UNA FINESTRA SUL MONDO
Di Alessio Pecce
Le prime forme
terroristiche risalgono all’anno mille in Medio Oriente con la “Setta degli
Hashishiyyn” (in arabo fumatori di hashish). La setta dei fumatori di hashish è
un gruppo organizzato, temuto da tutti per l’aggressività dei propri componenti[1]. I
figli più piccoli studiano molteplici discipline, ma la più importante è
l’obbedienza al capo, la dedizione del corpo e della mente al suo volere e
soprattutto il sacrificio della vita a favore dell’azione suicida: la morte
avvenuta durante l’attacco violento è considerata un atto d’onore, mentre
tornare vivi da essa è al contrario un disonore[2].
La parola “terrorismo” viene per la prima volta alla luce nel 1795, nell’Oxford English Dictionary, per
descrivere gli abusi del potere rivoluzionario in Francia. Tra il XIX e il XX secolo,
tale terminologia prende in considerazione due differenti modus operandi,
inerenti sia alle azioni degli Stati, sia ai gruppi socio-politici organizzati:
il primo riguarda l’uso del terrore da parte del Governo contro la popolazione
per il consolidamento della leadership; per ciò che concerne la seconda
accezione, il terrorismo è visto come l’utilizzo della violenza da parte di
gruppi più o meno organizzati[3].
Agli inizi del XX secolo la parola “terrorismo” assume una connotazione
tecnica, intesa come azione violenta da parte di organizzazioni clandestine
all’interno di un contesto isolato. A tal proposito Jenkins lo definisce come
l’uso della forza, inserendo due elementi come l’azione e l’obiettivo da
raggiungere[4].
Tra il XX e il XXI
secolo, avviene il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, nel quale
la velocità comunicativa e la riproducibilità divengono elementi
imprescindibili. Il terrorismo jihadista viene pervaso così dalla cosiddetta “weaponizzazione mediale”: il messaggio
mediatico, quale veicolo di trasmissione del terrore, è parte integrante delle
armi da utilizzare[5].
La weaponizzazione rappresenta quindi
l’evoluzione dell’arma digitale, in grado di penetrare nelle menti della
pubblica opinione, come mai accaduto in precedenza. Per tale motivo si utilizza
il termine “mediale”, differentemente dall’usuale “mediatico” usato spesso in
relazione al passivismo delle audiences.
Ragion per cui la weaponizzazione mediale
ha provocato nel jihadismo una vera e propria “mediamorfosi” del terrorismo di
matrice jihadista: ciò significa che la comunicazione non rappresenta più una
modalità operativa, ma è parte integrante del conflitto stesso. Indi per cui il
terrorismo è sinonimo di comunicazione, il tutto sotto lo sguardo di un mondo
sempre più globalizzato e cyber interconnesso[6].
La nascita dello Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante (i territori dello
Sham), racchiusi tra la Siria e l’Iraq sunnita, oggi noto come Stato Islamico
dell’Iraq e della Siria (ISIS), è databile al giugno 2014 attraverso
l’autoproclamazione del califfo Abu Bakr al-Baghdadi, mediante un discorso in
cui richiama i musulmani all’unione, in favore della battaglia per la difesa
della Ummah. Le forze del califfato provengono da una branca
dell’organizzazione terroristica al-Quaeda, con a capo l’emiro Abu Mussab
al-Zarqawi, presso il quale al-Baghdadi ha prestato servizio fino al 2004, anno
in cui al-Zarqawi è stato arrestato. L’ISIS, o Daesh, ne ha acquisito la
violenza, soprattutto nei confronti della comunità sciita, ma l’intento
principale è quello di proclamare il califfato islamico, attraverso i media,
frutto di un piano strategico-politico e in cui la simbologia non è da
sottovalutare[7].
L’autoproclamazione è avvenuta attraverso un meccanismo di marketing, o meglio re-branding
(reimmettere sul mercato un prodotto o un’entità commerciale con nome diverso),
coadiuvata dal consolidamento della leadership funzionale ad una governance
orientata al modello statuale[8]. A
tal proposito il Daesh si struttura in una logica amministrativa, attraverso
l'inserimento di norme e istituzioni volte ad eliminare dai territori tutti gli
oppositori e quindi le comunità nemiche come sciiti, curdi, cristiani, yazidi,
oltre ad altre minoranze. Il tutto è
finalizzato alla stabilizzazione di norme e ideali condivisi dall'intera
comunità, sotto il controllo operativo del da'wa, al-hisha e al-Ta'lim:
il primo diffonde il Corano, cercando di far rispettare il più possibile la
legge islamica, con l'obiettivo di convertire gli infedeli; il secondo
rappresenta la polizia religiosa che si occupa di diffondere valori consoni
all'islam; mentre al-Ta'lim si concentra nell'insegnamento del Corano
all'interno delle scuole. È bene ricordare infine come in questi territori è
richiesto alla popolazione il pagamento di una tassa per l'utilizzo dei servizi
essenziali, sintomo di come il Daesh abbia incarnato il senso per lo Stato[9].
In virtù di ciò, tale complessità governativa impone all’IS il ricorso a
strumenti simbolici in grado di raccogliere l’interesse globale e favorire
l’interesse negli individui, tali da indurli al sacrificio della propria vita
in nome del califfato. Il Daesh aumenta il consenso tra i soggetti, incrementando
anche la propria presenza nelle città europee, grazie alle strategie di
marketing adoperate, evento mai accaduto nell’ambito terroristico. L’eventuale
attentato rivendicato costituisce dunque un obiettivo strategicamente dato, in
cui l’ideologia di base è messa in evidenza dal valore simbolico[10].
Lo Stato Islamico sente il bisogno impellente di rappresentare e quindi
difendere l’Islam, giustificando al contempo le azioni barbare commesse e continuando
a spettacolarizzare il terrore, mediante la “cultura terroristica” destinata soprattutto ai digital natives[11]
ed i mobile born[12].
Fino a qualche tempo fa era impensabile accostare il brand ad una
organizzazione terroristica, eppure il mondo globalizzato impone una
marca/logo, affinché si possa essere visibili alla società: ragion per cui l’IS
è rappresentato da una bandiera di colore nero (simbolo della battaglia), al
cui interno è inserita la shahada (rappresenta
il primo pilastro dell’Islam) in cui si dichiara Maometto come unico profeta[13].
Dal processo di propaganda jihadista si evolve un processo di familiarizzazione
all’interno dello Stato Islamico, in cui la “narrazione celebrata” della
famiglia e l’educazione dei più piccoli svolge un ruolo di primaria importanza.
Tutto questo è rivolto soprattutto ai foreign
fighters, ai quali viene offerta una terra pronta ad ospitarli e ad
accudirli, non prima di averli corteggiati a lungo tramite i social networks,
attraverso i quali vengono visualizzate le gesta militari degli appartenenti al
Daesh[14].
I foreign fighters, vale a dire i
combattenti stranieri, sono quei cittadini europei di fede islamica che sono
tornati nel loro paese paese d’origine a combattere nelle zone di conflitto del
Medio Oriente e del Nord Africa. La possibilità/rischio di un loro rientro in
Europa, per questo definiti anche “i rientrati”, comprometterebbe la sicurezza
dello Stato, vulnerabile ad un eventuale attacco terroristico di matrice
religiosa[15].
A tal proposito il fenomeno sempre più impellente relativo al loro rientro in
Europa ha spinto gli Stati membri a realizzare un intervento legislativo
urgente, partendo dagli obblighi internazionali vigenti previsti dalla
risoluzione 2178. Quest’ultima si basa su tre componenti fondamentali: il
contrasto all’estremismo e alla radicalizzazione, l’inserimento di misure
preventive atte a controllare i soggetti sospettati di terrorismo e
l’approvazione di fattispecie incriminatrici ad atti non ancora ritenuti
meritevoli di tutela penale[16].
Nei giorni successivi all’attacco terroristico alla redazione del giornale
Charlie Hebdo, il decreto antiterrorismo presentato d’urgenza dal Ministro
dell’Interno Angelino Alfano è divenuto legge il 15 aprile 2015. Le norme
principali sono costituite dall’introduzione di un nuovo reato penale, punibile
con la reclusione da cinque a otto anni, per colui che coordina e finanzia i
viaggi meta di attentati terroristici; i foreign fighters sono condannati con
la reclusione da cinque a otto anni, mentre la pena va da cinque a dieci anni
per coloro che si sono addestrati per finalità terroristica. L’approvazione di
tale legge permette non solo di sorvegliare i potenziali terroristi, ma include
anche la possibilità al questore di ritirare loro il passaporto, impedendone
così l’espatrio. Inoltre vi è l’accrescimento della pena per la pianificazione
delle azioni terroristiche condotte tramite l’utilizzo del web, il quale è
sotto il rigido controllo della polizia postale che al contempo crea delle black list. Nel codice penale sono
inserite due contravvenzioni facenti riferimento al possesso illegale di
materiale esplosivo e relative sostanze chimiche utilizzate a scopo bellico,
così come viene punita la mancata segnalazione delle stesse alle autorità
competenti[17].
È bene ricordare come già nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, la
legislazione italiana abbia riformulato alcuni interventi legislativi, partendo
appunto dalle principali disposizioni del codice penale inneggianti il
contrasto del fenomeno terroristico compresi fra il 270-bis e il 270-sexies[18].
Nella fattispecie l’articolo 270-bis punisce
il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale[19].
Dopo le modifiche effettuate dalle legge 438 del 2001, l’articolo 270-bis sancisce con la pena da cinque a
dieci anni chiunque organizza, promuove, costituisce e finanzia associazioni
che hanno finalità terroristiche, così come la sola partecipazione
all’associazione è punita con una pena da cinque a dieci anni. Inoltre è bene ricordare
che, il codice penale penale italiano, al momento dell’introduzione
dell’articolo 270-bis non conteneva
alcuna definizione di terrorismo, introdotta in seguito all’articolo 270-sexies con il decreto legge 155 del
2005, nonostante la punibilità dell’associazione per fini terroristici[20].
Il fenomeno dei foreign fighters
assume rilevanza soprattutto nel quadro dell’Unione Europea, poiché in grado di
generare insicurezza e paura nei confronti della popolazione europea e al
contempo risulta particolarmente complesso da prevenire. A partire dal 2013, la
questione dei f.f. è inserita
costantemente tra i punti cruciali da discutere innanzi la Commissione del
Consiglio dell’UE, del Parlamento e del Consiglio europeo e le varie proposte
si basano sostanzialmente su quattro elementi: inquadramento giuridico del
fenomeno dei combattenti stranieri destinati in Siria ed Iraq; aspetti
cautelativi che impediscano a questi soggetti di partire; monitoraggio dei loro
spostamenti e repressione di eventuali azioni terroristiche; cooperazione con
gli altri Stati. In seguito, come accennato poc’anzi, dopo gli attentati di
Parigi del 2015, i vari Ministri degli affari interni e della Giustizia hanno
attuato la Dichiarazione comune di Riga inerente la lotta al terrorismo, nella
quale viene richiamato il fenomeno dei f.f
e le relative misure di contrasto. Ragion per cui al Consiglio europeo del 25 e
26 giugno 2015 è stata adottata l’agenda europea per la sicurezza, in cui sono
presenti varie misure fondamentali: la lotta al terrorismo e conseguente
modifica della decisione quadro; la cooperazione tra le varie forze di polizia
e giudiziaria europee volte a contrastare i finanziamenti illeciti a favore
delle organizzazioni terroristiche; l’incremento degli strumenti di lotta alla criminalità
organizzata; il perfezionamento di Europol attraverso la formazione di un
centro anti-terrorismo europeo di supporto all’agenzia[21].
Il principale canale di
reclutamento è il web, attraverso cui lo Stato Islamico adopera notevoli
tecniche comunicative, ma soprattutto multicanale rappresentato da video, forum
e blog. Inoltre, considerando il target composto da giovani, i reclutatori,
attraverso i canali social Facebook e Twitter, promettono loro un futuro
caratterizzato dalla “serenità economica”[22].
A tal proposito, i
nuovi conflitti che oggi oppongono gli Stati occidentali al terrorismo
jihadista hanno determinato la progressiva sostituzione di queste forme di
reclutamento su base ideologico-religiosa, in luogo di quello tradizionalmente
basato sul riconoscimento di lauti compensi economici. La figura del “Lone
Wolf”, richiamata più avanti, rappresenta il punto finale di questa evoluzione,
posto che in taluni casi gli attacchi compiuti sono ideati, finanziati e
realizzati dagli stessi esecutori senza alcun coordinamento con le centrali
operative di comando dei terroristi.
Tutto ciò è parte
integrante delle cosiddette “guerre
asimmetriche”, in cui prendono parte diverse tipologie di attori:
volontari, contractors, lupi solitari, foreign fighters e mercenari. L’articolo
47 del I Protocollo addizionale descrive il mercenario come quel soggetto
che: 1) appositamente reclutato combatte
un conflitto armato; 2) prende parte in maniera diretta alle ostilità; 3) trae
benefici economici dalla presa diretta del conflitto; 4) non è residente nel
territorio controllato da una parte del conflitto, né cittadino di una parte
del conflitto; 5) non è stato inviato da uno Stato non parte del conflitto,
quale membro delle Forze Armate; 6) non appartiene alle Forze Armate di una
parte del conflitto. Nel 1989 si è
conclusa la Convenzione contro il reclutamento, l’addestramento e il
finanziamento dei mercenari, entrata in vigore nel 2001. A ciò fanno seguito
due elementi relativi al rovesciamento di un governo o alla destabilizzazione
degli organi costituzionali, motivato essenzialmente dal significativo guadagno
privato e spinto dalla promessa di un indennizzo materiale. Recentemente
l’impiego dei mercenari è avvenuto soprattutto in Nigeria, dove impegnati come
addestratori e consulenti hanno preso parte in maniera attiva alle ostilità
contro l’organizzazione terroristica di Boko Haram. La figura maggiormente
accostata al mercenario è quella del contractor
appartenente a gruppi militari privati e disposti a vendere i propri servizi di
sicurezza agli Stati da utilizzare durante un conflitto armato. Sono chiamati
anche Private Military Companies
(PMC) e intervengono militarmente sia in modo “attivo” che “passivo”: possono
porsi al comando di truppe durante le ostilità oppure offrire delle conoscenze
direttamente in combattimento. Le loro competenze sono richieste da Stati e
gruppi militari con capacità operative limitate, in situazioni di gravi crisi[23].
Secondo l’articolo 43 del I Protocollo addizionale possono essere considerati
combattenti legittimi solo se sono inquadrati sotto un comando responsabile e
rispettano il Diritto Internazionale Umanitario. Tuttavia i consiglieri
militari e gli istruttori non possono essere considerati dei mercenari, poiché
non prendono direttamente parte alle ostilità[24].
Infine, ma non per ordine di importanza, ci sono i “Lupi solitari”,
considerando anche i recenti attacchi terroristici, ultimo quello di Nizza
durante la cerimonia nazionale. Il Lone
wolf agisce individualmente per
mezzo di azioni spontanee, senza obbedire a degli ordini e appartenere ad una
determinata cellula terroristica. Questa tipologia di terrorista “fai da te”
utilizza la rete per addestrarsi, indottrinarsi e procurarsi un supporto
logistico, ragion per cui non necessitano di pregresse conoscenze
strategico-militari e hanno il vantaggio di godere dell’effetto sorpresa.
L’inclinazione dei loro attacchi e quella dei “soft targets”, poiché possono
colpire con qualsiasi arma, anche legalmente detenuta, come ad esempio
coltelli, pistole e fucili. I lupi solitari sono considerati potenzialmente più
pericolosi delle classiche organizzazioni terroristiche[25].
Riferimenti
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Alessio Pecce
(alessio-p89@libero.it)
Dottore
magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale.
Specialista nella progettazione, gestione, valutazione e ricerca per conto di
istituzioni politiche e sociali, organizzazioni economiche, imprese ed enti
internazionali.
[1] Per
approfondire si veda: H. Lung, La setta degli assassini, tecniche e segreti,
Edizioni Mediterranee, 2011.
[2] L.
Bauccio, L’accertamento del fatto reato
di terrorismo internazionale, Milano, 2005, p. 14.
[3] C. M.
Polidori, Il terrorismo internazionale negli
ordinamenti giuridici dei paesi occidentali e i relativi strumenti di
cooperazione giudiziaria e di polizia, Edizioni CEMISS, Roma, 2006, p. 13.
[4] B.
Jenkins, Terrorismo internazionale:
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[5] A. Antinori,
Weaponizzazione mediale. Dal terrorismo
internazionale alla digitalizzazione del neoterrorismo, in G. Marotta, Profili di criminologia e comunicazione,
Milano, 2014, pp. 169-198.
[6] A.
Antinori, La “mediamorfosi” del
terrorismo jihadista tra iconoclastia e stato sociale, Federalismi.it,
Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma, 25 settembre
2015, pp. 4-5.
[7] L.
Vidino, L’Italia e il terrorismo in casa:
che fare?, Edizioni Epoké, Novi Ligure, 2015, p.13.
[8] A.
Antinori, op. cit., p. 6.
[9] E. C.
Del Re, Il senso di Da’is per lo stato,
Limes rivista italiana di geopolitica, 11/15, p. 84.
[10] A.
Antinori, op. cit., p. 7.
[11] J. Palfrey – U. Gasser, Born digital: Understanding the First
Generation of Digital Natives, New York, 2010, pp. 1-400.
[12] P. Holland, The Rise of The Mobile-Born, in techcrunch.com,
08/11/2013.
[13] A.
Antinori, Shahada e suicide-bombing.
Fenomenologia del terrorismo suicida, Roma, 2007, pp. 1-126.
[14] A.
Erelle, Nella testa di una jihadista,
Milano, 2015, pp. 1-272.
[15] L. Panella,
Sulla revoca della cittadinanza degli
Stati per combattere il fenomeno dei foreign fighters, Federalismi.it,
Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Messina, 25 settembre
2015, pp. 8-9.
[16] A.
Cavaliere, Considerazioni critiche intorno
al d.l. antiterrorimo n. 7 del 18 febbraio 2015, in Diritto penale contemporaneo, 31 marzo 2015.
[17] Per
approfondire si veda
www.internazionale.it/notizie/2015/04/15/legge-antiterrorismo.
[18] F.
Battaglia, L’attività legislativa
italiana di recepimento degli obblighi internazionali in materia di lotta al
terrorismo internazionale e combattenti stranieri, Federalismi.it, Rivista
di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma, 25 settembre 2015, p.
4.
[19] M.
Sossai, La prevenzione del terrorismo nel
diritto internazionale, Giappichelli editore, Torino, 2012, p. 224.
[20] F,
Battaglia, op. cit., p. 5.
[21] G.G
Nucera, Considerazioni sulle misure
adottate dall’Unione europea in materia di combattenti terroristi stranieri,
Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma,
25 settembre 2015, pp. 2-4.
[22] Per
approfondire si veda
www.ilsole24.com/art/mondo/2015-11-22/ecco-come-isis-recluta-giovani-internet-trasformarli-terroristi.
[23] P.
Orizio, Mercenari, contractors e foreign
fighters protagonisti degli odierni conflitti, visionabile presso www.analisidifesa.it/2015/08/mercenari-contractor-e-foreign-fighters-protagonisti-dei-conflitti-odierni/,
25 agosto 2015.
[24] N.
Colacino, Elementi di Diritto
internazionale umanitario e disciplina dell’uso della forza, Roma, 31
maggio.
[25] P.
Orizio, op. cit.
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