemmeno se stessa. Lo sbarco in Sicilia e facilità con cui fu conquistata con troppa facilità aveva diffuso nel paese e in gran pare degli italiani, con la reale violazione sull’integrità del territorio metropolitano e la conseguente conferma della irreversibilità della sconfitta.
Il conto di tutto ciò arrivò il 19 luglio 1943 quando Mussolini incontro a Feltre Adolfo Hitler. Era l’occasione per il Capo del Governo convincere il  Fuhrer che l’Italia non era più in grado di resistere e quindi doveva necessariamente chiedere un armistizio e porre fine alla guerra. Il Fuhrer non gli da nessuna possibilità di parlare, lo investe con un fiume di parole, lo incita alla guerra ad oltranza; Mussolini le subisce senza nessuna reazione. E’ l’immagine del fascismo che non ha più nulla da dire, la fine di tutto un movimento e di un regime che aveva esaurito ogni risorsa.
Mentre si svolgono i colloqui italo-tedeschi di Feltre Roma viene pesantemente bombardata, soprattutto nei quartieri di San Lorenzo e Tiburtino, sedi di importanti scali ferroviari. L’impatto sul morale della popolazione è notevole; ad aggravare la situazione vi è anche l’uscita dal Vaticano di Pio XII, che recatosi nei luoghi del bombardamento, invoca la pace e la fine della guerra.
Mussolini rientra a Roma con il pesante fardello degli inutili colloqui di Feltre, ove tutti si aspettavano una sua iniziativa concreta a favore di una uscita dalla guerra. Non ha altre soluzioni che convocare il Gran Consiglio del Fascismo, non convocato dal 1939 in omaggio al ripudio di decisioni condivise, per il 24 luglio 1943.
Contemporaneamente negli ambienti monarchi si svolgono colloqui ed intese volti a trovare ua situazione, di fronte alla situazione che si sta svolgimento in Sicilia e soprattutto all’indomani degli infruttuosi colloqui di Feltre. Quasi tutto sono convinti che è necessario sostituire al Governo Mussolini, e cercare di trovare una soluzione per uscire dalla guerra, ormai ritenuta persa. Occorreva pensare alla integrità nazionale, che decisioni prese troppo tardi, poteva compromettere.
In questo clima di aperta disapprovazione dell’operato di Mussolini e del fascismo in genere, la seduta del Gran Consiglio, apertasi nel tardo pomeriggio del 24 luglio, protraendosi fino a tardissima notte, si conclude con l’approvazione di un Ordine del Giorno (il cosiddetto Ordine del Giorno Grandi) in cui si ordina al Capo del Governo di rimettere ogni potere nelle mani del  Re. Mussolini non ha la forza di opporsi ai suoi gerarchi che peraltro hanno votato in grandissima maggioranza contro di lui. Tutti sono convinti che, una volta messo Mussolini da parte, eventualmente sostituto anche dalle stesso Grandi, che, nel ricordo del suo quadriennato felice e fecondo di ambasciatore a Londra degli anni trenta, vi siano concrete possibilità di intavolare trattative con Londra e con gli Alleati per una pace onorevole, salvando integrità nazionale, la Monarchia, e il fascismo stesso.  
Il 25 luglio, una data che rimarrà ben incisa nella storia recente d’Italia, il Re riceve a Villa Savoia, ove abitava, Mussolini, che gli partecipa la decisione del Gran Consiglio. In maniera quanto mai invereconda tanto da suscitare le proteste della regina Elena, che non accetta di vedere arrestare persone a casa sua, senza alcun riguardo per gli oltre 22 anni di stretta collaborazione,  costringe Mussolini a dimettersi, e, subito dopo, lo fa arrestare dai Carabinieri e tradotto in una Caserma di Roma. Contemporaneamente affida il Governo al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, ex Capo di Stato Maggiore Generale dimessosi nel dicembre 1940 dopo la sconfitta dell’attacco alla Grecia. I fascisti vedono svanire ogni loro disegno e constatano di essere completamente esautorati da tutto. Il rivolgimento era già in atto e in modo inconsapevole e molto ingenuo, vi hanno partecipato con soluzioni che si sono rivolate contro; è un rivolgimento tutto interno al vertice monarchico-fascista, ove i tradizionali amici e collaboratori alleati del fascismo, lo abbandonano a se stesso, levandogli ogni potete. Questo è uno dei punti cruciali di quello che sarà il momento delle scelte all’indomani della crisi armistiziale del settembre e le sue tragiche conseguenze.
Pietro Badoglio forma un governo di militari ed altri funzionari dello Stato, tutti  fino a poche ore prima di “provata fede fascista”, ma ora autenticamente monarchici.
Il dato che occorre rilevare, ed anche questo sottolinea un aspetto che inciderà nel predetto momento delle scelte del settembre: il fascismo era finito ed aveva esaurito ogni sua risorsa spirituale, morale e materiale. All’arresto ed alla caduta di Mussolini non vi è nessuna reazione né da parte del PNF, (Partito Nazionale Fascista) con oltre 40 milioni di iscritti ed una organizzazione capillare in tutto il territorio nazionale attraverso le sue numerose organizzazioni, ma soprattutto nemmeno dalla MVSN, ( Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), il partito armato, i fascisti in armi. In particolare rimangono inermi e non fanno assolutamente nulla i cosiddetti “Moschettieri del Duce”, che avevano una organizzazione simile alle SS tedesche, che avevano giurato  sul loro sangue (rito macabro copiato dalla tradizione nibelungica) di difendere Mussolini fino alla morte. Sia il PNF che viene sciolto nei giorni successivi, la MVSN  assorbita nel Regio esercito, senza colpo ferire, senza opposizione, con il consenso dei responsabili. E’ la dimostrazione che la destituzione di Mussolini non apre alcuna crisi nel fascismo, ma sanziona la già conclamata e reale dissoluzione del regime. (massimo coltrinari)
  

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