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Progetto 2016/1
Dizionario Minimo della Guerra di Liberazione
Documento
72
La
combinazione di certi orientamenti da parte degli uomini della MMIA, con il
desiderio di molti politici italiani che vedevano in Berardi un elemento ostile
ed ostico, difficilmente disponibile che molti di loro immaginavano (esercito
di popolo, ecc.) portò alla sostituzione di Berardi. Che fosse un problema
politico interno italiano è dimostrato dall’avvenuto ridimensionamento delle
funzioni del Capo di Stato Maggiore Generale.
“Si volle togliere dalla scena il personaggio
che, dopo Messe, avrebbe potuto a buon diritto rivendicare il coordinamento
dell’attività operativa dei gruppi di Combattimento, non solo in forza della
carica ricoperta, ma anche per l’azione appassionata e concreta svolta per
l’approntamento di quelle Unità. E’ significativo il fatto che a sostituire il
generale Berardi fu designato un generale di brigata, Ercole Ronco, il quale
essendo per grado o per anzianità di grado inferiore ai comandanti dei Gruppi,
non avrebbe potuto pretendere di sovrintendere l’impiego in combattimento.”[1]
Per un altro verso, la sostituzione del gen Berardi va interpretato come un ulteriore elemento a supporto del fatto che gli Alleati volevano in ogni campo ed in ogni occasione minimizzare la portata del concorso operativo italiano ed evitare che ne derivasse un nuovo prestigio al nostro esercito che avevano dato prova di voler umiliare.[1] Berardi si conceda con una lettera al Ministro della Guerra che vale la pena di riprodurre integralmente:
STATO
MAGGIORE REGIO ESERCITO
N. 257/S/G.A. P.M. 3800, lì 27 Gennaio 1945
Riservato personale
Oggetto: Stato Maggiore Regio Esercito
A S.E. il Ministro della Guerra
All'atto di lasciare l'attuale incarico per altra destinazione, in merito alle comunicazioni fattemi da V.E., sulla decisione di assegnare l'incarico di Capo di S.M. dell'Esercito ad un Generale di Brigata, decisione derivante da riforma organica dell'organismo centrale, ritengo che sia mio preciso dovere - per il posto che ho occupato - di far presenti a V.E. quelle che io ritengo possano essere le conseguenze dell'importante provvedimento.
Pur
non conoscendo la forma che verrebbe data all'organizzazione centrale
dell'Esercito, né le esatte attribuzioni
che verrebbero riservate all'Alto Comando, penso che il provvedimento della
diminuzione del grado diminuirebbe altresì il prestigio dell'istituzione, e che
provocherebbe una grave ripercussione sulla compagine dell'Esercito in tempo di
guerra, e in un momento in cui, faticosamente ricostituitosi attraverso
difficoltà materiali e morali di ogni genere, esso sta per inviare in linea
talune Unità ad affermare, sui campi di battaglia, la volontà di combattere del
popolo italiano.
Altri
sono l'autorità ed il prestigio di cui può godere, presso Comandi italiani e
presso Autorità alleate, un generale che rivesta uno dei massimi gradi della
gerarchia, ed altri quelli di un inferiore in grado. Avvenimenti decisivi si
susseguono, l'opinione pubblica preme per la costituzione addirittura di
un'Armata italiana, l'avvenire può richiedere l'espressione di autorevoli opinioni,
di autorevoli opinioni tecniche, la discussione con generali alleati di
problemi militari e determinazioni di grande portata, nelle quali sono in gioco,
oltre che il prestigio dell'Esercito, il prestigio dell'Italia. In simili
eventualità, che possono sorgere anche improvvisamente, non sembra conveniente presentare
a capo dell'Esercito, quale tecnico responsabile, un generale non rivestito di uno
dei gradi più elevati. Né si può trascurare il confronto con Marina ed
Aeronautica, i cui Capi di S.M. sono un Ammiraglio di squadra ed un Generale,
di squadra aerea, e che a tali prerogative non rinunciano.
L'Esercito,
uscito da una crisi tremenda, avente oggi nella ricostruzione della Patria il
compito più gravoso, perché la ricostruzione della Patria è solo ottenibile con
la partecipazione alla guerra, l'Esercito, oggi punto di concordia indiscusso
di tutte le correnti politiche, l'Esercito in continua evoluzione e non completamente
in nostre mani, abbisognevole di profonde riforme d'altra parte già iniziate,
ha bisogno di un'autorevole figura di Capo tecnico nel quale creda, dal quale
si senta sostenuto, che ne rappresenti la continuità vitale.
Come
ho già espresso a S.E. in altro mio memoriale, il problema dell'organismo
centrale dell'Esercito trova la sua unica soluzione nella coesistenza delle due
responsabilità, la politica e la tecnica, che nella parte di competenza
specifica siano su di uno stesso piano e godano di pari autorevolezza; l'una
derivante dalla espressione degli organi costituzionali, l'altra dal
grado e dal prestigio personale guadagnato con tutta una carriera, e alimentato
dal tacito consenso della massa dei componenti l'Esercito.
Dalle
libere discussioni tra autorità politica ed autorità tecnica, dal freno che
l'una esercita sull'altra non può derivare che bene.
Tanto
più in un momento come l'attuale in cui non funzionano né consigli militari né
parlamenti. Anche se nel presente sussistono le migliori intenzioni di
mantenere al decapitato Stato Maggiore le sue attuali attribuzioni, il
principio della piena e libera responsabilità
del Capo riceve, dal provvedimento, un colpo decisivo e negli effetti, a
malgrado di tutte le buone volontà, lo Stato Maggiore si trasforma in Direzione
Generale perché ne viene a mancare il sostegno morale cui appoggiarsi, sostegno
indispensabile per imporre a mentalità italiane la scelta degli armamenti, le
forme organiche, le direttive di addestramento, oltre all'intimo orientamento
morale senza del quale un Esercito è
privo di anima.
I
Ministri cambiano, né sappiamo quale uso possa fare un futuro Ministro di uno
strumento troppo docile nelle sue mani e privo della intrinseca autorità di
imporsi. Solo la salda e garantita struttura permette di evitare le scosse, gli
squilibri. Il defunto regime ha rovinato l'Esercito a forza di scosse e
squilibri consentiti da autorità tecniche asservite alla politica.
Oggi
le colonne dei giornali sono irte di critiche contro le alte gerarchie
militari, che non hanno saputo parlare e prevalere quando quelle scosse e
quegli squilibri venivano inferti alla compagine dell'Esercito. Ed hanno
pienamente ragione. Ho ritenuto pertanto mio debito di carica, e di onestà, far
presente il mio pensiero, con tutta la possibile chiarezza e lealtà.
Il
Capo di S.M. dell’Esercito
Paolo
Berardi
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