APPROFONDIMENTI
Progetto 2019. Materiali
L'uscita dell'Italia dalla guerra dichiarata il 10 giugno 1940
con la firma, il 3 settembre 1943 a
Cassibile del cosiddetto 'armistizio corto si impose come una necessita prima
militare poi morale per porre fine ad una guerra senza più speranze di
vittoria, senza alcuna possibilità, nemmeno remota, di conseguire gli
obbiettivi politici e strategici che si volevano ottenere. Non è qui la sede di
disquisire dell'errore alleato di imporre la resa incondizionata, errore fuori
d'ogni logica strategica e militare, oltre che irrazionale dal punto di vista
politico, che fu pagato nei mesi successivi molto duramente dagli Alleati
stessi. Qui si vuole sottolineare
l'errore italiano che, data la situazione non fu quello di accettare la resa
senza condizioni, ma di aver gestito le trattative armistiziali, i tempi e i
modi e l'attuazione dell'armistizio, con
incertezza, con paure, con secondi fini, con riserve mentali, con modi e tempi
troppo lunghi per sperare in un successo. L'uscita dalla guerra fu condotta
come la guerra: con insipienza, con scarsezza di vedute, con strategie di basso
profilo che portarono ad errori su errori fino a sfociare in quella che oggi rappresenta una delle date più buie della
nostra Storia Patria. Tanto che si può affermare che prima di una sconfitta
militare e politica, l'8 settembre fu prima di tutto una disfatta morale.[1]
Scrive Stefani "Il tessuto connettivo spirituale e
morale, faticosamente costruito dal 1848 in poi, subì una lacerazione ampia e
profonda, di difficile e lunga rimarginazione, le cui cicatrici sono ancora
visibili. Il disorientamento fu gravissimo e generale. Molti mali morali dei
quali l'Italia, a quarant'anni dall'evento, continua a soffrire ebbero origine
da quella catastrofe. Il marasma spirituale e morale non fu minore di quello
politico e militare. Entrò in crisi la stessa coscienza unitaria della nazione,
messa in grave pericolo dalla divisione in due tronconi del territorio nazionale,
uno alla mercé degli angloamericani, l'altro dei tedeschi. I valori
tradizionali, per la cui affermazione e difesa si erano battute intere
generazioni ed avevano sacrificato la vita centinaia di migliaia dì soldati,
persero, nella coscienza di molti, credibilità ed affidabilità. La sedizione
di Mussolini e dei fascisti, decisi a continuare la lotta a fianco dei nazisti,
provocò la guerra civile. Nuovamente terra di dominio degli stranieri,
l'Italia sembrò tornare alle forme deteriori del periodo medioevale. La
depressione spirituale e morale incentivò l'obnubilamento di molte coscienze,
indusse a scelte opportunistiche e di comodo, favorì la fuga dalle
responsabilità. Nel vuoto spirituale e morale, singoli e gruppi, in buona
parte, non seguirono che l'impulso di interessi contingenti e materiali,
ignorando i diritti e le ragioni della Patria, e si ebbe così un processo di
dissoluzione che parve inarrestabile, ma che per grazia di Dio non lo
fu."
In Italia le forze tedesche erano quantitativamente inferiori
a quelle italiane, e così pure all'estero. Come vedremo, addirittura in Albania
vi erano sei divisioni italiane contro nessuna tedesca e, dato ancora più
rimarchevole, i soldati germanici non superavano le poche centinaia, contro un
totale dei soldati italiani sull'ordine
dei 118 mila.
Non si può parlare di superiorità quantitativa tedesca né in
Albania, né altrove. Riferita alla
qualità dei mezzi blindocorazzati e dei mezzi meccanici di trasporto, la
superiorità dei tedeschi era invece quasi ovunque di un qualche rilievo, ma
occorre aggiungere che, mentre essi si giovarono sempre con grande profitto
dell'elevato grado di mobilità delle loro unità, raramente sentirono il bisogno
dì fare ricorso a formazioni massive di carri armati e di mezzi blindati, dei
quali si servirono essenzialmente per esercitare minacce potenziali
utilizzando in genere reparti di livello modesto. Scrive ancora Stefani
"Più che alla disponibilità di ottimi carri armati, cannoni, pezzi
controcarri e contraerei, la superiorità qualitativa dei tedeschi fu espressa
dalla loro abilità tattica, dalla loro flessibilità ordinativa e dalla
perfezione delle loro tecniche d'impiego, comprese quelle di carattere
psicologico. Altro fattore della superiorità tedesca fu la capacità del
personale militare addetto a compiti territoriali, logistici e burocratici a
trasformarsi rapidamente, al momento del bisogno, in soldati combattenti,
professionalmente non meno abili di quelli inquadrati nelle unità di impiego
tattico. Niente di simile nella pletora di scritturali, magazzinieri,
piantoni, attendenti dell'esercito italiano e neppure nei reparti di difesa
territoriale o di truppe ai depositi, sebbene non siano mancati, da parte di
queste ultime, episodi brillanti di resistenza imperniata su fattori morali più
che sostenuta da adeguata perizia professionale.
Oltre che possedere un
elevato grado di addestramento, le unità tedesche erano state psicologicamente
preparate all'aggressione ed al ricorso alla sorpresa, all'astuzia, all'inganno,
alla rapidità delle azioni."
Accanto a questi elementi tecnici, occorre sottolineare che i
germanici non rinunciarono all'arma dell'inganno. A riprova che ricorsero in larga misura alla malafede,
al ricatto, al tradimento della parola data, al terrore, alla minaccia ed
all'effettuazione di rappresaglie degne di barbari, non è altro che la
continuazione di un'alleanza sempre gestita in modo scorretto ed anormale. I
punti di debolezza delle unità italiane, dislocate in patria e nei territori
occupati, erano la grande diluizione degli schieramenti ed il disequilibrato
frazionamento dei reparti, aggravati in taluni settori dal frammischiamento
con le unità tedesche. Sebbene diverso da unità ad unità, il morale era
generalmente basso e l'improvvisa notizia dell'armistizio non giovò al
mantenimento dei vincoli disciplinari nei reparti. Nessuno, in definitiva, può
contestare che nel pomeriggio dell'8 settembre la situazione strategica e
militare italiana fosse difficile, delicata, incerta e minacciata da gravi
pericoli ovunque, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che entro 72 ore,
l'esercito italiano, come tale, sarebbe scomparso da tutti i campi di
battaglia, ad eccezione della aliquota della 7^ Armata dislocata in Calabria,
in Basilicata e nelle Puglie, delle forze esistenti in Sardegna ed in Corsica
e di poche unità che resistettero più a lungo nelle isole greche, nonché della
divisione "Perugia" che in armi resistette nel sud dell'Albania, fino
al 1 ottobre 1943 nella attesa di un aiuto che non venne e che fu abbandonata
alla reazione tedesca.
della dottrina e degli
ordinamenti dell'Esercito Italiano - Dalla Guerra di Liberazione all'Arma
atomica tattica, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'esercito, Ufficio
Storico, Roma, 1987,Volume III, Tomo 1°. In particolare vds. il cap. XLII
"LA Disfatta. La Resisteza", paragrafo 3, a cui ci si è ispirati per
il presente capitolo e a cui, per approfondimento, si rimanda.
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