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domenica 14 luglio 2024

Dalla globalizzazione, sostenibilità della crescita e nuove povertà alle nuove aree di influenza

 APPROFONDIMENTI

 

Sergio  Benedetto  Sabetta

 

“ I classici della letteratura sono guide più rigorose e più utili di ogni metodologia di scienze sociali per chi non ha avuto esperienza personale di guerre e di morte”          ( Kaplen , 86, La perduta sensibilità tragica dell’America, Federico Petroni,

in Fine della Guerra, Limes, 4/2024).

 

          E’ in corso da anni un dibattito sui benefici della globalizzazione in cui vi è una contrapposizione tra chi ne esalta i vantaggi e chi al contrario la demonizza, soprattutto per gli effetti ritenuti devastanti sulle economie più povere.

          Questi cambiamenti hanno imposto grandi sacrifici innanzitutto ai paesi più arretrati, con esiti finali diversissimi legati al contesto ambientale, il sistema entrato in crisi già all’inizio del nuovo Millennio, ha evidenziato le problematiche e i limiti nell’ultimo decennio, prima con le guerre infinite e le crisi in Medio Oriente e Asia, per emergere definitivamente con l’attuale guerra in Ucraina. ( AA. VV. , La grande Guerra, Limes, 7/2022).

          Si è sostenuto che i vantaggi della specializzazione derivanti da una economia globalizzata si realizzano solo nel lungo periodo, mentre nel breve l’assestamento può provocare danni.

Si osserva l’uso intensivo della manodopera minorile e femminile con paghe ridotte e pochi diritti, deve tuttavia riconoscersi che i salari per quanto bassi sono più alti di quelli offerti da altre occupazioni, quello che in realtà incide è la mancanza di accesso ai capitali e alle opportunità di formazione legate all’instabilità e debolezza di molti regimi politici.

          La presenza di forti istituzioni interne permettono politiche di contenimento degli abusi mediante il riconoscimento dei diritti di proprietà e delle tutele minime dei lavoratori,  oltre alla regolamentazione delle risorse ambientali, altrimenti lasciate al saccheggio dei vari potentati economici internazionali, basti riferirsi alla penetrazione della Cina in Africa in questi ultimi decenni.

          La centralità del potere politico espressa mediante le istituzioni è fondamentale nel definire una moderna politica industriale centrata nella lotta alla povertà o all’ulteriore sviluppo per zone economicamente già decollate.

Deve esistere una coesistenza di mercato e di poteri pubblici in cui le istituzioni regolino, oltreché pianificare, l’attività economica rispettosi della sua libertà, limitandone gli eccessi, inoltre provvedendo a creare le condizioni necessarie per il diffondersi del benessere, quali infrastrutture, accesso al credito, formazione, certezza dei diritti e contemporanea lotta alla corruzione che limita l’efficacia degli interventi.

          In realtà l’azione deve esplicarsi a vari livelli, in ambito centrale e locale i quali devono agire in sinergia, la capacità di regolazione è particolarmente importante a livello di istituzioni locali in quanto direttamente in contatto con le realtà locali.

 Deve comunque riconoscersi che la cooperazione è sempre difficile in quanto i benefici economici a lungo termine non sono sempre paganti nel breve da un punto di vista politico elettorale in ambito locale, a cui si aggiungono i problemi finanziari e valutari per gli squilibri della bilancia dei pagamenti e l’eccesso di liquidità sui mercati.

          Il trasferimento di conoscenze sia tecniche che organizzative deve radicarsi sulle specificità socio-culturali locali e questo può avvenire solo con un dialogo paritario tra istituzioni, imprese transnazionali e con la partecipazione degli stakeholders referenti dell’attività imprenditoriale, non ci si può affidare solo a un puro scontro competitivo fra interessi.

          Bisogna evitare che si accresca esponenzialmente il divario tra coloro che beneficiano della globalizzazione soprattutto in termini finanziari a breve e coloro che la subiscono, tenendo sempre presente la distinzione fra miseria e povertà, la prima a carattere assoluto la seconda un sentimento prodotto e vissuto dalla disuguaglianza crescente esaltata dalla facile comparabilità favorita dalla mobilità e dai mass-media.

          Secondo il pensiero strategico dei think tank washingtoniani, preso dal suo neo liberismo, l’economia è il mezzo mediante il quale governare il mondo nella sua globalizzazione, diventando quindi fine ultimo mediante l’incrocio dei reciproci  razionali interessi economici ( Rogari).

          Fondamentale è la distinzione fra capitali a lungo termine di investimento e capitali a breve termine o speculativi, di cui occorre un qualche controllo al fine di evitare contraccolpi sulle economie al momento più deboli.

          Ma anche il potere monopolistico di poche aziende su mercati poveri inducono al mantenimento della povertà, come la mancanza di programmi sociali di sostegno o di un flusso migratorio temporaneo che riporti alla fonte conoscenza e capitali.

          Come è stato evidenziato nel caso della cartamoneta di Katzenan, l’allontanamento di un unico monopolista appaltatore fecero aumentare i commerci con un netto miglioramento, ma con la creazione di dislivelli di benessere del tutto fisiologici, tuttavia contenuti da vari comitati costituiti e sufficientemente rappresentativi.

          Abbiamo sopra parlato di povertà nei paesi in sviluppo, ma la globalizzazione può avere gli stessi effetti anche all’interno delle economie più avanzate.

          Da recenti studi condotti sia negli Stati Uniti che in Germania relativi al benessere fisico e alle malattie per disuguaglianza emerge che l’accesso all’assistenza sanitaria e l’esposizione a rischi sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono alla salute.

          Sebbene in Grecia il reddito medio è la metà di quello americano la speranza di vita è superiore, come evidenziato dall’epidemiologo S. Bezruchka dell’Università di Washington, se ne può dedurre che una volta raggiunti livelli di salute di base grazie a cibo sufficiente e condizioni abitative accettabili, l’importanza del reddito diminuisce in relazione al benessere.

          Come suggerisce N. Adler dell’Università della California sebbene la condizione oggettiva di essere povero si ripercuota negativamente sulla salute, la condizione scatenante è la condizione soggettiva del sentirsi povero. Pertanto non è il livello in assoluto ma in rapporto all’autonomia decisionale posseduta e alle tipologie di pressioni ambientali.

          E’ stato più volte ribadito che maggiore è la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e maggiore è lo stress psicofisico per le fasce più deboli, infatti un’elevata disparità di reddito intensifica la gerarchia nella comunità indebolendo il sostegno sociale che avviene preferibilmente tra pari, il tutto aggravato dal continuo sottolinearsi della indigenza attraverso un perenne confronto con le fasce alte, tale da ridurre il senso di controllo della propria esistenza ed aumentare la carica di aggressività insita nei rapporti sociali al fine dell’acquisizione delle risorse e a scapito delle capacità collaborative.

          Il fatto del sentirsi povero, a seguito dell’intrecciarsi degli stressori sociali e psicosociali, è aggravato dal rinchiudersi delle fasce più alte con la richiesta di riduzione delle spese pubbliche dirette ai servizi della comunità. E’ andata infatti crescendo una concorrenza fra gli Stati nell’abbassare le imposte, riducendo contemporaneamente l’offerta dei servizi pubblici nonostante la domanda aumenti a seguito della complessità dinamica delle economie.

          Quello da sottolineare è la dimostrazione data da Wilkinson che una minore disparità di reddito è benefica ai fini della salute sia per i poveri che per i ricchi.

          Questo non toglie che le disuguaglianze restino quale stimolo e premio nell’impegno nell’attività produttiva, è l’eccesso che porta alla disgregazione e all’impoverimento sociale.

          Si possono richiamare a riguardo gli studi condotti sulla statura delle popolazioni in Europa e negli Stati Uniti, da cui emerge il rapido interagire tra tenore di vita biologico e il mutare delle condizioni economiche. Sorprende il regredire degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, nonostante che per tutto il XIX secolo superassero di 5 – 7 cm di media gli europei, ma anche il tasso di mortalità neo natale è attualmente il più alto tra i paesi industrializzati, mentre si riduce la speranza di vita.

Tutto questo a fronte di una notevole ricchezza complessiva della nazione ed una spesa del 14% del PNL nella sanità a fronte di valori medi dell’8% nei restanti paesi del G7 (Francia, Germania, Italia, G.B., Spagna, Giappone).

          Le implicazioni sono che un’economia di mercato temperata dal sociale è migliore ai fini della qualità della vita dei propri cittadini e della sostenibilità dello sviluppo rispetto ad una orientata esclusivamente al libero mercato.

          Logicamente questo comporta una inclusione nel tessuto sociale comunitario più lenta e progressiva dei nuovi arrivati, anche rispetto alla questione della cittadinanza, proprio per la necessità di mantenere l’equilibrio nella distribuzione dei servizi in funzione del mantenimento della qualità di vita e conseguente riduzione delle tensioni sociali, a differenza di un assoluto libero mercato in cui si è lanciati nell’arena senza una solida rete di protezione sociale tanto nei servizi in genere che nella comunità di accoglienza.

          In altre parole i flussi di ingresso e di accoglienza dipendono dal modo di finanziamento dei servizi e dalla qualità e quantità di benessere sociale che si intende mantenere, oltre che dalle caratteristiche socio – culturali delle comunità di accoglienza, tra i vari interessi economici, leciti e illeciti, che poggiano su un afflusso incontrollabile e le utopie terzomondiste e messianiche di parte della politica, in quanto prive di una visione socio – economica effettiva e concreta.

          Dobbiamo sempre considerare la delicata “coscienza del sé”, su cui vanno ad incidere le problematiche della globalizzazione, la quale secondo quanto ritiene Heatherton è nata al fine di facilitare la cooperazione nella specie umana.

          Emerge chiaramente da quanto finora detto l’insufficienza del PIL quale indicatore esclusivo di crescita economica di una nazione.

          Il PIL comprende solo fattori fisici ossia il valore dei beni e servizi finali prodotti in un anno al lordo degli ammortamenti, ma non tiene conto del deprezzamento dei beni capitali come il degrado degli ecosistemi; pertanto può accadere che il PIL cresca mentre la ricchezza pro-capite, intesa come il valore dell’intera base produttiva, ossia il capitale prodotto dall’uomo, quello naturale, le conoscenze, le capacità e le istituzioni, diminuisca.

Come sostiene Partha Dasgupta dell’Università di Cambridge, il PIL pro-capite può aumentare ma la ricchezza pro-capite diminuisce se, come nel caso del sub – continente indiano, gli investimenti in capitale, conoscenza, capacità produttiva e miglioramento delle istituzioni non hanno compensato il degrado del capitale naturale favorito da un eccesso di crescita della popolazione, nasce quindi la necessità di introdurre nuovi indicatori sintetici come per l’Impronta ecologica, mediante la quale si stima l’impatto che una data popolazione con i propri consumi esercita su un territorio definito ( M. Walckernagel e W. Rees ).

          Ulteriori parametri devono essere pertanto introdotti al fine di captare gli aspetti psicosociali della distribuzione della crescita economica globalizzata e conseguente crescita della disparità di reddito. Ichizo Kawachi della Harvard University, partendo dal concetto di “capitale sociale” come ampiezza dei livelli di fiducia e sostegno in una comunità, ha dimostrato che un basso capitale sociale sarà indice di possibili cattive condizioni di salute.

          Si parla ormai ampiamente di “sostenibilità” dello sviluppo, tuttavia è stato osservato che in molti casi il termine è usato con effetto rassicurante dal potere politico senza attribuirgli alcun preciso significato.

          In realtà occorre distinguere tra sviluppo (qualitativo) e crescita (quantitativa), mentre la crescita ha un limite determinato dal sistema, ossia dalle risorse ambientali, che può solo in parte essere supplito dallo sviluppo tecnico, quest’ultimo è indefinito.

Dobbiamo, tuttavia, considerare che vi è un punto in cui utilità e disutilità marginali si uguagliano con una possibile crescita antieconomica, questo punto può essere spostato nel tempo ma non eliminato.

          L’Indice di benessere economico sostenibile (ISEW) sviluppato da Clifford W. Cobb e John B.Cobb.Jr, sebbene usato ampiamente solo dagli economisti ecologici, ha dimostrato che i costi della crescita all’interno di alcuni Stati economicamente avanzati sta aumentando più rapidamente dei benefici.

          Dobbiamo considerare che il libero mercato, se funziona correttamente, favorisce solo l’allocazione delle risorse in modo efficiente, ma non permette di determinare una scala di sostenibilità della crescita per cui intervengono le politiche governative ed ecco rientrare in gioco la necessità di solide e accreditate istituzioni pubbliche.

          Si deve tenere presente che non sempre la crescita aumenta la felicità, in quanto il rapporto tra reddito e felicità è in forma diretta solo fino ad un punto di “quantità sufficiente”, oltre interviene la relatività dell’autovalutazione e lo sforzo della ulteriore crescita può diventare antieconomico in termini di capitale umano e ambientale ( Richard A. Easterlin ).

          In questi termini l’allargamento dell’Unione Europea, vista come un’occasione di aumentarne il peso specifico, non solo in termini di pura crescita economica, ma anche quale modello di riferimento per una politica economica sociale alternativa al puro mercato, ha presentato purtroppo delle debolezze per visioni e interessi diversi, si sono infatti create aree diverse e contrapposte, quali la Mediterranea, del Mare del Nord, del Baltico e dei Balcani.

          A questo si aggiunge il declino degli U.S.A. quale unica potenza globale e la richiesta da parte della Cina, della Russia e degli altri Stati del B.R.I.C.S. + ( plus) , Brasile, India, Sud Africa, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, ed Iran) di creare nuove aree di influenza, considerando che secondo la Banca Mondiale questi rappresentano il 45,6 % della popolazione mondiale e il 28,6% del PIL, a cui si affianca la proposta di creare una nuova valuta digitale (R5) da affiancare al dollaro nelle transazioni economiche internazionali.

          A tal fine nel 2014 era stata creata la New Development Bank ( Nuova Banca per lo sviluppo), con tre obiettivi per il 2024: aumentare il ruolo del B.R.I.C.S. + nel sistema finanziario internazionale, con una maggiore collaborazione fiscale e doganale, nonché tra i sistemi bancari dei Paesi membri ( AA. VV. , Fine della Guerra, Limes, 4/2024).

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

                                                                                   

·      AA. VV., La Grande Guerra, Limes, 7/2022 e Fine della Guerra, Limes, 4/2024;

 

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·       Intervista ad Alvin Toffler, La ricchezza non monetaria, 138 – 148 in “Asperia”, 33/2006;

 

·       F. Bruni, La crescita globale e il precipizio, in Speculando, ISPI – Relazioni Internazionali, 18/19, 6/2006,

 

·       S. Rogari, L’economia come mezzo non come fine. Questa è la lezione della prima globalizzazione, in Il Bluff globale, Limes, 4/2023.


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