DIBATTITI
Maria Luisa Suprani Querzoli
Un doloroso crescendo – Le lettere
famigliari del Generale Cadorna (maggio
– giugno 1915)
In un
periodo storico come quello contemporaneo, teso a cancellare le memorie del
passato senza preoccuparsi prima di averle adeguatamente rielaborate, varrà la
pena riflettere sulla figura del Capo di Stato Maggiore, Generale Luigi
Cadorna. Egli, sotto più aspetti, può essere considerato il custode della
tradizione militare italiana e nelle sue lettere indirizzate alla famiglia si
può riscontrare l’ampliarsi della consapevolezza collettiva di fronte a sfide
mai prima considerate.
Nemmeno la divinazione napoleonica
sarebbe potuta accorrere in soccorso in un frangente così critico: non si
trattava infatti di intuire tempestivamente le strategie avversarie bensì di
rapportarsi con una realtà (peraltro comune a tutti, alleati e nemici) capace
di stravolgere le fondamenta e le coordinate sulle quali la tradizione militare
si era sedimentata da tempo
immemorabile. La velocità artificiale (l’Aviazione,
capace in tempi strettissimi di assumere i compiti propri in precedenza della
Cavalleria, ne costituisce il simbolo) e la potenza dei nuovi materiali
costituirono il fattore destabilizzante che condusse al contrappasso di una
stasi mortifera.
Le interlocutrici del Generale sono, in larghissima misura,
la moglie e le figlie.
24 maggio 1915[1]
[…] Notizie buone. Pare che si
arriverà all’Isonzo senza forti contrasti. […] E avanti sempre!
Udine 26 maggio 1915
[…] Si sentiva tuonare il cannone di
una batteria austriaca. Incontravamo alpini e bersaglieri da tutte le parti:
magnifiche truppe piene di entusiasmo. […] Le cose finora vanno bene. Ho
trovato molto ordine e buono spirito fra le truppe ed ordine anche nelle
interminabili colonne carreggio. Tutto lascia sperare che le cose andranno
bene. Ma ci vuole tempo e pazienza perché le operazioni sono lente e difficili.
31 maggio 1915
[…] Andai stamane a visitare all’ospedale una sessantina di feriti tra
cui otto ufficiali. Avevano tutti il morale elevatissimo ed esprimevano il
desiderio di ritornare al fronte. […]Tuttociò vale ad ispirare molta fiducia,
anzi sicurezza che le cose andranno bene […].
31 maggio 1915
[…] Sissignore, sto proprio bene e
sono tranquillissimo.
3 giugno 1915
[…] mi duole che Mamà si impressioni. Pensi che molte famiglie hanno i
loro cari più esposti di noi.
8 giugno 1915
Carissimo [Raffaele], […] Io sto benissimo, non dormo molto, ma tutti mi
riconoscono lo spirito tranquillo, altrimenti guai! […] Con questo passaggio dell’Isonzo
ho un problema molto arduo per le mani, come prevedevo a Roma, per grande
difficoltà di terreno e perché le batterie austriache sono così bene defilate e
disseminate che è difficilissimo stabilirne la posizione. […] L’attacco è stato
ben studiato e preparato e speriamo, prima di notte, di rendermi padrone di
quelle posizioni il cui possesso facilita il passaggio dell’Isonzo.
Il 9 giugno 1915 il generale Cadorna
«“grida a voce spiegata che se con due corpi d’armata e tanta artiglieria non
si riesce ad aggirare e prendere il Podgora, è meglio tornare a Milano!”. […]
Cadorna “guarda accigliato la battaglia”. […] il Generale Mambretti l’ha
incaricato [il dottor Casali, medico a latere del Capo di Stato Maggiore] di
dire a Cadorna, che fino a ieri sera sperava di riuscire a prendere la Podgora
con le forze presenti, ma ora non spera più: “occorre qualche compagnia di
minatori che compia dei lavori da talpa”, e così procedere lentamente, metro
per metro, come i francesi ad Arras. Casali torna a Udine e riferisce. Cadorna
risponde che questa “è guerra antipatica, diversa da tutte le altre, e ne è
assai scontento. Dice che il valore personale è in questo modo spento e
l’entusiasmo smorzato: questa è una guerra di insidie e di piccoli e grandi
tradimenti e imboscate”»[2].
Il diaframma
fra ambiente militare e sfera privata inizia ad assottigliarsi; qualche
dettaglio inizia a trapelare anche nel dialogo con la figlia:
10 giugno 1915
[…] Le cose procedono bene, ma con difficoltà grandi: ovunque si avanza e
ci si imbatte in trincee preparate di lunga mano, reticolati, batterie ben
nascoste, mobili e difficili da identificare per poterle battere. Donde deriva
che, anche con grande superiorità di mezzi, l’avanzata è molto lenta ed è
d’uopo procede con metodo per evitare perdite inutili e scacchi parziali. È una
guerra dove l’effetto di qualunque genialità è scomparso perché l’attuazione di
qualunque idea geniale si basa sulla rapidità di manovra e questa si infrange
contro ogni buon sistema di trincee e reticolati.
L’iter di Cadorna testimonia le fasi
iniziali e meno gratificanti del processo morale e tecnico che condurrà alla
vittoria.
Disconoscere
acriticamente l’operato del Capo di Stato Maggiore e cancellarne la memoria
denotano l’incapacità, dannosissima, di assimilare le lezioni apprese.
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