DIBATTITI
La Battaglia di Vittorio
Veneto
di
Osvaldo Biribicchi
La
Battaglia di Vittorio Veneto, o terza battaglia del Piave, fu l’ultima
combattuta dal Regio Esercito Italiano nella Prima Guerra Mondiale, tra il 24
ottobre ed il 4 novembre 1918. Lo scenario politico-sociale in cui maturò lo
scontro finale tra gli eserciti italiano ed austro-ungarico era radicalmente
diverso da quello dell’anno precedente in cui il primo, dopo Caporetto, si era
ritrovato carente di armi, munizioni ed equipaggiamenti. Alla disfatta
materiale si era accompagnata anche quella, non meno importante, psicologica;
tutto sembrava perduto. Eppure, come spesso è accaduto nella storia d’Italia,
la lacerante sconfitta subita nella 12a battaglia dell’Isonzo (Caporetto)
gettò le basi per la ripresa morale di tutta la nazione. Rimosse dispute e
divisioni, il governo avviò un grande piano industriale nazionale per
riorganizzare l’esercito e salvare la patria. Le industrie belliche, che
all’inizio del conflitto erano 125, nel 1918 raggiunsero il numero di 5.700 con
1 milione e 668 mila occupati[1].
Nel fronte avversario, invece, in quell’ultimo anno di guerra la situazione era
tragica ed i segnali del crollo si erano manifestati già nel corso del 1917. In
Germania, presa nella morsa del blocco navale britannico, le masse operaie
avevano incrociato le braccia paralizzando le fabbriche. In Austria,
devastata dalla fame a causa dell’assedio dell'Intesa, la situazione politica
ed economica era addirittura peggiore.
La battaglia finale fu preceduta da due battaglie non
meno importanti: quella di Arresto (o prima battaglia del Piave) sulla linea
difensiva Monte Grappa – Montello – Mare Adriatico sviluppatasi in due periodi,
dal 10 al 26 novembre e dal 4 al 26 dicembre 1917 (le truppe del generale Josef
Krautwald tentarono senza riuscirci di sfondare il fronte) e dalla battaglia
del Solstizio (o seconda battaglia del Piave) dal 15 al 23 giugno 1918. Il
Regio Esercito, ancora una volta, riuscì prima a contenere le forze nemiche e
subito dopo, nella notte tra il 22 e il 23 giugno, a sopraffarle grazie al
decisivo e risolutivo intervento dell’artiglieria.
Il Comando
Supremo con la terza battaglia del Piave passò all’offensiva con lo scopo di dividere
la massa austriaca del Trentino da quella del Piave nel punto dello
schieramento avversario, che andava dalle Alpi dolomitiche nei pressi di Bormio
al Mare Adriatico passando per le colline venete, tatticamente più debole
ovvero nel tratto del Piave (di circa 40 Km) tra il paese di Pederobba e
l’isolotto Grave di Papadopoli. Il
piano d’attacco fu messo a punto dal colonnello Cavallero, all’epoca capo
ufficio operazioni del Comando Supremo, e concordato con il generale Caviglia,
comandante dell’8a Armata.
Le
forze in campo erano le seguenti: gli italiani schieravano 57 Divisioni, 50 di prima
linea e 7 di riserva per complessivi 912.000 uomini. Di queste, 6 Divisioni
erano alleate: 3 britanniche, 2 francesi e 1 cecoslovacca più un reggimento di
fanteria statunitense. Rilevante il numero delle bocche da fuoco con 7.700 pezzi
di artiglieria e 1.745 bombarde. La componente mobile era costituita dalla
cavalleria, dai reparti ciclisti e da quelli montati sulle autoblindo. Importante
fu anche il contributo dell’aviazione con 650 velivoli, di cui 100 alleati, e 7
dirigibili.
L'Esercito
austro-ungarico disponeva di forze superiori a quelle italiane: 63 Divisioni
(1.070.000 uomini); sua era ancora la superiorità, qualitativa e quantitativa,
nelle mitragliatrici. In particolare, nel settore scelto dagli italiani per lanciare
l’offensiva, dal Brenta a Ponte di Piave, erano schierate 23 Divisioni austro-
ungariche (18 in prima linea, 5 in seconda). Nelle retrovie erano disponibili
10 Divisioni di riserva facilmente spostabili dall’uno all’altro settore.
Complessivamente, il Comando austro-ungarico poteva opporre direttamente e
immediatamente all’offensiva italiana una massa di 33 divisioni, senza
indebolire alcun settore della fronte. Mitragliatrici, cannoncini da trincea,
bombarde in grandissima quantità costituivano l'armamento per la difesa
immediata delle opere austro-ungariche. Potenti masse di artiglierie – in
totale oltre 2.000 pezzi – pronte ad eseguire tiri di preparazione, di
sbarramento, di interdizione e di controbatteria erano addensate ai fianchi e
dietro i singoli settori della difesa.
Fra
le diverse opzioni possibili, l’operazione del Piave venne scelta dal Comando
Supremo essenzialmente per due motivi: primo perché richiedeva meno tempo ed
offriva maggiori possibilità di sorpresa; secondo, perché, a sfondamento avvenuto,
avrebbe consentito di conquistare Vittorio[2]
e realizzare lo scopo prefissato. La riuscita di questa manovra era fondata sulla
sorpresa, sulla rapidità d’azione e sulla superiorità delle forze nel punto
scelto per la rottura della fronte nemica. La battaglia fu concepita,
organizzata e condotta, infatti, con modalità diverse da quelle che avevano
contraddistinto la maggior parte delle battaglie combattute nel corso della
guerra e che l’avrebbero caratterizzata come guerra statica, di posizione.
L'idea operativa dello Stato Maggiore
austriaco, invece, a partire dall’estate 1918 era di tenere le posizioni sul
Piave il più a lungo possibile, creando una lunghissima linea difensiva che dal
Golfo di Venezia si estendeva fino al Tirolo meridionale, passando per San Donà
di Piave, Valdobiadene, Asiago ed il nord del Garda. La linea era difesa ad est
dall’esercito del Piave e ad ovest dall’esercito del Trentino che teneva la
linea di Asiago e il Trentino meridionale.
Nell’estate
del 1918 la situazione ad occidente stava cambiando, bisognava agire
vigorosamente.
Necessaria
ed indispensabile per l’attuazione di questo sforzo principale era la
conduzione di un’azione diversiva sul Grappa da parte della 4a
Armata. Per lo sviluppo dell’intera operazione fu rinforzata l’8a armata
con 2 divisioni di Arditi ed incrementate numericamente le due ali. Alla
destra, la 10a Armata, formata da due Divisioni italiane e due
inglesi, con il 232° Reggimento di fanteria americano. Alla sinistra, la 12a
Armata.
L'inizio
delle operazioni, previsto per il 10 ottobre, era stato rinviato per la mole e
la complessità della preparazione, unitamente all’incognita rappresentata dal
Piave, caratterizzato da piene che non consentivano di posizionare i ponti. L’artiglieria
fu schierata sul terreno in modo da neutralizzare quella avversaria ed accompagnare
le varie fasi dell’attacco.
L’offensiva fu sferrata all’alba del 24
ottobre. «Ebbe inizio con il bombardamento, effettuato da 1400 cannoni, delle
posizioni austriache attorno al monte Grappa»[3],
il settore tenuto dalla 4a Armata; al fuoco di preparazione
partecipò anche l’artiglieria della 6a Armata (altopiano di Asiago).
L’intervento iniziò alle ore 03.00 del 24 ottobre e terminò alle 07.15 quando
le fanterie mossero all’attacco. Malgrado l’impegno profuso, la 4a
Armata ottenne inizialmente scarsi risultati a causa dell’accanita resistenza
austriaca; tuttavia conseguì il risultato di distogliere dal settore prescelto
per lo sfondamento le divisioni di riserva austriache. Il Piave, che dal giorno
22 ottobre era in piena, stava decrescendo tanto che, nelle prime ore del 24
ottobre, unità britanniche ed italiane della 12a Armata avevano
potuto, secondo i piani prestabiliti, occupare l’isolotto Grave di Papadopoli. Tuttavia
a causa delle proibitive condizioni atmosferiche il forzamento del Piave,
stabilito inizialmente per la notte 25 ottobre, fu rinviato. All’imbrunire del
26 ottobre, i genieri, con la corrente del fiume ancora molto forte, iniziarono
i lavori per posizionare i ponti di barche e, nella notte del 27 ottobre, sotto
una pioggia battente e tra molte difficoltà, riuscirono a costruirne uno ad est
del paese di Pederobba e due davanti al Montello.
All’alba
del 28 ottobre, il fiume portò via i ponti lasciando isolate le teste di ponte.
Nonostante
la piena in corso, fu posizionato un nuovo ponte di barche a Palazzon dove il
28 ottobre il Generale Caviglia fece passare tutto il XVIII Corpo d’Armata che
puntò con decisione verso nord. Il giorno 29 ottobre, l’8a Armata di
Caviglia spezzò in due lo schieramento austroungarico e minacciò di
avvolgimento i reparti austriaci ancora aggrappati sulle colline di Conegliano.
Nel frattempo, la 4a Armata, pur non essendo riuscita a dividere le
truppe austro-ungariche della zona alpina da quelle del piano, riuscì nel
compito di logorare le riserve avversarie impedendo loro di essere lanciate
nella pianura ad arginare la breccia ormai aperta dalle truppe italiane delle
armate 8a, 10a e 12a. L’esercito austroungarico, dopo una tenace
resistenza, il 30 ottobre crollò ed iniziò a retrocedere. Alle ore 15.00 del 30
ottobre gli italiani entrarono a Vittorio.
Alla sera del 31 ottobre, mentre
l’esercito imperiale era in completa rotta, l’Alto Comando italiano diramò l’ordine
di inseguire e colpire il nemico. In quelle stesse ore a Villa Giusti del Giardino vicino
Padova iniziarono le trattative fra le Commissioni d’Armistizio del Regno
d’Italia e dell’Impero Austro-ungarico. Il 3 novembre, mentre le prime
pattuglie di cavalleria entravano a Trento e Udine ed i bersaglieri sbarcavano
a Trieste, alle ore 18.40, il generale Weber firmò l’armistizio che sarebbe
entrato in vigore a decorrere dalle ore 15.00 del 4 novembre.
L’ultima
battaglia costò all’Italia un pesante tributo di vite umane: «36.498 uomini tra
morti, feriti e dispersi»[4].
La guerra era finita. Una guerra particolarmente dura che aveva causato oltre
600.000 morti, circa 480 al giorno, e più di un milione di feriti.
Bibliografia sommaria
Colarizi Simona, Storia del Novecento Italiano – Cent’anni di
entusiasmo, di paure, di speranza,
Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2004.
Martin Gilbert, La
grande storia della Prima Guerra Mondiale, Volume secondo, Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano.
Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano
1915-1918, Mursia, Milano, 2012.
Sitografia
sommaria
https://www.comune.vittorio-veneto.tv.it/home.html
https://www.esercito.difesa.it/storia/Pagine/La-battaglia-del-solstizio.aspx
[1]
Nel corso del conflitto, l’industria degli armamenti produsse 12.000 pezzi di
artiglieria, 37.000 mitragliatrici ed oltre 70 milioni di proiettili.
L’industria meccanica solo nel 1918 produsse 20.000 automobili, 15.000 motori
d’aviazione e 6.523 aerei.
[2]
Città veneta sulle pendici delle Prealpi Trevigiane, nel 1923 al nome Vittorio fu
aggiunto “Veneto”.
[3]
Martin Gilbert, La grande storia della
Prima Guerra Mondiale, Volume secondo,
Arnoldo Mondadori Editore, 1998, Milano, p. 584.
[4]
Pieropan Gianni, Storia della Grande
Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Mursia, Milano, 2012, p. 848.
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