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venerdì 26 luglio 2024

Le mutazioni al vertice militare italiano 1943-1944 Da Messe a Cadorna

 DIBATTITI
Progetto 2024/1



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Il vertice militare italiano ebbe una evoluzione degna di nota, in vista della organizzazione postbellica delle Forze Armate. Oltre a due casi di stretta natura politica che preannunciavano i nuovi equilibri politici in Italia, vi fu il passaggio di comando dal Maresciallo Messe al generale Cadorna, comandate del Corpo Volontari della Libertà, mentre sul piano operativo si assisteva alla entra in linea del Gruppi di Combattimento.

 

I due casi politici sotto linearono la dipendenza ancora completa dagli Alleati delle Forze Armate italiane, dove tenevano banco il predominio degli Alleati ed i loro interessi. Ai primi di gennaio 1945 il Governo Tito chiese in modo formale e perentorio che l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Mario Roatta, venisse processato come criminale di guerra; altrettanto aveva avanzato la medesima accusa nei confronti del generale Taddeo Orlando, già ministro della Guerra, che aveva svolto l’incarico di Comandante dell’Arma dei Carabinieri. Questa accuse facevano sorgere un problema molto difficile per gli Alleati. Da un lato avevano dato il pieno appoggio a Tito nella speranza di averlo dalla propria parte, nel quadro della politica balcanica, soprattutto britannica. Tito aveva ripagato questo sostegno, con il quale era divenuto l’assoluto padrone della Jugoslavia, lasciando l’isola di Lissa, presidiata da truppe britanniche ed aveva raggiunto il maresciallo sovietico Tolbukin in Romania, pregando di inviare reparti dell’Armata Rossa a liberare Belgrado. Era una aperta ammissione che il comunista Tito sceglieva per il dopoguerra il campo non occidentale. Un processo a Roatta, che era stato anche capo del SIM, il servizio Informazioni Italiano, e che era in possesso di importanti documenti su Cherchill e la politica inglese nei Balcani, significava mettere in mostra elementi che avrebbero portato discredito a Londra e in generale agli Alleati

 

La soluzione fu trovata con un espediente. Il 4 marzo 1945 il generale Roatta fuggì, o fu fatto fuggire, dall’Ospedale Militare dove era ricoverato sotto sorveglianza. Dalla vicenda Roatta emergeva una chiara linea politica. Gli Alleati mantenevano ed esercitavano in Italia il potere di veto sulle decisioni delle autorità italiane, pur essendo l’Italia cobelligerante, sulla scia dell’armistizio “lungo”. E questo doveva essere tenuto presente quando gli interessi italiani erano n contrasto con quelli alleati. A conferma di questo assunto si ha il caso del gen. Berardi, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Berardi dal novembre 1943 aveva sempre con decisione difeso le posizioni italiane, soprattutto quando era in gioco il prestigio ed il valore del Regio Esercito. Inoltre Berardi riusciva antipatico, se non proprio inviso a numerosi politici italiani. E’ credibile che a deciderne l’allontanamento dalla carica di Capo di Stato Maggiore siano stati gli Alleati, e che ai nostri uomini di governo più d’uno dei quali fu sicuramente ben lieto di ottemperare. La sostituzione del gen. Berardi era accompagnata in parallelo dal ridimensionamento delle attribuzioni del Capo di Stato Maggiore Generale, in un quadro di reale ridimensionamento del potere politico che i vertici militari avevano. Era in iniziato il dopoguerra, in cui la componente militare fu via via estromessa da ogni decisione politica. La sostituzione di Berardi aveva per gli Alleati un preciso significato: togliere dalla scena un personaggio che avrebbe potuto, dopo il Maresciallo Messe, rivendicare il coordinamento dell’attività operativa dei Gruppi di Combattimento non solo per la carica ricoperta, ma anche per l’azione appassionata e concreta svolta per l’approntamento di quelle Unità.[1] E’ significativo che a sostituire Berardi fu chiamato un generale di brigata, Ercole Ronco, il quale essendo per grado o per anzianità di grado inferiore ai comandanti dei Gruppi, non avrebbe potuto pretendere di sovraintendere all’impiego in combattimento delle Unità italiane. Dietro la versione ufficiale, che non ha alcun significato, vi era ben preciso l’interesse alleato, soprattutto britannico di minimizzare la reale portata del concorso operativo italiano

Ed evitare che ne derivasse un nuovo prestigio alle Forze Armate italiane che avevano dato prova di valore militare. Questa decisa presa di posizione era funzionale agli interessi britannici, che in ogni settore volevano oltre che minimizzare svalutare l'apporto italiano alla fase finale della guerra in Italia. Un atteggiamento che trovava d’accordo molti esponenti dei nascenti politici italiani e che si è riverberato nella nostra opinione pubblica, la quale ignora questo apporto, che vedremo più avanti.

 Nel solco di questa politica non si poteva non arrivare all’avvicendamento del Capo di Stato Maggiore  Generale.

 Il 6 gennaio 1945 il Maresciallo Messe aveva consegnato al gen. Alexander

der una nota con le principali questioni concernenti l’Esercito italiano e le relazioni con i patrioti e le forze della Resistenza. In questa nota prospettava la necessità di una revisione del sistema di controllo attuato dagli Alleati nell’interesse di una sempre più efficace collaborazione, anche per dare più prestigio e dignità ai comandi intermedi e minori interessati; le opportunità di riunione sotto un unico comando italiano tutti i Gruppi di Combattimento che in quel gennaio 1945 si accingevano ad entrare in linea. Questo era un altro punto della politica svalutativa e minimizzatrice britannica. Non vi era intenzione di creare corpi di armata italiani, ne tantomeno una armata italiana; i singoli Gruppi di Combattimento, che erano a livello divisione, sarebbero stati impiegati nell’ambito dei corpi d’armata alleati. Infine la nota si concludeva con la richiesta di assorbire nell’esercito i partigiani mantenendoli uniti nelle bande di appartenenza per non disperdere i legami morali stabiliti durante i mesi della guerriglia. Nei mesi successivi il Maresciallo Messe svolse un’ampia azione volta a sottolineare la fattiva e determinate partecipazione delle Forze Armate alla fase finale della guerra con numeri che oggettivamente sostenevano la sua posizione. In realtà era una azione destinata a cadere nel vuoto in quanto sia i nostri governanti sia gli alleati, con i britanni in testa, avevano tutto l’interesse, per diverse ragioni, a sminuire l’apporto, sia operativo che logistico, delle Forze Armate.

Il 17 aprile 1945 Messe, ritenuto ormai esaurito il suo compito, annuncia le dimissioni da Capo di Stato Maggiore Generale. Nominato nel novembre del 1943, scelti ottimi collaboratori, come Berardi, Utili e tanti altri, Messe riesce a svolgere un’azione ardua e efficace per avere unità da combattimento italiane in linea. In modo diametralmente opposto a quello che farà Graziani nella Repubblica Sociale Italian, riesce a tenere ben salda l’unità di comando, impedisce la formazione di formazioni di combattimento fuori dalla autorità del Regio Esercito, assorbe con costanza e intelligenza tutte le bande di partigiani che via via vengono raggiunte con l’avanzata verso nord, portando nelle fila dell’esercito il loro spirito di guerriglia e di innovazione, tiene fuori dalla compagnie militare ogni interferenza politica, riuscendo a portare tutti gli italiani, e non le varie parti, sotto un'unica bandiera. In pratica disegna i cardini fondamentali sulle quali sarà costruito l’Esercito italiano della Repubblica, che è giunto fino ai nostri giorni. Il 5 maggio 1945 fu nominato Capo di Stato Maggiore Generale, il gen. Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà.

 



[1] Loi S., I rapporti fra alleati ed italiani nella cobelligeranza, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1986, pag. 118 e segg.

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