di MASSIMO COLTRINARI*
Era evidente, nel 1917 la incapacità di tutti gli Eserciti coinvolti nella
Prima Guerra Mondiale di trovare delle soluzioni tattiche volte ad uscire dalla
guerra di trincea e, sul piano strategico, trovare soluzioni affinché l’offensiva sia messa in grado di
prevalere sulla difensiva e quindi, riportare la guerra in campo aperto,
cercare la manovra e la libertà d’azione per conseguire un risultato positivo.
Un cenno è necessario circa le
tre fasi della manovra di rottura.
a)
l’apertura
della breccia, venne in un primo momento affidata all’Artiglieria
b) la seconda alla
Fanteria
c) e la terza il
dilagamento e lo sfruttamento del
successo alla Cavalleria
I risultati furono, come
visto, tutti deludenti.
L’artiglieria non
riusciva a distruggere l’ostacolo passivo; la Fanteria con i propri mezzi e con
i procedimenti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con
rendimento operativo accettabile nel dedalo delle difese passive ed attive; la
Cavalleria non riusciva a dilagare per effetto della incapacità di avere mezzi
idonei.
Di fronte alle ecatombe
di fanti, ai procedimenti della Fanteria, le cui ondate successive si
accavallavano l’una sull’altra la seconda calpestando i morti della prima e si
otteneva la conquista di qualche decina di metri, assolutamente insignificanti
sul piano tattico e sul piano strategico, tutti gli Stati Maggiori degli
Eserciti coinvolti nel conflitto erano alla ricerca di una soluzione affinché
si potesse ritornare a manovrare in campo aperto, con perdite minime, e
riportare la lotta a livelli accetabbili
I Britannici trovarono
una soluzione per questo aspetto “inventadosi”
una nuova specialità della fanteria, quella “carrista”. Non vi è lo
spazio per parlare di questa invenzione, (si è già accennato alla Battaglia di
Cambrai). E’ però necessario dire che è
consequenziale il fatto che i Britannici avendo a disposizione un apparato
industriale che permettesse soluzioni di questo tipo, ovvero il ricorso allo
strumento meccanico, poterono avviare la sperimentazione di questa soluzione e
non di altre.
I Tedeschi e gli Austriaci, pur avendo anche
loro a disposizione di un apparato industriale tale che era in grado di mettere
a disposizione i “tank”, ricorsero, per libera scelta, alle “Strumtruppen”,
alle truppe d’assalto, ovvero specializzando ancora di più le unità di
fanteria.
Di queste truppe
d’assalto se ne potrebbe parlare a lungo; qui si può dire che i nostri nemici
di allora ricorsero allo strumento “umano” e non “industriale” per risolvere il problema tattico.
Il Comando Supremo Italiano non aveva scelta: non aveva
alle spalle un apparato
Industriale e le materie
prime tale da poter fare degli
esperimenti costosi quanto impossibile,
se dati esisti positivi, da trasformare su larga scala. Ammesso quindi che
erano disponibili risorse materiali tali da poter mettere in esecuzione un
piano di un carro armato, chi avrebbe poi trovato le risorse per produrlo su
larga scala?
Le soluzioni erano quindi
basate sull’impiego “uomo”, l’unica risorsa che si aveva in abbondanza.
Un primo tentativo fu la corazzatura
dell’uomo. In pratica si voleva dare più protezione al fante. Le famose corazze
“farina” discendono da questo assunto: m il fante”corazzato” o “calafato” era
poi troppo appesantito per lanciare un assalto su larga scala e conquistare
posizioni importanti. Le corazza, con gli scudi, e le pinze taglia fili non si
mostrarono all’altezza delle risposte che si attendevano. Queste armi non
risolvevano in nessuna maniera il problema tattico in essere.
Attraverso un processo
basato sulla osservazione e in virtù di “pionieri dell’idea” che ci sono sempre
nel nostro Esercito, cercarono di proporre soluzioni basate su nuove concezioni
tattiche nell’assalto.
Abbiamo quindi la formazione
di una nuova specialità della Fanteria , quella dell’Assalto”, anticipando
quanto diremo in seguito, che vide il
suo massimo fulgore nell’anno delle battaglie difensive d’arresto e quello
della offensiva finale, ovvero dal novembre-dicembre 1917 e alla vittoria del
1918.
La specialità della fanteria per questo ultimo
anno di guerra, fu quella che comunemente si definiscono “fiamme nere”, ovvero
“gli arditi”, diretta espressione della fanteria di linea, secondo la
tradizione ottocentesca, ma che inglobavano tra di loro anche gli “arditi”, le
“truppe d’assalto” di alcune specialità della fanteria, come gli Alpini , le
fiamme “verdi”, e i bersaglieri “, le fiamme “cremisi”.
Gli inizi
Queste truppe d’assalto
dovevano, secondo una elaborazione che prese le mosse nel 1916 dalle attività
primordiale del tenente Cristoforo Baseggio, un volontario di 46 anni, che
operò con quello che informalmente venne chiamata “Compagnia della Morte”, che
operò solamente con compiti di esplorazione oltre la prima linea, ma che fu
carente di due aspetti fondamentali delle truppe d’assalto, ovvero il peculiare
addestramento e le atipiche modalità di impiego, per non parlare
dell’equipaggiamento che era quello normale della fanteria di linea, e non
particolarmente studiato.
Nell’ambito della 12^
Divisione si sviluppò il concetto di “pattuglia eletta”, ovvero di specialisti
che, precedendo le ondate d’assalto, dovevano tagliare i fili dei reticolati
far saltare ogni ostacolo passivo e quindi agevolare la progressione delle ondate
sopraggiungenti di fanteria. Questa soluzione trovò l’opposizione del
Gen.Capello, comandante della 2° Armata dal quale dipendeva la 12a Divisione il quale non voleva la non
continuità tra l’azione della artiglieria e quella della fanteria, ovvero nessun
momento di arresto tra le due fasi. La proposto non fu totalmente bocciata ma
integrata. Capello con una lettera dell’11 luglio 1916 al Comando della 3^
Armata accolse in parte il concetto di “pattuglia eletta” le quali però
dovevano muovere alla testa delle ondate d’assalto rompendo le barriere che
ancora ne ostacolano l’avanzata e precedendole nella trincea avversaria.
Capello concepiva queste unità come
“speciali pattuglie composte da militari arditi” destinate alle imprese più
pericolose ed esaltanti.
Su queste intenzioni si inserisce l’azione del
gen. Francesco Saverio Grazioli il quale, dopo aver presentato un progetto
incentrato sulla idea di formare una brigata speciale composta da 2/3 di
soldati nazionali ed 1/3 da ascari o libici, con compiti di rottura, progetto
che non fu accettato, al comando della Brigata Lambro avviò autonomamente una
sperimentazione che portò alla creazione
di formazioni aventi compiti di rottura , quali teste d’ariete delle colonne
d’attacco.
Armati alla leggera, con
sole bombe a mano ed armi bianche, questi drappelli dovevano muovere per primi,
piombare risolutamente attraverso i varchi nelle trincee nemiche e fare strada
al corpo d’assalto[1].
Il problema che Grazioli
voleva risolvere era quello di andare oltre le “spallate” attraverso la
trasformazione radicale dei metodi di impiego della fanteria; arrivare a
condurre una guerra di movimento, manovrata, in terreno organizzato, come lo
era stata per tutto l’ottocento. E’ quanto in Francia si cercava di fare con
l’impiego del carro armato e in Germania con l’addestramento e l’azione delle
squadre d’assalto.
Le truppe d’assalto dovevano essere la
risultante di una selezione molto accurata sugli elementi della Fanteria di
Linea, selezionarli ulteriormente,
dotare questi reparti di capacità di condurre con propri mezzi di
combattimento, appositamente studiati, manovrando non intorno ma all’interno
delle posizioni sistemate a difesa del nemico, per creare quelle condizioni
ottimali affinché le ondate della fanteria già pronte allo scatto potessero
irrompere nella posizione con il minor enumero di ostacoli, affinché l’attacco,
con perdite minime, avesse successo e creare le condizioni per lo sfruttamento
in profondità.
Davanti alla necessità di cambiare i metodi di
attacco, che era evidente rimanevano infruttuosi ogni idea o iniziativa era
presa in considerazione. Tra le tante, di cui qui non vi è spazio,è
interessante notarne notizia di due in particolare:
-
la
disposizione che accordava premi in danaro e licenze particolari per atti di
valore e spirito di iniziativa
-
dare
un distintivo da braccio a coloro che mostravano particolari dori di ardimento
nel combattimento, in modo tale che nella compagine del battaglione si
potessero ben individuare. Sono gli “arditi”[2]
Con la concessione del
distintivo e la relativa codificazione per ottenerlo, prende consistenza la
figura dell’ardito. L’ardito è un combattente sperimentato, che più volte si è
volontariamente cimentato nelle imprese più pericolose ed al quale guardare al
momento in cui ci sia da tentarne delle altre. Rimane però un soldato tra i
suoi nella sua unità: il suo campo d’azione è la trincea e la terra di nessuno,
addestramento e equipaggiamento non sono diversiva quelli della massa della
fanteria. Rappresenta quel filone di pensiero che mira più ad elevare il
livello qualitativo del fante, che creare un nuovo combattente e quindi una
nuova specialità.
L’ “ardito”quindi non è
ancora l’uomo delle truppe d’Assalto, anche se ne rappresenta la premessa. A
testimoniare questo vi è il fatto che non furono create apposite unità
organiche nell’ambito del battaglione o della compagnia. Quindi per la nascita
delle truppe d’assalto occorre aspettare il 1917.
LA CIRCOLARE 6230 DEL MARZO 1917 E LA NASCITA DEI REPARTI
D’ASSALTO IL 5 LUGLIO 1917
Il gen. Cadorna, nel
marzo 1917 emana una circolare che ordinava ai reparti dipendenti di prendere a
modello un programma di addestramento a compiti d’assalto speciali catturato al
nemico relativo alle formazioni di unità di arditi.
Nella circolare si legge:
“ Risulta da ripetute dichiarazioni di prigionieri che presso l’esercito
nemico so stanno organizzando speciali riparti di arditi (sturmabteilung) dalla
forza di 30 uomini per ogni battaglione di fanteria formati da uomini scelti ed
arditi, con lo speciale incarico di precedere i battaglioni nell’assalto di
posizioni nemiche, di aprire varchi nei reticolati
e di sorprendere
l’avversario con violento lancio di bombe a mano. I reparti in parola vengono
addestrati in speciali corsi della durata di 3 settimane specialmente al lancio
di bombe a mano …. Ed alla distruzione di reticolati. Gli uomini appartenenti a
questi reparti godono di uno speciale trattamento del rancio e nei servizi,
avendo vitto migliore e più abbondante ed essendo dispensati da qualsiasi
servizio di guardia e di fatica. La notizia viene segnalata per il caso possa
essere presa in considerazione per le nostre truppe”.[3]
Sulla base di questa
circolare si tennero le prime
esercitazioni aventi per base i criteri tattici elencati nella circolare nel
giugno del 1917. L’attività del magg. Bassi trovò ampia conferma in queste
esercitazioni che si svolsero alla presenza del gen. Capello e di Cadorna
stesso e che portarono alla creazione
del I reparto d’Assalto in forma
ufficiale il 5 Luglio 1917.
Il quesito che nasce
intono alla nascita delle “fiamme nere” è interessante: Queste furono il frutto
dell’evoluzione del pensiero tattico italiano o si ispiravano ad un tipo di
organizzazione già attuata dal nemico?
Come al solito non esiste una risposta unica. Se da una
parte, nel vedere lo sviluppo successivo sembra proprio che peculiari autonome
forme di attuazione tattica nelle formazioni italiane, rispetto alle truppe
d’assalto tedesche, non ve ne siano; d’altro canto il processo evolutivo dei
precursori italiani e di alcuni ufficiali illuminati crearono l’humus
favorevole al germogliare dell’idea che maturò in forma ufficiale il 5 luglio
1917.
La polemica è ancora aperta, come tutto quello
che concerne le truppe speciali. Se la circolare cadorna del marzo del 1917 può
suggerire che le nostre truppe d’assalto siano la copia delle
“sturmtruppen” austro-ungariche, le
circolari attuative del giugno 1917 sono la risultante del pensiero di nostri
ufficiali tanto che si può affermate che le nostre truppe d’assalto ebbero una
fisionomia propria con caratteristiche originali tali da distinguerle dalle
unità austriache. Non per altro il Comando Supremo si premurò di salvaguardarne
la specificità mantenendo sempre nettamente distinti sotto tutti i punti di
vista queste unità dai plotoni arditi rigettando ogni forma di parificazione.
Entrambi gli Eserciti
erano alla ricerca di una soluzione al problema centrale nel 1917: quello di
riuscire a superare la guerra di logoramento ed uscire a manovrare in campo
aperto: è normale che incentrando tutto sull’Uomo, molte delle soluzioni
adottate si assomigliassero.
Per ottenere i reparti
d’assalto era necessario creare il combattente d’assalto
Per ottenere questo era
necessario una preparazione fisica del personale estremamente accurata, accanto
vi doveva essere un equivalente preparazione spirituale che doveva essere
integrata ad un addestramento individuale e di reparto molto accurato, con
metodi innovativi, condotto con larghezza di mezzi e con una interista fino ad
allora non conosciuta. Era consequenziale che l’equipaggiamento e l’armamento
non potevano non essere modificato. L’uniforme doveva lasciare la più ampia
libertà di movimento, comoda, funzionale, che non doveva assolutamente pagare
alcunché alle regole di estetica molto rigide in quel tempo.
Il combattente “ardito”
che era scelto tra i migliori del suo reparto, gratificato con riconoscimenti
particolari addestrato in modo sempre
più selettivo, sono le premesse per la soluzione ordinativa, cioè la creazione
della unità d’assalto, vera specialità dell’arma di Fanteria
I reparti d’assalto
Il trattamento
economico
La circolare 111660 R.S
del 26 giugno 1917 del Comando Supremo autorizzava il Comandi di armata a
costituire a partire dal 1 luglio unità speciali della forza di almeno una
compagnia formata esclusivamente da volontari, tratti prevalentemente dia
bersaglieri.
Il trattamento di questi
reparti fu sanzionato con la circolare 106890
che regolava il tema degli alloggiamenti, dei turni di servizio del
trattamento economico, premi distintivi da concedere. La circolare n. 21000
affrontava e regolava il tema dell’addestramento , che si imperniava su un
“istruzione generale” e su “una istruzione speciale”
Uniforme
Con la circolare 117050
R.S. Equipaggiamento armamento e composizione organica dei riparti di
assalto emanata il 21 settembre
1917 si dava regolamentazione alla
uniforme dei reparti. Si sanzionava l’adozione della giubba da bersagliere
ciclista con bavero aperto e rovesciato su cui erano applicate le “fiamme nere”
, elmetto con il fregio dell’arma di provenienza, moschetto modello 91, il
pugnale, un paio di pinze tagliafili una sacca porta bombe, maschera antigas, e
vanghetta erano in dotazione. Un equipaggiamento ed armamento snello e funzionale.
Il fez nero, proposto in alternativa
all’elmetto. Nel fez doveva essere portato il numero del reparto in carattere
romano sovrastato dalla corona reale. Gli ufficiali potevano portare il
berretto grigioverde con lo stemma degli arditi in lana nera. fu adottato con la circolare del 1 agosto 1918
“Uniforme dei reparti d’assalto” che
rappresenta il punto di arrivo di tante proposte.
La soluzione che si andava cercando per
raggiungere lo scopo fu focalizzata anche all’indomani di Caporetto, nel clima
di ricostruzione, di persuasione e ferma volontà instaurato da Armando Diaz.
Quello che si era seminato nella primavera dell’ estate del 1917 fu raccolto
con frutti abbondanti: fu inventato attraverso ipotesi e sperimentazioni un
nuovo tipo di combattente, a cui si richiedevano audacia ed iniziativa, e che
si impiega non a massa o in base a schemi preordinati ma a ragion veduta, dopo
un processo decisionale e di comando estremamente consequenziale, sapendo di
utilizzare e spendere “personale” pregiato ed altamente motivato, di difficile
sostituzione nel breve periodo.
Si cercava di rafforzare
lo spirito di corpo in ogni particolare.[4]
Questo impiego era preceduto da una
preparazione minuziosa, che includeva un accurato studio preventivo del terreno
e dell’obiettivo. Si arrivò al punto di simulare l’operazione su una replica
per quanto possibile fedele delle posizioni da attaccare, e nel contempo
coordinare i tempi con le ondate a rincalzo per affinare sempre più l’azione.
Oggi questa metodologia appare scontata. Nel
1917 era avveniristica: non si aveva la minima cura di preparare l’ azione: si
doveva andare avanti, a prescindere. Questo non perché si era ottusi, ma in
quanto risultato del retaggio ottocentesco, che le nuovi armi aveva reso
tragico e obsoleto.
Più che uomini speciali, che ha sempre una
connotazione di eroicità che depone male per una organizzazione efficiente e
realista, uomini eccellenti, frutto di selezione, secondo la meritocratica
curva di Gauss. I compiti erano particolari e difficile e quindi era normale
che questi uomini eccellenti non fossero
in linea con i canoni della disciplina in vigore nel regio esercito. Ma tutto
quello che è innovativo porta ad andare fuori dagli schemi e questo è sempre
compensato dalla validità degli Ufficiali, che sanno tenere alla mano uomini di
questa elevatura.
Non per altro dalla file degli Ufficiali delle
truppe d’assalto quali il gen. Saverio Grazioli, che può essere considerato
l’ufficiale “menager” ante litteram, il col. Ottavio Zoppi, il colonnello
Giuseppe Bassi e il ten. col Giovanni Messe, futuro Maresciallo d’Italia, il
ten. col Lorenzo Dalmazzo e tanti altri che saranno poi l’ossatura del Corpo
Ufficiali nel prosieguo della loro carriera.
Il nemico in breve conobbe l’azione dei reparti di d’assalto. Il Bollettino
n. 2372 della 2aArmata intitolato “Gli arditi e la loro tattica nel giudizio
e attraverso le impressioni degli ufficiali e della truppa nemica”, rileva
che gli Austro-ungarici avevano preso coscienza che si era di fronte ad una
nuova tattica, ad un nuovo modo di combattere fondato sulla ricerca della
sorpresa, sull’urto improvviso e
violento, sull’aggiramento, dei punti forti della difesa e su una penetrazione
in profondità diretta a bloccare i
rincalzi ed ogni tentativo di contrattacco.
Impressionate fu l’impatto psicologico
dell’uso del pugnale. L’immagine dell’ ardito ne esce con un alone di leggenda
“Un qualcosa di leggendario pare che
comincia a circolare presso il nemico questi nuovi reparti d’assalto che per
alcuni sarebbero costituiti da “alpini” per altri da “bersaglieri” e per la
maggioranza sarebbero un copro speciale di “siciliani” elemento questo che
sembra rappresentare presso il nemico l’essenza del carattere meridionale,
ardente, impulsivo, irruento. La maestria nell’uso del pugnale che gli arditi
serrano tra i denti per avere libere le mani al getto delle bombe, forse
richiama l’immagine del coltello per cui gli italiani in genere ed i
meridionali in specie sono all’estero sfavorevolmente reputati e concorre ad
ispirare di tali nostre truppe un salutare terrore”
Quindi
sotto il profilo ordinativo, il passaggio dalla fase di sperimentazione e
ricerca del “soldato ardito” con le varie procedure d’impiego ed
equipaggiamento ed armamento, fu molto breve.
Nell’ottobre
1917 le truppe d’assalto stavo per essere impiegate su larga scala, quando
sopraggiunse la ritirata al Piave.
Alla
vigilia di Caporetto presso i Corpo d’armata erano stati co
stituiti 17
reparti d’assalto . Un quadro di situazione,il 4 ottobre 1917, da l’idea che
ormai dal punto di vista ordinativo la specialità era in ascesa.
Con
Caporetto tutto viene messo in discussione; prende piede anche l’idea di
cancellare dall’ordinamento i reparti d’assalto. Sono infatti emerse delle
“leggende nere” come quella che durante la ritirata i reparti d’assalto si
siano abbondanti ad atti di saccheggio e violenze gratuite. Emergeva il
problema della disciplina, molto spinoso, che
alimentava tante dicerie. I primi a farne le spese furono proprio i
reparti d’assalto della 2a Armata al centro di troppe leggende, per i quali non
si può escludere che la decisone di scioglierli e riorganizzarli in due nuovi
battaglioni fosse anche suggerita dalla volontà di dare un chiaro segnale per
il futuro. Era però indiscusso che le prestazioni in combattimento di tali
unità erano eccellenti.
All’inizio
del 1918 si hanno la costituzione delle grandi unità d’assalto e a metà anno si trasformarono queste unità da
strumento di rottura a strumento di manovra., fino al punto di valorizzare la
connotazione di unità “leggera” per
trasformarle ed levarle in formazioni “mobili”, cosa questa che fu sperimentata
nelle ultime fasi della battaglia di Vittorio Veneto. Questa evoluzione non si
ebbe se non tra contrasti e ripensamenti. Vi era una sorta di disagio di chi
intendeva la specialità una elite. Passare ad unità organiche di livello
superiori significava annacquare gli approcci e le motivazioni dei puri della
prima ora.
La loro
eredità
Come tutte
le innovazioni che vengono introdotte sulla spinta delle necessita della
condotta della guerra, che rappresentano
un a spinta in avanti della Arma di provenienza, anche quella delle truppe
d’assalto subì questo destino. La Fanteria, che la guerra mondiale aveva mortificato,
riducendola a svolgere un compito inconcludente, a fronte di perdite
insostenibili, non poteva lasciare cadere
l’esperienza delle truppe d’assalto. Molto di loro fu sorbito dall’Arma, che
ebbe una evoluzione positiva; conseguentemente gli “arditi” furono messi quasi
in liquidazione e come tali ebbero molte ripercussioni negative. I reparti
d’assalto furono rapidamente sciolti nell’immediato dopoguerra ma tutti i suoi
elementi ritornarono nelle unità di fanteria di linea, elevandone il tasso di
efficienza. Non si vuole entrare nelle vicende del dopoguerra che non è compito
di questo convegno. Ma un dato tocca cogliere: quando una parte di un tutto
viene assorbita dal tutto per migliorarne la qualità e l’efficienza, questa
parte se ha a cuore i destini generali non deve opporre resistenze di sorta in
nome di aspetti, appunto, di parte. Così
le truppe d’assalto: riassorbiti dalla fanteria da dove provenivano,
come la carriera dei suoi Ufficiali sta a dimostrare, si devono vedere come un
esperimento di guerra ottimamente riuscito sotto il profilo umano, del valore
del soldato, della abnegazione, della dedizione che rimane una die fiori
all’occhiello delle nostre Forze Armate e un fatto quanto mai da non
dimenticare nella storia della nostra Grande Guerra. Ma se visto come strumento
per superare lo stallo tattico, per superare la superiorità della difesa
sull’offesa, rimane uno sperimentazione che lascia perplessi, soprattutto se
messa in relazione alla paritetica sperimentazione britannica dell’uso dei
carri armati.
* Direttore del Centro Studi sul Valor Militare
(direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
[1]
Grazioli F.S., Progetto di attacco a fondo con una brigata in formazione
speciale, Aprile 1916.
[2] Il
distintivo viene accordato con la circolare n. 15810 del 15 agosto 1916 2 Norme
per la concessione del distintivo per militari arditi. Il distintivo per
“militari arditi” è costituito dalle cifre reali ricamate in argento
sormontanti il nodo Savoia e andava portato sulla manica destra della giubba, a
metà distanza dal gomito e la spalla. Il suo simbolismo, che chiama in causa la
casa regnate ne sottolinea l’alto significato a cui corrispondono norme precise
per la sua concessione. Il distinti vo viene concesso a seguito di particolari
azioni, tutte pericolose e speciali: quello che conta è la volontarietà, la
presenza di arditezza e di coraggio che il protagonista deve aver mostrato.
[3] Promemoria del reparto
Operazioni del Comando Supremo alla segretaria del capo di Stato maggiore
dell’esercito in data 23 gennaio 1917 reparti d’assalto nell’esercito
austro-ungarico
[4] Un
esempio può essere fatto. Si riporta la nascita del grido e del movimento a cui
si sarebbe presto accompagnato. “L’ A Noi” fu infatti prima di ogni altro
reparto, il grido di guerra del XXVII. Si era nel febbraio 1918: in quei giorni
il Maggiore ( che in realtà era il maggiore Luigi Freguglia, comandante del
XXVII Reparto d’Assalto, cui l’esotico “Urrah” allora in uso nelle grida,
scottava le labbra e provocava un senso mal celato di ripugnanza, stava
ricercando coi suoi ufficiali un motto con cui lo si potesse sostituire. “Non
sappiamo che farcene di questo internazionale “urrah!”. Vogliamo un motto
italiano; qualcosa che racchiuda nel breve giro di uno o due parole il nostro
programma di vita”. Fu un gran frugare… la vittoria spettò tuttavia Fruguglia.
“ A Noi.. vi piace? Non è questo il nostro momento? A chi sarà sempre riservata
la gloria e la gioia di osare l’impossibile? A Noi. Acclamazioni entusiastiche
ed urla a far cadere il soffitto: A Noi!… A Noi!…. A Noi!… E canti e bottiglie,
alla mensa, a decretare un trionfo. L’indomani stesso, al comando al “presentatarm” gli Arditi gridarono per la
prima volta il nuovissimo grido. Effetto sorprendente . Messii sulla via
dell’innovazioni, gli Arditi non si fermarono lì. Il capitano Anchise Pomponi
ebbe la felice idea di sostituire al vecchio “presentatarm” col moschetto il gesto
suggestivo del pugnale che si leva balenando nel pugno serrato . La prova
d’insieme della Compagnia Monte Piana entusiasmò. Freguglia inoltra senz’altro
regolare domanda di autorizzazione al Comando del XXVII Carpo d’Armata. La
risposta non si fece attendere: lo “A Ni!” ed il “presentatarm ardito” ebbero
così il riconoscimento ufficiale. Le notizie sono tratte da C.A. Muggio, in
XXVII Battaglione d’Assalto, Milano. Ed. Carnaro, 1937 a pagina 100-101.
Dal Comando di corpo
d’armata la proposta sarebbe arrivata al comando d ‘armata e da qui ai vertici
del Regio Esercito mentre nel frattempo questa modalità di rendere gli onori si
sarebbe diffusa per imitazione, da un reparto all’altro, come suggerisce la
stessa fonte. Nell’aprile il reparto si spostava a Salzano Veneto affiancandoci
per poco al XIII ed all’VIII. Qui l’entusiasmo e la bellezza degli Arditi di
Freguglia operarono il contagio.
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