Cerca nel blog

venerdì 12 aprile 2019

Ferro, fuoco e vapore bollente

ARCHIVIO
Una interessante storia della
Seconda Guerra Mondiale

Eno Santecchia


La Regia Nave Bartolomeo Colleoni



Quando si riesce a togliere la sedimentazione del passato, emergono storie commoventi. Questa mia quarta storia navale inizia con una foto aerea scattata domenica 22 aprile 1934 a Venezia. In un cartiglio, in alto, campeggia l’immagine di un giovane marinaio, in basso una nave militare dallo scafo molto slanciato, sullo sfondo l’inconfondibile piazza San Marco. Tra la documentazione del reduce e naufrago di cui andremo a raccontare, conservata dall’unico nipote Guido, non manca la bella copertina a colori della “Domenica del Corriere” del 19 luglio 1940. 

A Civitanova Marche (MC) le vicende di questo marinaio sono appena ricordate da qualcuno che ha a cuore quel tipo di fatti, vicende che i giovani considerano ormai passato remoto. L’uomo Cordiano Nebbia era un giovane civitanovese (classe 1914) che sapeva leggere e scrivere. Chiamato alle armi nel Corpo Reale Equipaggi Marittimi, svolse la sua ferma di leva dal 1935 al 1937. In quel periodo compì due anni e diciannove giorni di navigazione in “tempo di pace”. 

Fu richiamato il 29 marzo 1940 e, intorno alla metà di giugno1 fu imbarcato come fuochista sull’incrociatore Bartolomeo Colleoni. Dopo soli 38 giorni dalla rovinosa dichiarazione di guerra, Cordiano si trovò nel posto e nel momento sbagliato. La nave L’incrociatore leggero “Bartolomeo Colleoni”, di 6.570 t della classe “Condottieri”, fu costruito nei cantieri Ansaldo di Genova, privilegiando l’elevata velocità piuttosto che la resistenza passiva. Entrò in servizio nel 1931. Era una nave dalla silhouette slanciata. A prua aveva un hangar per due idrovolanti ad ali ripiegabili che erano lanciati con una catapulta. Nel 1936, durante la guerra civile spagnola, sembra che il Colleoni si recò in missione a Barcellona. Poi svolse servizio nel mar Mediterraneo e, nel 1938, al largo di Shangai, dove rimase circa dieci mesi. Durante la seco 2 sfacciata leggerezza. Tanto che prima della dichiarazione di guerra nessuno si preoccupò di richiamare (concedendo il tempo necessario per rientrare) alle oltre duecento navi mercantili in navigazione o ormeggiate nei porti stranieri. La sera del 17 luglio 1940 il Colleoni salpò dal porto di Tripoli, diretto a Lero, nel mar Egeo (Dodecaneso) insieme all’incrociatore della stessa classe “Giovanni delle Bande Nere”, a bordo del quale si trovava l’ammiraglio Ferdinando Casardi3 . 

Un previsto bombardamento di Sollum, in Egitto, non fu eseguito. Era intenzione di Supermarina4 utilizzare quella forza leggera per condurre attacchi al naviglio britannico. Il radar era conosciuto, ma non entrato in servizio sulle navi italiane, la copertura aerea era spesso insufficiente, se non inesistente. I sommergibili nemici erano sempre in agguato, tanto che i ricognitori del Colleoni non furono lanciati per evitare di fermarsi a recuperarli. Le due veloci navi italiane furono avvistate, forse dai ricognitori della RAF, o, come vedremo, gli inglesi conoscevano la loro rotta e destinazione. Così il 19 luglio nel canale di Cerigotto, a circa sei miglia da Capo Spada (punta nord-ovest di Creta), s’imbatterono in una flottiglia britannica composta da quattro cacciatorpediniere della classe “Hero”, in servizio antisommergibile. Durante lo scontro, da nord, sopraggiunsero l’incrociatore australiano Sidney e il cacciatorpediniere Havock. Non ci vuole un geniale stratega per capire che le due navi della Regia Marina si trovarono in netta inferiorità. Il Colleoni fu colpito nella sala macchine da un proiettile, che causò danni anche al timone e lo immobilizzò di schianto. Divenne così facile bersaglio dei cannoni e dei siluri delle unità della Royal Navy. 

Un’esplosione colpì i depositi di munizioni prodieri facendo saltare l’intera prua, come si vede bene in una foto. I colpi di grazia furono i siluri dei cacciatorpediniere Hyperion e Ilex. Già in preda alle fiamme, la nave esplose e affondò alle 8.40 di quel tragico venerdì 19 luglio 1940. L’ammiraglio Casardi aveva avvertito la Regia Aeronautica, ma gli aerei arrivarono quand’era troppo tardi, mentre gli inglesi stavano recuperando i naufraghi italiani. Così, dopo il danno, ebbero anche la beffa: per il loro arrivo le operazioni umanitarie di salvataggio furono sospese. Morirono 121 marinai, 525 furono salvati e fatti prigionieri dai britannici. … e Cordiano? Mentre il Colleoni era un fantasma alla mercé delle bordate nemiche, numerosi furono gli episodi di eroismo e abnegazione a bordo, diverse furono le ricompense. Tra i tanti è doveroso citare quello cui, probabilmente, è riconducibile la salvezza del nostro fuochista. Filiberto Salvi, Capo Meccanico di 3ª classe di Perugia, uscì dal locale caldaie solo dopo che tutti i fuochisti si erano allontanati. Cordiano si salvò dalle esplosioni, 3 Comandante della 2ª Divisione Incrociatori leggeri. 4 Il comando supremo della Regia Marina italiana. 3 dall’incendio, con il conseguente denso fumo, e dalla fuoriuscita di vapore bollente dai condotti. La nave stava per affondare ma Cordiano restava sul ponte superiore, insieme al suo comandante. Esitava a gettarsi in mare … anche perché non sapeva nuotare. Il capitano di vascello Umberto Novaro lo esortò più volte a mettersi in salvo, ma lui non gli rispondeva. A un certo punto l’ufficiale gli ordinò di prendere una branda e gettarsi in mare: la nave, divorata dalle fiamme, stava per colare a picco. Momenti drammatici da vivere e difficili da descrivere. 

In tutti i naufragi di navi passeggeri e militari si verifica il “si salvi chi può”. Cordiano si gettò tra le onde e restò a galla, aggrappato a quel pezzo di legno, vedendo la sua nave mutilata inabissarsi. Fu soccorso e preso a bordo di una delle navi di Re Giorgio VI. Il comandante Umberto Novaro, gravemente ferito, morì dopo quattro giorni ad Alessandria d’Egitto, dov’era la principale base navale della “Mediterranean Fleet” britannica, comandata dall’ammiraglio Andrew Cunningham. Il personale della Royal Navy gli rese gli onori militari. Fu sepolto al cimitero militare italiano di El Alamein e gli fu concessa la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. La nave ammiraglia Giovanni delle Bande Nere, anziché ritornare a Tripoli, riuscì a riparare nel porto di Bengasi. I retroscena Il dott. Antonio Cimmino, vicepresidente dell’Associazione Marinai di Castellamare di Stabia, ha scritto di un particolare come se fosse di poco conto. Bisogna puntualizzare. Piero Baroni con il suo racconto “Il drammatico affondamento dell’incrociatore Colleoni. Capo Spada: un affare di tradimento”, ci aiuta. Il capitano del Genio Navale Alberto Cristofanetti5 era capo reparto macchine del Colleoni, quindi ben conosciuto dal nostro fuochista Cordiano Nebbia. L’ufficiale era buon conoscitore dell’inglese. Salvato a bordo del Sidney, riuscì a leggere un foglio con riportato il seguente ordine di operazione di quel giorno: “Si dovrà partire alle cinque del mattino, dalla baia di Suda6 , per andare contro due incrociatori italiani diretti a Lero7 ”. C’è da chiedersi se le comunicazioni in cifra italiane furono decriptate dagli inglesi o ci fu qualche spia che informò sullo spostamento e la rotta dei due incrociatori leggeri. Ci fu anche una serie di coincidenze sfavorevoli alle nostre navi. I tiri imprecisi dei cannonieri, forse per il mare mosso, la posizione controluce, la scarsa resistenza degli scafi dei due incrociatori e qualche erronea valutazione. Qualcuno aveva definito 5 Gli fu concessa la medaglia d’argento al valor militare. 6 Una baia protetta lungo la costa nordoccidentale dell’isola di Creta. 7

 La citazione fu ripresa nel volume “Gli eroi vinti” (1990) Nuova Editrice Spada scritto da Maria Giuditta Cristofanetti Boldrini, vedova del capitano. 4 per scherzo quella classe di navi: “Incrociatori di carta”; sembra fossero gli incrociatori più vecchi della Regia Marina italiana. Stanislao (classe 1916), il fratello di Cordiano, anch’esso fuochista in Marina, era imbarcato sulla nave posacavi Giasone, ed era in navigazione nello stesso periodo. Saputo della drammatica notizia della battaglia di Capo Spada, si procurò un giornale, ma, non avendo il coraggio di farlo direttamente, chiese a un commilitone di leggergli i nomi dei sopravvissuti. Scoprendo che Cordiano non era tra i deceduti, tirò un sospiro di sollievo. In India Preso prigioniero dagli inglesi fu imbarcato in Egitto e sbarcato a Bombay. Dopo circa sei mesi arriverà nel subcontinente indiano anche mio padre Nicola, preso prigioniero a Bardia (Cirenaica), anche lui vestirà la casacca con la dicitura POW (Prisoner of War) sulle spalle. Nei campi di prigionia indiani, anziché dichiararsi meccanico, suo vero mestiere da civile, Cordiano disse di essere contadino, sperando in un rancio più abbondante. Così gli fu assegnato un pezzo di terra da coltivare, dal quale ricavò verdure e ortaggi per lui e gli altri prigionieri italiani, magari della sua baracca. 

Preoccupate, la madre Rosetta e le due sorelle Desideria e Luigia si diedero da fare per cercare notizie sul familiare. A chi si rivolsero? Si indirizzarono alla famosa veggente civitanovese Pasqualina Pezzola, che disse alla madre: “Stai tranquilla, tuo figlio gode ottima salute e a breve riceverai sue notizie”. Infatti, a distanza di breve tempo ricevette una lettera con una sua foto intera, dove si vedeva che non aveva subito mutilazioni. Il richiamo ebbe termine il 17 maggio 1946. Ritornato a Civitanova Marche Cordiano trovò lavoro come operaio metalmeccanico presso l’industria Cecchetti. Verso la fine degli anni Sessanta si mise in proprio come ambulante di ciabatte. Su Internet ci sono alcune memorie di sopravvissuti della sua nave che hanno raccontato la loro esperienza bellica. Magari a suo tempo Cordiano sarebbe stato felice di sapere notizie e di rivederne qualcuno. Tuttavia molti reduci si chiusero in se stessi e non parlarono a nessuno delle loro esperienze belliche e di prigionia, per cercare di dimenticare. 

Copyright © 2018 Eno Santecchia Tutti i diritti riservati. 


Bibliografia: Boschesi B.P., Le armi i protagonisti le battaglie e gli eroismi segreti della guerra di Mussolini 1940-1943, Milano, Mondadori editore, 1984. 
Articolo intitolato “Come morì il Colleoni” comparso nella Domenica del Corriere a pag. 10 del 1953

Chi avesse notizie in merito a questa vicenda è pregato di prencere contatto con il CESVAM
email: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org

Nessun commento:

Posta un commento