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lunedì 1 aprile 2019

La Calda estate del 1943. L'Armistizio


 APPROFONDIMENTI
l'8 settembre 1943 rappresenta una data
spartiacque della nostra patria,
nasce il nuovo concetto di Patria: La Patria come bene comune, 
che non può essere concepito astrattamente, ma si identifica
 con la libertà e la giustizia per tutti

Trattative tra ufficiali tedeschi ed italiani



Osvaldo Biribicchi

L’incertezza del Governo Badoglio aggrava sempre  più il quadro generale. Gli angloamericani, al fine di costringere l’Italia alla resa, intensificano i bombardamenti aerei sull’Italia  che riguardano sia le città del sud  che quelle settentrionali. Sono particolarmente colpite Napoli, Salerno e Foggia;  Roma, di cui già si è detto, e i grandi centro industriali del nord come  Bologna, Torino, Genova e soprattutto Milano. Anche città come Pisa, Civitavecchia, Terni, Ancona, Terni ed Orte sono colpite. L’offensiva aerea strategica contro l’Italia è massiccia, e contribuisce ad aggravare il peso della guerra, e ad alimentare proteste che intorno alla metà di agosto provoca una ondata di scioperi proclamati per ragioni economiche ma anche per chiedere sempre più insistentemente la fine della guerra.
La conduzione delle trattative per ottenere un’armistizio sono caotiche e mal condotte; vari personaggi, tra cui la Principessa Maria Josè prendo iniziative estemporanee che aumentano la confusione e la diffidenza degli alleati. L’iniziativa che a fine agosto porta dei risultati concreti è quella affidata al gen. Castellano, su incarico di Badoglio, che stabilisce un collegamento concreto con i responsabili angloamericani. Castellano si rileva un negoziatore mediocre (tra l’altro non conosceva minimamente la lingua inglese) e concorda un testo di armistizio che è passato alla storia come “Armistizio Corto”, un documento ambiguo ( tra l’altro non vi era alcun cenno al trattamento dei prigionieri italiani in mano alleata), approvato da Badoglio con molte riserve mentali, sperando di poterlo rinegoziare da posizioni miglior in futuro.[1] Appare, peraltro, sconcertante che nelle conversazioni con gli angloamericani Castellano, che aveva un grado di generale modesto, non sia assistito da un diplomatico esperto, come la situazione richiedeva.
Nelle ore pomeridiane del 3 settembre, sotto una tenda piantata negli aranceti nella piana di Cassibile , in Sicilia, Castellano, dopo non poche traversie conclusive, su autorizzazione di Badoglio firmava l’armistizio.
Vittorio Emanuele II e Badoglio erano ossessivamente impressionati dalla paura di cadere in mano ai tedeschi. Fecero ogni cosa per dilazionare l’annuncio cercando di strappare il più possibile agli angloamericani affinché garantissero un pronto intervento contro i principali ammassamenti di truppe tedesche, ottenendo soltanto di aumentare ulteriormente i sospetti circa le reali intenzioni italiane.
In realtà dagli anni sessanta in poi si dibatte se Badoglio di concerto con il Re non abbiamo architettato un piano volto ad attirare gli angloamericani in una trappola, con il consenso tacito dei tedeschi (almeno quelli che erano a Roma a contatto con le autorità italiane) intavolando devianti trattative armistiziali, al fine di attirare gli angloamericano in uno sbarco a nord o a sud di Roma, ed in altre operazioni ( come la operazione “Giant II”, azione di paracadutisti su Roma concordata da Castellano in sede di trattative) per respingerli e dimostrare che era impossibile sbarcare sul continente e quindi era necessario andare a trattative di pace generali.
La situazione a meta del 1943 dopo quattro anni di guerra era pesante per tutti i contendenti, soprattutto per la Gran Bretagna. La Germania occupava tutto il continente, e già nel novembre 1942 tentativi di pace erano stati tentati verso la Unione Sovietica, che per poco era riuscita a salvarsi nel 1941 dall’annientamento. Tutti guardavano alla fine della guerra con interesse e l’Italia, l’alleato più debole, tentava il grande gioco, per sopravvivere ed uscire anch’essa da una guerra perduta.[2]
Dalla firma dell’armistizio “corto”, che alla luce della tesi di Zangrandi è stringato e incompleto proprio perché poteva essere facilmente smentito, così come facilmente poteva essere sconfessato l’operato di Castellano, figura di secondo piano, tutta l’attività dei responsabili italiani è pregna di machiavellismi, di incertezze, tutti animati dalla certezza di voler porre fine alla guerra, ma incerti, indecisi, altalenanti sul come attuare questa necessità e, secondo la versione più accreditata quale sia il modo migliore per attuare il passaggio di campo abbandonando quello dell’alleanza  con la Germania, di cui erano stati, a fianco di Mussolini, corresponsabili e conviti sostenitori o, secondo la tesi di Ruggero Zangrandi come porre fine alla guerra attirando gli alleati in una trappola per costringerli poi, a disastro consumato, andare ad un tavolo di trattative di pace generale, tenendo l’Italia ancora nel campo germanico, rimanendo coerenti alla loro politica.
L’armistizio fu annunziato da Radio Algeri alle con una trasmissione delle ore 16,30 dell’8 settembre 1943. Badoglio, sconcertato in quanto tutti a Roma si aspettavano un annuncio non prima del 12 settembre, si risolse a proclamarlo con una trasmissione che l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, la progenitrice della odierna RAI) mise in onda alle 19,45.
Il grande gioco non era riuscito. Secondo Zangrandi la trappola non era scattata ed gli autori della medesima furono presi dal panico. Gli Alleati, che si presupponeva sbarcassero a ad Anzio o a Civitavecchia, invece stavano sbarcando a sud di Napoli, a Salerno.[3]
La paralisi investe progressivamente i vertici politici e militari italiani a Roma che dimostrano di essere incapaci di gestire la situazione.

All’annunzio dell’armistizio, i tedeschi diedero avvio al loro piano, già predisposto da luglio “Asche”, ovvero alla occupazione integrale dell’Italia, almeno quella centro-settentrionale, a garanzia dei confini meridionali del Reich. Il gen. Rommel comandante delle truppe tedesche in Italia diede ordine di ripiegare verso Nord, convinto che ormai l’Italia meridionale fosse perduta in virtù della reazione italiana, tanto più che gli angloamericani, ma soprattutto i britannici erano sbarcati in Calabria già il 3 settembre e stavano rapidamente avanzando verso nord.
Il gen. Kesserling, che aveva il suo quartier generale a Frascati, nell’intento di non abbandonare le sue truppe a sud di Roma non tiene conto dell’ordine di Rommel e prende tempo.
Sono due giorni importantissimi. Sempre secondo Zangrandi, fallito ormai il piano di attirare gli alleati in una trappola, non rimane al Re e a Badoglio di trovare una soluzione sul tamburo. Tramite il ten col. Giaccone, che a più riprese si reca al Quartier Generale di Kesserling a Frascati, si negozia una tregua tacita tra le forze italiane e quelle tedesche della durata di 48 ore: nessuno attacca. La tregua scadrà la mattina dell’ 11 settembre 1943.
Si da la possibilità al Re, alla Corte, al Governo ed ai responsabili italiani di lasciare Roma, mentre Kesserling guadagna tempo per riordinare le sue truppe, iniziare a disarmare quelle italiane e a contrastare le forze angloamericane che stanno sbarcando a Salerno. Per il generale tedesco è una azione ardita, che gli permette di mantenere il controllo sul territorio italiano fino a Salerno sul versante tirrenico, ed fino in Puglia, sul versante adriatico.
In un clima di grandissima confusione, inizia quella che è passata alla storia come la fuga di Pescara. I responsabili italiani lasciano Roma, senza che nel loro percorso fino a Pescara, siamo mai attaccati o molestati da truppe tedesche. Il corteo reale e governativo viaggia senza protezione di reparti armati o protezione aerea, ma nessuno lo minaccia o lo attacca, mentre nelle stesse ore la corazzata “Roma” viene affondata nelle Acque dell’Asinara e in numerosi parti d’Italia i tedeschi attaccano e disarmano reparti ed unità italiane, prova indiretta dell’accordo di Frascati, discendete da quello precedente che nessuno osa nominare.[4]
Il Re, il Governo riescono a raggiungere Pescara, dopo aver pernottato al castello di Grecchio, e si imbarcano sul “Baionetta” nella notte del 10 sull’11 settembre, per giungere nella mattinata dell’11 settembre a Brindisi, sgombra di truppe tedesche e di truppe angloamericane. Un lembo d’Italia ove approdare dopo un naufragio politico-militare che segna la storia contemporanea d’Italia; e come naufraghi sono accolti, tra stupore e meraviglia, con Badoglio che continua a mostrare tutto se stesso, lanciando alle ore 11, dopo che si era messo al sicuro dalla radio l’ordine  alle Forze Armate Italiane di attaccare il “tedesco invasore”. Un messaggio che doveva essere lanciato la sera dell’ 8 settembre, anziché quello equivoco con la frase “.. esse reagiranno ad attacchi da qualsiasi altra provenienza”, con ciò intendendo in modo non chiaro i tedeschi.
Ma al di la delle frasi, a questo annuncio non è seguito alcun ordine operativo chiaro e preciso, né tantomeno confuso. Predisposizioni di massima erano state diramate negli ultimi giorni di agosto ed ai primi di settembre, ma non seguite da alcun piano operativo. I Comandi di Armata e di Corpo d’Armata che chiedono ordini, ricevono, se le ricevono, solo risposte interlocutorie e dilatorie; negli stessi tempi rispondono alle domande sempre più pressanti dei comandi inferiori. La disgregazione delle forze italiane e iniziata e progressivamente continua nelle ore successive, che si accentua nella giornata del 9 e del 10 settembre, quando il Governo ed il Re erano in viaggio per Ortona.

Una ulteriore beffa, l’annuncio di Badoglio, per i soldati italiani, dopo quello che era successo nelle ultime  48 ore. Era iniziato per gli italiani, soli con se stessi, il momento delle scelte personali, e per la Nazione italiana la Guerra di Liberazione.


[1] Badoglio infatti si recherà a Malta il 29 settembre 1943, ma sarà fortemente deluso. Gli angloamericani non solo confermano tutte le clausole firmate, ma ne pongono della altre ancora più vincolanti. E’ il cosiddetto “Armistizio Lungo” che rimarrà in vigore fino al 10 febbraio 1947 quando il Primo Ministro De Gasperi firmerà a Parigi il Trattato di pace.
[2] Tesi sostenuta da Ruggero Zangrandi in “1943 25 luglio – 8 settembre 1943”, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1964. In quest’opera Zangrandi riporta una impressionante serie di coincidenze e fatti che sostengono la tesi dell’arco tacito tra Badoglio ed il Re e ed i tedeschi per attirare in una trappola gli angloamericani e giungere a trattative di pace. Non porta, però, la prova provata scritta, il documento fondamentale dell’accordo e questo fa si che la sua tesi ancora oggi non sia accettata. Rimangono però i fatti e le coincidenze, oltre al fatto che i fatti armistiziali se filtrati dalla tesi proposta da Zangrandi hanno una loro logica, senza sono incomprensibile, illogici ed inspiegabili
[3] Altro grande errore di Badoglio: uno sbarco a nord di Salerno non era possibile per gli angloamericani in quanto il raggio di copertura aerea, dalle basi siciliane, non andava oltre Napoli. Pertanto era impossibile pianificare uno sbarco senza la necessaria copertura aerea.
[4] Zangrandi R, “1943. 25 luglio – 8 settembre 1943”, cit.
Sulla fuga di Pescara Zangrandi offre ancora un serie di episodi a conferma dell’accordo di Frascati, ed indirettamente la prova a sostegno della sua tesi con la quale sostiene un accordo Badoglio-re e tedeschi per attirare in una trappola gli angloamericani, trappola che non è scattata, risolvendosi tutto in un gran marasma; inoltre del disappunto tedesco della incapacità degli italiani di trovare una soluzione alla guerra, motivo recondito, secondo Zangrandi di tutta la loro rabbia e violenza che mostreranno quasi subito contro tutto ciò che è italiano.

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