Anno LXXVI n. 6. Supplemento. Quaderni n. 1 30 giugno 2015
Storia militare della Repubblica di Cina:
dalle origini
alle crisi degli stretti (1954-55 e 1958)
Stefano
Felician Beccari
I
cambiamenti che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale influenzarono
particolarmente due continenti, ovvero l’Europa e l’Asia. Se la definizione del
nuovo assetto politico del Vecchio Continente fu, tutto sommato, abbastanza
rapida e indolore sul piano militare (se si esclude la guerra civile greca), in
Asia la transizione fu diversa e ben più complicata. Come ricorda Crockatt,
infatti, <<l’estensione della guerra fredda all’Asia fu, come nel caso
dell’Europa, una conseguenza del mutamento nell’equilibrio di potenza provocato
dalla seconda guerra mondiale>>.
Epicentro di questo nuovo e difficile equilibrio postbellico fu la Cina, le cui vicissitudini
interne influenzarono tutta la futura definizione della geografia politica
asiatica. Le dinamiche militari giocarono un ruolo determinante nella
composizione di questo nuovo assetto, anche se spesso con una funzione
ausiliaria o ancillare rispetto alle ben più complesse trame che le
superpotenze andavano tessendo. L’assetto postbellico, però, si dimostrò incapace di
resistere alle sempre più forti spinte centrifughe che continuarono ad agitare
la destabilizzazione della regione. Le superpotenze vincitrici, forti della
loro influenza ideologica, ma soprattutto politica, militare ed economica, non
persero tempo ad organizzare una rete di stati satellite capaci di contenere le
manovre dell’avversario e, nel contempo, garantirsi una serie di posizioni
strategiche potenzialmente utili per successive operazioni. Da questo domino
geopolitico scaturirono una serie di divisioni artificiali di paesi i cui casi
più noti sono il Vietnam (il cui Sud perirà nel 1975), la Corea, ancora oggi divisa in
due ed infine il caso forse meno noto,
ovvero quello della Repubblica di Cina (in inglese Republic of China, ROC) più famosa in occidente con il nome di
Taiwan o con l’appellativo della sua capitale, Taipei. Molti di questi stati,
spesso creature artificiali, non esitarono a ricorrere alla forza per sistemare
le inevitabili contese in cui erano coinvolti, dando origine ad una serie di
conflitti, scontri ed incidenti più o meno estesi, che non contribuirono alla
stabilità regionale.
In
questo scenario fluido e complesso si inquadra la vicenda della piccola isola
di Formosa, o Taiwan, “scoperta” dai portoghesi e così battezzata per la
bellezza e la rigogliosità della sua vegetazione. Da sempre attratta
nell’orbita cinese (salve le occupazioni degli “occidentali” in epoca
coloniale) Taiwan soffrì – al pari dell’impero continentale – gli effetti della
nascente potenza giapponese e delle ambizioni geopolitiche di Tokyo. Al termine
della prima guerra sino-giapponese (1894-1895) la sconfitta del Celeste Impero
aprì la strada alla conquista nipponica sia della penisola di Corea che di
Taiwan. Il successivo Trattato di Shimonoseki
all’articolo 2 suggellava giuridicamente il passaggio della sovranità di
Formosa dalla Cina al Giappone.
Quando iniziò la Seconda
guerra mondiale, l’isola di Taiwan era sotto controllo giapponese: la fine del
conflitto, però, non significò il ritorno ad un’era di pace, nonostante la
cessazione dell’occupazione nipponica e la restituzione alla madrepatria
cinese. I venti di guerra civile che spiravano nella Cina continentale non si
erano ancora placati, ed il semplice ritiro delle unità nipponiche altro non
era che la quiete prima di un’altra tempesta, destinata a placarsi solo verso
la fine degli anni ‘50.
- La guerra civile cinese e la fuga di Chang Kai Shek: nasce la Repubblica di Cina
Prima
di poter affrontare la storia militare della Repubblica di Cina è
indispensabile tracciare brevemente i motivi che hanno comportato la nascita di
questo stato. Ciò significa, inevitabilmente, riferirsi alla guerra civile
cinese che ha insanguinato il paese negli anni fra il 1927 ed il 1949, e che portò alla nascita delle “due
Cine” che ancora oggi conosciamo.
Questa divisione trae le sue origini dalla lunga guerra civile combattutasi in
due round diversi e spezzati dalla
Seconda guerra mondiale, al termine della quale, almeno formalmente, la Repubblica di Cina
controllava tutto il paese e la neo-restituita isola di Taiwan. A capo della
ROC c’era il Generalissimo Ciang Kai Shek, condottiero militare e leader del
partito nazionalista Kuomintang (KMT). I lunghi anni di guerra antigiapponese,
però, non avevano sopito le pesanti fratture che agitavano la società cinese, e
che prontamente riemersero non appena le truppe di Tokyo tornarono in patria.
La principale opposizione al Kuomintang era svolta da un piccolo partito di
matrice comunista, ovvero il Partito Comunista Cinese, guidato dal giovane leader Mao Tse Tung. Entrambi i partiti
disponevano non solo del tradizionale apparato politico, ma anche di milizie
armate, con moltissimi membri temprati da anni di resistenza contro i
giapponesi. La sfida Kuomintang-Partito Comunista dopo il 1945 sembrava
facilmente destinata a risolversi a vantaggio del KMT. L’appoggio statunitense
a Chiang ed alla sua fazione sembrava da solo essere risolutivo, senza
considerare il consenso internazionale di cui godeva il Generalissimo ed il
controllo del territorio esercitato dal KMT. Inoltre nel corso della prima fase
della guerra civile i reparti del Kuomintang avevano ripetutamente fronteggiato
gli avversari comunisti, tanto da costringerli ad una lunga ritirata strategica
passata alla storia come “Lunga marcia”. Proprio durante questa massacrante
operazione, poi mitizzata dalla storiografia di parte, emerse la figura di Mao
Tse Tung quale futuro leader del
Partito Comunista Cinese, oppositore del KMT.
Alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, nazionalisti e comunisti tornarono ad
affrontarsi militarmente per la supremazia politica in Cina, come prima
dell’invasione giapponese. I tentativi di riconciliazione, portati avanti dal
Generale George Marshall, futuro autore dell’omonimo piano di ricostruzione
economica, si rivelarono infruttuosi sin dal suo arrivo in Cina nell’inverno
del 1945. Le varie richieste di cessate-il-fuoco venivano sistematicamente
disattese dalle parti, troppo impegnate a contendersi la primazia piuttosto che
accordarsi su una soluzione comune. Quando il Generale Marshall abbandonò il suo
incarico, a gennaio 1947, la guerra civile in Cina era ormai riesplosa in tutta
la sua interezza e ferocia. L’iniziale vantaggio del Kuomintang venne
progressivamente eroso dall’avanzata delle unità comuniste, che in pochi anni
riuscirono a controllare porzioni sempre maggiori del paese. Mentre il
prestigio e la forza dei nazionalisti si sgretolavano, Mao e le sue unità
riuscivano a liberare e controllare sempre maggiori porzioni di territorio
cinese. Il 1 ottobre 1949, a
Pechino, venne proclamata la nascita della nuova Repubblica Popolare Cinese
(RPC), mentre Chiang Kai Shek ed i suoi seguaci, circa 2 milioni di persone,
abbandonavano il continente per rifugiarsi nell’isola di Taiwan. Le poche
sacche di resistenza rimaste sul continente vennero velocemente soffocate dagli
uomini di Mao. Con l’arrivo di Chiang a Taiwan nasceva così la Repubblica di Cina
rivale della RPC, e “unica” rappresentante della Cina fino agli anni ’70. La
ritirata del KMT non significò la fine delle ostilità, ma il loro evolvere verso
forme più complesse e, soprattutto, non più legate al mero piano nazionale.
Così la difficile coesistenza fra le “due Cine” entrava a pieno titolo nelle
complesse dinamiche della Guerra fredda.
Le distanze tra
Taiwan e la Cina Continentale
- In cerca di un equilibrio: le
tensioni ROC-RPC e la nuova geopolitica del Pacifico
Sin
dagli inizi le relazioni fra i due stati furono molto difficili, per molte
ragioni diverse. Sul piano simbolico entrambi rivendicavano di rappresentare la
“vera” Cina rispetto agli “impostori” dell’altra parte, rifiutando qualsiasi
soluzione di compromesso. Sul piano politico i dissapori ideologici fra i
contendenti rendevano impossibile sperare in una riconciliazione pacifica,
senza contare che mentre la RPC
guardava a Mosca la ROC
si rifaceva all’amicizia con gli Stati Uniti. Sul piano militare la
contrapposizione era ancora più netta, perché entrambi i paesi ambivano a
(ri)conquistare il territorio del rivale, anche con la forza armata: date le
ridotte distanze, poi, un conflitto fra i due sembrava inevitabile. Sul piano
propagandistico, infine, fra le due nazioni si sprecavano le accuse reciproche,
acuite anche dai risentimenti maturati durante la guerra civile. Tutti questi
elementi contribuirono a rendere molto complessi i primi anni della Repubblica
di Cina, cosa che spesso comportò il ricorso alla forza. Quando nel 1949 le
armate di Chiang si ritirarono a Taiwan, quello che rimaneva della “Cina
nazionalista” (altra dicitura usata per la ROC) era sostanzialmente l’isola di Taiwan,
l’isola di Hainan (situata nel sud della Cina continentale, vicina al nord del
Vietnam), le isole Pescadores ed infine alcune isole minori, più o meno vicine
alla RPC. La situazione rimaneva instabile, e la sproporzione a vantaggio della
RPC era evidente. I fragili equilibri post-guerra civile non erano destinati a
sistemarsi rapidamente, e la ritirata di Chiang, in definitiva, altro non fu
che un momento di tregua in un conflitto che ben presto riemerse anche sul
piano militare. D’altro canto focolai di tensione nell’area non mancavano. Nel
brevissimo periodo che intercorse fra la fondazione della RPC (1 ottobre 1949)
e la guerra di Corea (25 giugno 1950) la Cina di Mao riuscì ad organizzare un paio di
operazioni militari che ridimensionarono notevolmente il territorio della ROC,
sconfiggendo le unità nazionaliste. Il confronto si spostava così dal piano
terrestre a quello navale, caratterizzando i successivi scontri sino alla fine
degli anni Cinquanta dato che caratterizzerà gli scontri fra le due parti sino
alla fine degli anni Cinquanta. Escludendo un attacco diretto all’isola di
Taiwan, più distante geograficamente, le unità della RPC puntarono su una
strategia progressiva, focalizzandosi sulle aree di maggiore vulnerabilità
dell’avversario, ancora scosso dagli effetti della ritirata. Per questo motivo
il primo attacco della RPC venne portato all’isola di Hainan, una delle più
estese isole cinesi, che si trova in posizione strategica per controllare il
lato settentrionale del Mar Cinese Meridionale.
Nell’aprile del 1950 un
assalto anfibio delle unità del People’s
Liberation Army (PLA, le forze armate della RPC) segnò l’inizio del
conflitto di Hainan, che durò circa un mese e si concluse con la sconfitta dei
nazionalisti. Analoga sorte toccò poi ad altre isole sotto il controllo della
ROC. La fallita difesa delle isole, resa ancora più complessa dalla lontananza
da Taiwan, aveva dimostrato la debolezza militare delle unità del Kuomintang,
cosa che accese ulteriormente le ambizioni di Pechino. Nonostante la poca
preparazione del PLA, soprattutto nelle operazioni anfibie, nulla sembrava
poter impedire anche la conquista di Formosa: era solo una questione di tempo.
Ma mentre gli strateghi del PLA stavano progettando ulteriori attacchi ai
nazionalisti, intervenne un fattore esterno che cambiò drasticamente il corso
della storia.
Le
ambizioni di Pechino vennero bruscamente interrotte dall’esplodere di un
conflitto di tutt’altra natura, ma in cui Mao in primis era chiamato in causa. L’epicentro di questo nuovo
confronto Est-Ovest si trovava nella penisola coreana, divisa artificialmente
in due dalle logiche della nascente Guerra fredda. Il 25 giugno del 1950 le
unità di Kim Il Sung, giovane dittatore della Corea del Nord, attraversarono il
confine della rivale Corea del Sud scatenando una guerra che ebbe pesanti
ripercussioni a livello mondiale. La rapidità dell’invasione e la profondità
dell’offensiva in pochissimo tempo limitarono il territorio della Corea del Sud ad un piccolo
perimetro intorno a Pusan, nella parte sud-orientale della penisola. Questo
piccolo lembo di Asia, per secoli sconosciuta terra di conquista per gli
eserciti cinesi e giapponesi, diventava la prima vera crisi militare della
neonata Guerra fredda. Il conflitto coreano fu un vero e proprio choc per l’amministrazione Truman, e,
più in generale, rappresentò un punto di svolta nei rapporti fra le
superpotenze, poiché <<introdusse nella guerra fredda un elemento di
imponderabilità che non vi era mai stato prima. L’attacco a sorpresa doveva rendere
la guerra breve; il suo prolungamento richiese improvvisazione da entrambi gli
schieramenti, e nessuno dei due vi era adeguatamente preparato>>.
Paradossalmente
il conflitto coreano fu la salvezza di Taiwan e del governo di Chiang Kai Shek, che
fino a quel momento non era particolarmente stimato dal Dipartimento di Stato
americano. Le accuse di malgoverno, corruzione e la perdita dell’intera Cina
continentale non giocavano a favore del Generalissimo, in cui, inizialmente,
gli Stati Uniti non riponevano molta fiducia. La guerra di Corea, invece,
rimescolò le carte. Il comunismo, attivo ideologicamente e aggressivo
militarmente, doveva essere fermato ad ogni costo, e per evitare che il
conflitto coreano si espandesse verso sud gli Stati Uniti decisero di
proteggere il governo di Chiang Kai Shek a Taiwan. L’amministrazione
statunitense, quindi, cambiò radicalmente il suo punto di vista. Il Dipartimento
di Stato Americano così ricorda quella svolta: <<il Presidente Truman
agli inizi del 1950 aveva dichiarato che non avrebbe voluto difendere i
nazionalisti [di Taiwan] da un attacco comunista, ma dopo lo scoppio delle
ostilità in Corea ordinò alla Settima Flotta di prendere posizione nello
Stretto di Taiwan per evitare l’allargarsi del conflitto militare nella regione>>.
La
Settima Flotta statunitense venne così inviata nelle acque di
Formosa, mentre intanto, in Corea, il Generale MacArthur si apprestava a creare
un contingente delle Nazioni Unite, avvallato dal celebre voto del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. L’arrivo delle unità della US Navy, il 27 giugno 1950,
fece naufragare i desideri di riconquista di Mao. Man mano che il conflitto in
Corea proseguiva, poi, l’attenzione di Pechino si spostava sempre di più allo
scacchiere del nord-est, fino a che i “volontari” cinesi mandati ad aiutare i
“fratelli” della Corea del Nord non giunsero a scontrarsi direttamente con le
truppe dell’ONU. La strategia della RPC, quindi, si concentrò nel Nord,
tralasciando, per il momento, la questione di Taiwan. La fine del conflitto
coreano (1953) comportò un ripensamento radicale della strategia americana in
Asia, e, quindi, una sorta di piccola “rivoluzione geostrategica” che non mancò
di influenzare anche Taiwan. La logica dell’arrendevolezza o dell’incauto
disinteresse si era rivelata una drammatica leggerezza per Washington; era
quindi necessario riprendere i rapporti con gli alleati, solidificando quelli
esistenti e puntellando i regimi amici per evitare ulteriori “contagi” del
comunismo nella regione (si pensi al caso dell’Indocina francese). Taiwan
divenne così parte di quella serie di stati filoccidentali importanti per
esercitare il containment del
comunismo. Tuttavia questo “ombrello” americano non impedì ulteriori scontri
con la Cina
continentale, che portarono alle famose “crisi degli stretti” degli anni ’50.
- La rottura dell’equilibrio: le
due crisi dello stretto
La
fine della Guerra di Corea non portò il complesso scenario asiatico ad una
definitiva sistemazione. L’onda lunga della decolonizzazione aprì ulteriori
focolai di crisi, come l’Indonesia, la Malesia o l’Indocina, che si sommarono alle
rivalità già presenti nella regione. La situazione di Taiwan alla fine del
conflitto coreano era nettamente migliore rispetto al 1950, se non altro perché
ormai era inserita stabilmente nell’ambito dei paesi filoamericani. Il
cauto riavvicinamento fra Taipei e Washington, però, non impedì il sorgere di
due delicate crisi politico-militari, note con il nome di “crisi dello stretto
di Taiwan”, che, in diverso modo, rischiarono di scatenare un nuovo conflitto
mondiale in Asia. Questi due incidenti, avvenuti nel 1954-1955 e nel 1958
rappresentarono due ulteriori passaggi complicati per la storia di Taiwan, e
furono l’ultima seria minaccia alla sicurezza nazionale dell’isola, suggellando
de facto l’esistenza di “due Cine” e dimostrando l’impossibilità di
ricostituire manu militari una sola Cina.
Le
“Crisi dello stretto”, che ancora oggi rappresentano un passaggio dibattuto
nella complessa relazione fra Pechino e Taipei, non possono essere confinate al
solo piano bilaterale. Questa serie di scaramucce armate, di intensità
variabile, riguardarono non solamente le due Cine, ma anche l’URSS e gli Stati
Uniti. Le montanti tensioni nello stretto, periodicamente allentate da abili
mosse e tatticismi politici delle varie diplomazie coinvolte, ebbero anche dei
profili militari che, in definitiva, rischiarono di far precipitare gli Stati
Uniti e la Cina
popolare in una guerra aperta, con possibili esiti atomici. Infine, sul piano
geopolitico, le due crisi segnarono l’inizio di una nuova fase degli equilibri
asiatici, mentre l’interesse della Cina popolare, e di Mao in particolare,
cominciava ad orientarsi verso questioni politiche interne di natura ben più
urgente che la (ri)conquista di Taiwan o delle piccole isole di Quemoy e Matsu,
veri e propri casi bellorum delle crisi del 1954 e del 1958.
La
prima crisi dello Stretto (1954-1955). Come
evidente, i prodromi della contesa risalivano all’instabile stuazione che era
andata instaurandosi fra Pechino e Taipei. La Guerra di Corea e il pattugliamento della Settima
Flotta non avevano sanato la situazione, ma semplicemente procrastinato il
riemergere di successive tensioni. A questo, poi, andava sommato il territorio
che era rimasto sotto controllo di Taiwan: a parte l’isola principale, Formosa,
il KMT controllava le isole Dachen, le isole Yijiangshan ed infine Quemoy (o
Kinmen) e Matsu, oltre alle Pescadores (o Penghu). Se le ultime e Formosa erano
sufficientemente distanti dalla Cina continentale, questo non era il caso per
le restanti quattro, troppo vicine alle coste della RPC per non far ipotizzare
– come già successo con Hainan – un possibile blitz delle unità del PLA.
A questa vicinanza geografica (che per isole come Quemoy e Matsu è solo di
alcune miglia marine dal continente) si sommava l’atteggiamento di Chiang Kai
Shek, che non mascherava le sue ambizioni di riconquistare l’intera Cina
continentale. A Washington questa retorica non veniva considerata in termini
realisti, ma più come una questione di propaganda. Ad ogni modo il neoeletto
Presidente Eisenhower, nel febbraio del 1953, decise di ritirare la Settima Flotta
dalle acque antistanti Taiwan, senza però cedere alle pressioni dei “falchi”
che volevano favorire i progetti di Chiang Kai Shek. Dato il ritiro
statunitense, ad agosto 1954 il KMT cominciò a rafforzare le proprie
guarnigioni su Quemoy e Matsu, attirandosi ben presto le critiche di Pechino,
preoccupata dall’attivismo dei nazionalisti e dalla fine dell’indiretta
protezione americana. A questa scelta di Taiwan, poi, si aggiunse il dibattito
sull’istituzione dell’allenza South
East Asia Treaty Organization (SEATO), che venne creata a Manila proprio nel 1954. Questa
alleanza di paesi filoccidentali per Pechino (e non solo) costituiva una
minaccia indiretta. Dopo gli appelli propagandistici per “liberare Taiwan”, e
nonostante gli avvertimenti di Washington, il 3 settembre 1954 le unità di
Pechino cominciarono un bombardamento d’artiglieria che colpì Quemoy, causando
anche la morte di alcuni ufficiali statunitensi. La crisi era cominciata.
Washington si affrettò ad inviare nuovamente nell’area la Settima Flotta,
mentre il Pentagono cominciò a suggerire, fra le ipotesi di risposta, anche
delle possibili opzioni nucleari. Una questione prettamente bilaterale stava degenerando
in una crisi mondiale, o, per ricorrere ad una lucida analisi di Kissinger,
<<la crisi per un territorio che nessuno voleva era diventata globale>>.
Era insomma nato un pericoloso casus belli cui nessuno, però, voleva
dare troppo seguito. Se sul piano militare gli effetti furono limitati, un ben
altro impatto vi fu sul piano diplomatico. L’amministrazione Eisehnower era
riluttante ad intervenire militarmente a fianco di
Taiwan;
venne così decisa la negoziazione di un trattato bilaterale fra Washington e
Taipei noto con il nome di Mutual Defense
Treaty Between the United States and the Republic of China. Questo
breve trattato, firmato il 2 dicembre 1954 ed entrato in vigore il 3 marzo del
1955, costituì la miglior risposta che Washington poteva offrire al piccolo
alleato asiatico, e rappresentò un punto di compromesso fra chi vagheggiava un
attacco nazionalista alla RPC e chi invece preferiva abbandonare in toto Chiang
Kai Shek. Il problema principale risiedeva nell’atteggiamento statunitense:
sarebbe stato il caso di farsi coinvolgere in una guerra aperta per le piccole
isole della ROC, la cui importanza era, per lo più, simbolica? Eisenhower fece
risolvere questo contrasto alle generiche formulazioni del trattato, che, fin
dal preambolo, ribadivano ampiamente la funzione difensiva dello stesso, il
richiamo ai valori delle Nazioni Unite e la necessità di addivenire ad una
situazione di pace. Il cuore del problema, comunque, risiedeva nei limiti
geografici del trattato, ovvero quali aree avrebbero potuto determinare
l’intervento americano a fianco della ROC. Queste previsioni, contenute agli
articoli 5 e 6, erano alquanto vaghe, e facevano esplicito riferimento, per la ROC, solamente all’isola di
Taiwan ed alle Pescadores. Era un chiaro messaggio che Washington non voleva
cominciare un conflitto contro la
Cina comunista per dei piccoli (e strategicamente poco
significanti) affioramenti marini. Allo stesso tempo, però, non venivano
categoricamente escluse le piccole isole della ROC: come ricorda Matsumoto
<<[il trattato] era evidentemente un compromesso fra Washington e Taipei.
Questo indicava che la difesa delle isole non era completamente esclusa, e che
gli Stati Uniti potevano difenderle a seconda delle circostanze. In secondo
luogo, il testo enfatizzava che lo scopo del trattato era difensivo, non
offensivo>>.
Il trattato, ad ogni modo, segnava la fine di certe ambiguità fra le due
capitali: Washington, seppur a malincuore e con alcuni distinguo, aveva scelto
di rafforzare il suo legame con il KMT. Questa mossa, inevitabilmente,
indispettì Pechino, che a gennaio del 1955 riprese le ostilità contro Taiwan,
ma con altri obiettivi. Invece che insistere su Quemoy e Matsu, le unità del
PLA rivolsero la loro attenzione a due piccole isole situate più a nord, ovvero
le Dachen e l’isola di Yijiangshan. Quest’utlima fu assalita dalle unità del
PLA il 6 gennaio del 1955, e dopo dodici giorni di combattimenti le unità della
ROC dovettero ritirarsi, perdendo ulteriori posizioni a vantaggio della RPC.
Nell’attesa che entrasse in vigore il trattato bilaterale, e per dare un
segnale a Pechino, il Congresso statunitense votò quasi all’unanimità la Formosa Resolution
(29 gennaio 1955) con la quale il Presidente americano era autorizzato ad
usare ogni mezzo necessario per difendere la ROC dalla RPC. Gli Stati Uniti, però, si
limitarono ad utilizzare la
Settima Flotta per far evacuare le isole colpite, senza
reagire militarmente, nè contrattaccare la Cina comunista, né tantomeno cercando di
riconquistare le isole perse. Nonostante questo atteggiamento passivo, i toni
non erano destinati a spegnersi. Le minacce si fecero ancora più serie quando
Eisenhower paventò un possibile utilizzo di armi nucleari contro la Cina continentale. Mao, del canto
suo, si vantava di poter resistere alle armi atomiche, data la popolazione e
l’estensione della RPC. Anche se colpiti nuclearmente i cinesi – secondo le
parole del leader - avrebbero saputo resistere e poi contrattaccare. Le
reazioni a questa possibile opzione furono immediate. L’Unione Sovietica si
dimostrò particolarmente restia a rispondere nuclearmente agli Stati Uniti,
mentre i paesi della NATO, con la Gran Bretagna in testa, espressero la loro
completa disapprovazione per un possibile attacco nucleare. La situazione ormai
era molto tesa, ed era fondamentale abbassare i toni. L’occasione fu la Conferenza di Bandung
dei paesi non allineati: in quella sede, il 23 aprile 1955, il primo ministro
Zhou Enlai dichiarò pubblicamente che la
RPC era pronta a negoziare con gli americani, e con il primo
maggio la crisi era cessata. Si trattava comunque di una mera tregua, perché le
tensioni nell’area rimanevano ai massimi livelli. Non fu un caso, infatti, che
a distanza di meno di tre anni emerse una nuova crisi fra la Cina e Taiwan. Il primo round
si era concluso con un’altra situazione di stallo, ben presto destinata a
ricadere nello scontro aperto.
La Seconda Crisi dello Stretto (1958). La pace nelle acque cinesi durò pochi
anni, perché nel 1958 emerse nuovamente una serie di scontri armati, passati
alla storia come “Seconda Crisi dello Stretto”. La vicinanza delle date, però,
non deve trarre in inganno. Pochi anni di differenza non avevano influito sul
contesto geopolitico e militare, ma, piuttosto, avevano avuto un notevole
impatto su quello politico, ed in particolare sulle relazioni bilaterali fra
Mosca e Pechino. Oltre a ciò non vanno dimenticati i fattori interni alla Cina
e, infine, l’atteggiamento che Washington aveva tenuto nei confronti di Pechino,
durante i colloqui (riservati) a livello diplomatico. Aggiungendo questi tre
ultimi elementi alle perduranti frizioni con il KMT, si venne a creare una
serie di condizioni che portò, nel 1958, ad una ulteriore serie di scontri e
poi ad una successiva fase di stasi. Sul piano politico due furono in
particolare gli eventi che indirettamente contribuirono alla Seconda Crisi
dello Stretto, e si consumarono principalmente a Mosca fra il 1956 ed il 1957,
nell’ambito dei complessi equilibri della galassia comunista. La successione a
Stalin, deceduto nel 1953, aprì la strada all’ascesa di Nikita Khruscev.
Costui, ben conscio dei limiti dell’URSS e desideroso di modernizzare il paese,
nell’ambito del XX congresso del Partito Comunista Sovietico a Mosca (1956), criticò
pesantemente l’operato di Stalin denunciandone alcuni aspetti dell’operato ed
il culto della personalità. Questa forma di “revisionismo”, subito contestata
da Pechino, venne ulteriormente criticata dallo stesso Mao durante la
successiva conferenza dei Partiti comunisti del 1957, a Mosca. La famosa
“coesistenza pacifica” di Khruscev, ovvero il fatto che due sistemi
(capitalista e comunista) potessero, appunto, “convivere” fu aspramente
accusata da Mao, che propendeva, invece, per una posizione più “rivoluzionaria”
e meno incline al compromesso con l’avversario. Da qui – almeno sul piano
ideologico – è possibile tracciare l’inizio dello sfilacciamento dei rapporti
fra Mosca e Pechino che poi condurranno, nel 1960, alla fine del trattato di
amicizia fra i due paesi.
Sul piano interno, poi, il 1958 fu un anno cruciale per la RPC, ovvero coincise con il
lancio del “Grande balzo in avanti”, cioè una grande riforma interna della
società e dell’economia cinese. Complementare a questo ambizioso progetto vi
era una massiccia propaganda e mobilitazione degli apparati di partito: in
questo contesto si inserì anche una vigorosa retorica diretta a sostenere la
“liberazione di Taiwan”. Le intenzioni di questo slogan così aggressivo,
però, erano più dirette alla mobilitazione delle masse della RPC che
all’effettiva cacciata di quello che restava del KMT. Analizzata da questo
punto di vista, quindi, la
Seconda crisi presenta delle implicazioni
ideologico-politiche di natura interna che non possono essere trascurate, e che
ben permettono di comprendere il motivo per cui questo secondo confronto sia
finito in modo ben diverso dal primo.
Il terzo elemento prodromico alla crisi fu la difficoltà nella
gestione delle relazioni diplomatiche fra Washington e Pechino. Queste ultime,
riprese dopo il 1954 in
via riservata a Varsavia, si erano sempre mantenute su livelli non
particolarmente alti. Pechino intendeva far progredire il livello delle
negoziazioni, mentre gli Stati Uniti non ne sentivano la necessità.
La Seconda Crisi dello Stretto emerse a luglio del 1958, con la RPC che cercò di innalzare i
toni nella regione per protestare – questa era la motivazione formale – contro
l’intervento statunitense in Libano. L’idea di un’azione militare, per quanto
dimostrativa, non emerse nemmeno durante la visita di Kruschev a Pechino (31
luglio – 3 agosto 1958), segno tangibile della lontananza che si stava creando
fra i due paesi. Dopo un massiccio concentramento di unità a ridosso della
costa, segretamente monitorato dagli americani, il 23 agosto del 1958
l’artiglieria del PLA scatenò un massiccio bombardamento su Quemoy e Matsu,
dando il via alla Seconda Crisi. I bombardamenti, proseguirono con andamenti
alterni, a volte fermandosi anche per alcune settimane: era chiaro che
l’intenzione di Mao non era tanto scatenare un conflitto o riconquistare Taiwan
quanto, piuttosto, una strategia più sottile e che sfruttava scontri militari
di piccola portata per conseguire risultati politici. Tralasciando il livello
della mobilitazione interna, sul piano internazionale lo scopo di Mao era
quello di vedere fino a dove gli americani volevano o potevano spingersi nella
difesa di Taiwan e, nel contempo, dimostrare una certa autonomia dall’Unione
Sovietica. La reazione di Eisenhower fu di rimandare nello stretto di Taiwan la Settima Flotta e di
rifornire la ROC
di ulteriori armamenti, anche avanzati, oltre a dichiarare che gli Stati Uniti
non si sarebbero ritirati nemmeno di fronte ad un’aggressione. Queste parole, e
la presenza militare americana allarmarono Mao, che, per precauzione, aveva
comunque vietato alle sue unità di fare fuoco su obiettivi americani. Il 5
settembre 1958 fu nuovamente Zhou Enlai ad aprire alla distensione, offrendo
agli Stati Uniti di ricominciare la negoziazione con degli ambasciatori. Era
ormai il prodromo della fine, che sopraggiunse un mese dopo, il 6 ottobre 1958,
con la dichiarazione del Ministro della Difesa della RPC, Peng Dehuai, di
trovare una soluzione pacifica per l’isola di Taiwan. Era insomma chiaro a
tutti che lo scontro non aveva finalità militari, ma piuttosto rappresentava un
tassello di una complessa partita che faceva perno su Pechino, e che riguardava
tanto il rapporto di quest’ultima con Mosca che con Washington. Mentre la crisi
andava scemando vi fu un tardivo intervento sovietico, <<l’unica parte di
questa relazione triangolare che non comprese cosa stava avvenendo>>.
Schiacciato fra la necessità di evitare a tutti i costi di inserirsi in una
contesa fra Cina e Stati Uniti, ma desideroso nel contempo di mostrare –
quantomeno di facciata – la volontà di tutelare l’(instabile) alleato cinese,
Khruscev a settembre indirizzò due lettere ad Eisenhower mentre la crisi ormai
si stava spegnendo. Nella prima veniva ribadito che un attacco alla Cina era da
considerarsi come un attacco all’URSS, mentre nella seconda si ipotizzava
addirittura l’utilizzo di armi nucleari. L’iniziativa, però, giungeva fuori
tempo massimo, e, in definitiva, non ebbe alcuna utilità. La crisi del 1958 si
spense velocemente com’era nata, e chiuse quell’onda lunga di eventi che
portarono all’assestamento, almeno de facto, di “due Cine”. Tutte le
parti, a vario titolo, reclamavano di essere vittoriose.
- Gli effetti delle crisi e l’impatto su Taiwan
A
distanza di oltre cinquant’anni i giudizi sulle Crisi dello Stretto sono ancora
molto differenti, e continuano a risentire anche delle diverse posizioni da cui
sono espressi i giudizi. Cercando – per quanto possibile – di confinare i
risultati al piano geopolitico e militare, è possibile trarre alcuni insegnamenti
da tutta la vicenda. Le due crisi non vanno considerate come episodi a sé, ma
costituiscono il risultato, seppur indiretto, dei delicati equilibri
post-guerra civile cinese. La cacciata dei nazionalisti a Taiwan aprì
sicuramente la nuova fase delle “due Cine”, ma nel contempo non sopì quelle
tensioni già emerse nella guerra sul continente. In quest’ottica, quindi, si
potrebbero vedere gli incidenti degli stretti come una sorta di “scosse di
assestamento” che hanno seguito l’evento sismico principale, cioè la vittoria
di Mao. A livello generale, poi, va ricordato che se la contrapposizione RPC-
ROC ha costituito la base dei due contenziosi, in realtà il confronto è stato
(anche) giocato su piani nettamente più elevati, ovvero quello delle superpotenze.
Stati Uniti e URSS sono stati attori di primo piano in tutta questa vicenda, e,
anzi, hanno contribuito alla creazione dello status quo che ancora oggi
persiste. La chiusura della fase armata, però, non fu priva di conseguenze
rilevanti, soprattutto per la
Cina comunista. La seconda crisi, in particolare, segnò
l’inizio della fine dell’amicizia sino-sovietica (conclusasi nel 1960) e la
spaccatura del monolite comunista, e coincise con una maggior attenzione del
Partito Comunista Cinese verso tematiche di natura interna, come il “Grande
balzo in avanti” o la successiva “Rivoluzione culturale” del 1966. Ad ogni
modo, però, Mao riuscì a ricavare prestigio e visibilità da questi scontri,
cosa che gli fu utile anche sul piano della propaganda. Gli Stati Uniti
riuscirono finalmente a contenere non solo l’avanzata comunista, ma anche le
intemperanze di Chiang Kai Shek, con il risultato che Taiwan rimase “l’unica
Cina” sino agli anni Settanta, mentre le “due Cine” cominciarono a coesistere
seguendo binari molto differenti.
Tutti
questi effetti ebbero delle dirette ripercussioni sulla storia militare della
ROC, che probabilmente non sarebbe esistita se non vi fossero stati due eventi
determinanti, ovvero la Guerra
di Corea e il Trattato con gli Stati Uniti. Le sole forze del KMT, infatti, si
dimostrarono insufficienti quando si trattò di resistere agli attacchi della
Cina continentale: pezzo dopo pezzo le unità del PLA, nonostante le loro non
sviluppate capacità anfibie, sottrassero notevoli porzioni di territorio alla
ROC. Questo processo, probabilmente, avrebbe portato all’annichilimento di
Taiwan, se non fosse stato per l’irrompere della Guerra di Corea. Questo
conflitto, cui non presero parte unità del KMT, si rivelò invece fondamentale
per cambiare gli assetti politico-militari del paese. Da nazione amica degli
Stati Uniti ma considerata poco utile strategicamente, Taiwan divenne un
alleato importante che cominciò a beneficiare anche della tecnologia militare
americana, soprattutto velivoli e missili avanzati. Il 1954, poi, rappresentò
il vero discrimen sul piano politico-militare. Resisi conto che la
strategia del Generalissimo, ovvero la riconquista della Cina continentale,
poteva giungere ad effetti troppo destabilizzanti nella regione, gli Stati
Uniti decisero di “imbrigliare” il piccolo alleato con il Trattato di mutua
difesa, che segnò la definitiva “salvezza” della ROC. Non furono poche le
divergenze fra Taipei e Washington, ma, in definitiva, Taiwan riuscì ad
ottenere l’obiettivo così tanto agognato: la certezza dell’indipendenza
nazionale garantita dalle armi americane. Questa garanzia, comunque, ebbe un
costo. Chiang Kai Shek, guadagnando l’indipendenza perse molto spazio di
manovra in politica estera, e vide tramontare i suoi desideri di riconquista della
Cina continentale e dei territori che erano stati persi fra il 1950 ed il 1955.
Per di più, un comunicato comune del 23 ottobre 1958, co-firmato con il governo
americano, impegnò il KMT a risolvere politicamente i problemi con la Cina continentale evitando di
ricorrere all’uso della forza. I costi che il governo di Taipei aveva dovuto
sopportare erano stati pesanti. In poco più di dieci anni di esistenza Taiwan
aveva perso diverse parti del suo territorio e aveva dovuto subire le
imposizioni del più forte alleato americano: in cambio, però, era riuscita a
sopravvivere alla soverchiante potenza della RPC, ed ora, forte della
protezione statunitense, poteva finalmente concentrarsi su quelle riforme
politiche, sociali ed economiche di cui il paese aveva bisogno. La dimensione
militare dell’iniziale confronto fra RPC e Taiwan, per quanto limitata e spesso
strumentale ad altre logiche, ebbe un ruolo peculiare nella formazione
dell’identità di quest’ultimo paese e, in definitiva, nella sua storia.
La
guerra civile in Cina, iniziata nel 1927 e sospesa durante la guerra contro i
giapponesi, ricominciò nel 1946, terminando nel 1949 con la vittoria della
fazione comunista di Mao Zedong rispetto a quella nazionalista del partito
Kuomintang di Chang Kai Shek.
<<This was evidently a
compromise between Washington and Taipei. This suggested
that the defense of the offshore islands
was not completely abandoned, and that the United States might defend these
islands depending on the circumstances. Second, the statement emphasized that
the purpose of the treaty was defensive,
and not offensive>>, Matsumoto H., The First Taiwan Strait Crisis
and China’s “Border” Dispute Around Taiwan, p. 89, su http://src-h.slav.hokudai.ac.jp/publictn/eurasia_border_review/Vol3SI/matsumoto.pdf, consultato il 10 aprile 2013.