Anno LXXVI n. 6 Supplemento. Quaderni n. 1 del 30 giugno 2015 on line
L’attacco
austriaco alle coste romagnole e marchigiane
24 maggio 1915
Federico
Salvati
La dichiarazione di guerra
Nella tarda mattinata del 23 maggio del 1915,
l'ambasciatore italiano a Vienna telegrafò a Roma, confermando al ministro
degli esteri italiano, Sidney Sonnino, l'avvenuta consegna della dichiarazione
di guerra dell'Austro-Ungheria da parte del Barone Burian. Cominciava così per
Roma la prima guerra mondiale. I rapporti con gli alleati austriaci erano già
molto tesi da tempo. Il governo italiano aveva capito, ormai, che l'alleanza
con la triplice non costituiva una garanzia per la sicurezza e l'integrità del
paese e la dichiarazione di guerra non arrivò a Roma come una sorpresa
inattesa.
La situazione dei contendenti
Ogni studente di storia sa che all'inizio del XX
sec. gli equilibri europei vedevano contrapposta la triplice alleanza, alla
triplice intesa. In questo scenario, la decisione dell'Italia di allearsi con
il vecchi nemico austroungarico, si rivelò ben presto una scelta scomoda.
Vienna, infatti, nonostante il trattato di alleanza continuava a vedere
l'Italia come terra conquista dove espandere i propri interessi. Per ben due
volte (1902 e 1908) infatti l'Impero Austroungarico aveva approntato i piani
necessari per riportare sotto il suo dominio il lombardo-veneto e per
altrettante volte, questi piani non erano stati realizzati per motivi fortuiti.
Lo stato maggiore italiano era, però, ben a conoscenza dell'ostilità degli
alleati teutonici. Tale
consapevolezza è dimostrata dalla particolare attenzione dedicata, da parte di
questo, alla difesa del confine orientale (una linea difficile da mantenere e
impossibile da difendere senza il controllo di Trieste). Alla luce di tali
circostanze appare più razionale il comportamento titubante dell'Italia allo
scoppio della prima guerra mondiale. Al nostro paese, infatti, non era
riconosciuto il legittimo ruolo di alleato a fianco di Berlino e Vienna le quali
non facevano farsa dei loro obiettivi imperialistici e delle loro mire verso la
sfortunata Italia.
Le manovre Adriatiche: i primi interventi Bellici.
L'inizio delle ostilità e il bombardamento di Ancona
Il 23 maggio del 1915, alle ore 20,00, usciva dal porto
di Pola il grosso della flotta austro-ungarica che, raggiunti gli incrociatori
e i siluranti dislocati nella stessa piazzaforte, fece rotta verso sud. A
comandare la flotta era l'ammiraglio Anton Haus,
che rimase comandante in capo delle operazioni navali sull'Adriatico fino al
1917.
Intorno
alla 4,00 la flotta austroungarica raggiunse le coste della città di Ancona.
Qui, dopo alcune raffiche preliminari, stanziatisi alla distanza di 5000m dalla
costa, la flotta cominciò il bombardamento della città con i cannoni di grossi
calibro. Le operazioni vennero portate aventi soprattutto dalla 2a squadra
a cui si associarono anche il gruppo autonomo della 1a divisione e
il Franz Ferdinand che era sotto la direzione del comandante della 1a
divisione. Il bombardamento fu violento e mirato. L'episodio di Ancona, come ci
fa notare Enzo Calcaterra, assunse
da subito un forte valore simbolico. La città, infatti, aveva un altissimo
valore strategico, dal punto di vista geografico. Inoltre, questa, nei mesi
successivi, soffrì molte incursioni sia dal celo che dal mare, diventano un
punto di snodo cruciale per le operazioni belliche dello teatro italiano.
Ancona,
tra l'altro, era stata disarmata poco tempo prima dell'attacco, in conseguenza
alla dichiarazione di neutralità da parte del governo italiano. Questo non fece
che aumentare la tragicità dell'avvenimento e l'effetto psicologico che il
bombardamento ebbe sulla popolazione civile.
Le
mitragliatrici, azionate da parte delle autorità italiane a terra, per rispondere
al fuoco non ebbero nessun effetto, perché le forze nemiche non erano a portata
di tiro.
Solo
il sommergibile Argonauta, di stanza in quei giorni ad Ancona, avrebbe potuto
rispondere al fuoco in maniera efficace ma purtroppo, a causa di un intoppo tecnico,
la manovra controffensiva non fu possibile. Quando, ormai, il capitano Vaccaneo
(sotto il cui comando era il sommergibile) fu pronto a rispondere
contrattaccare la flotta nemica si allontanava già a tutta forza dalle coste
italiane.
Il porto di Corsini
Le cose andarono meglio al porto di Corsini. Alle
ore 3,30 del 24 maggio il cacciatorpediniere Scharfschutze e le
torpediniere 78, 79, 80 e 81 (che si
erano distaccate dal grosso della flotta, usciti da Pola) manovravano,
penetrando nel canale del porto fino alle barriere difensive, mentre il Novara
provvedeva fuoco di copertura a breve distanza. In questa circostanza le forze
italiane ebbero la prontezza di rispondere al fuoco infliggendo considerevoli
danni ai nemici. La città e le strutture civili furono quasi de tutto
risparmiate dalle raffiche nemiche. L'edificio che riportò più danni fu il
semaforo nautico, mentre le barriere difensive militari servirono bene al loro
scopo, attirando gran parte dei colpi nemici.
Rimini
Alla stessa ora (3,30) l'incrociatore Sankt Georg
e le torpediniere 1 e 2 furono avvistati dalla vedetta rivierasca della città
di Rimini. Alle 4,50, dalla distanza di 4000 metri la flotta nemica aprì il
fuoco contro le oste della città, colpendo un ponte di recente costruzione che
attraversava il fiume Marecchia sulla linea Rimini-Bologna.
Si
concentrarono, poi, i bombardamenti sulle strutture del porto stesso, cessando
le operazioni solo alle 5,15 del mattino. L'operazione non produsse risultati
sostanziali sia perché gli austro-ungarici non riuscirono ad individuare alcuni
degli obiettivi assegnati, sia perché il vento spinse il fumo verso di modo da
diminuire apprezzabilmente la visibilità.
Senigallia
Gli austroungarici, molto probabilmente,
riportarono i risultati più efficaci con le operazioni di Senigallia. Qui la
corazzata Zarynyi, coadiuvata dalle torpediniere 4 e 6, bombardò la terraferma
con grossi calibri dalle 4,00 alle 4,30 nella mattina del 24 maggio 1915.
Furono distrutte le infrastrutture portuali e le linee ferroviarie. Si
riportarono anche diverse vittime.
Il 135° battaglione dell'esercito italiano
infatti, si stava avvicinando alla città
in treno, quando cominciarono i bombardamenti. Perirono 12 soldati e 3 marinai.
I
maggiori danni materiali, però, furono riportati dalla città. 37 case furono
danneggiate e alcune furono completamente distrutte. Ci furono 5 morti anche
tra la popolazione civile.
Potenza Picena
Per completare la nostra
trattazione delle operazioni adriatiche della marina austroungarica la notte tra
il 23 e il 24 maggio 1915, dobbiamo accennare al bombardamento di Potenza
Picena. Qui la corazzata Radetzky insieme alle torpediniere 73 e 46 tennero
sotto il fuoco d'artiglieria il ponte della ferrovia tra Potenza picena e Porto
Recanati. Sfortunatamente una donna e i suoi 4 figli restarono uccisi in
seguito alla distruzione della casa cantoniera nei pressi del ponte. Due agenti
ferroviari riportarono, inoltre, lesioni non gravi. Il servizio ferroviario fu interrotto a causa dei
bombardamenti ma, dal momento che le strutture non riportarono danni
significativi, questo fu ripreso solo due ore dopo.
L'inizio della guerra
Cominciava così la guerra per l'Italia. Una guerra
che avrebbe portato, alla fine, alla vittoria per Roma e per gli alleati
angli-francesi. Gli anni del conflitto, però, cambiarono profondamente il
nostro paese. Dalla prima guerra
mondale l'Italia uscì come una nazione matura, dotata di quello spirito patrio
e di quel sentimento di appartenenza di cui i suoi cittadini erano stati privi
sino a quel momento. Spinti dalle promesse regie e dal generale Diaz, infatti,
i soldati combatterono valorosamente e con coraggio, in maniera unita ed
estremamente motivata.
Per
tali motivi, alcuni storici si riferiscono al primo conflitto mondiale come alla
4a guerra d'indipendenza italiana, con la quale, “dopo aver fatto
L'Italia si fecero finalmente anche gli italiani”.
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