APPROFONDIMENTI
Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
Come ben
descritto da Norman Stone nel suo “La
grande Europa 1878-1919” (Ed. Laterza, 1986), nel paragrafo relativo all’Italia
(255), il Paese presentava già nell’ 800 una fragilità strutturale determinata
dalla disomogeneità tra le sue parti, non solo economica bensì anche culturale.
La crescita
economica avvenuta dopo gli anni ’80 dell’Ottocento non aveva risolto il
conflitto.
La
dissoluzione del liberismo classico Cavouriano, ammirato tanto da Gladstone,
aveva nella realtà dato il via a tentativi di creare nuovi equilibri, che si
erano risolti nel Mezzogiorno in quelle che Stone
definisce come la nascita di “consorterie”
di “galantuomini”, che avevano
sostituito progressivamente i vecchi “notabili”
locali.
Nel Nord con
l’industrializzazione si erano affacciate le varie correnti socialiste,
massimaliste rivoluzionarie e minimaliste democratiche, in perenne conflitto
tra loro, mentre nel Centro Italia rimaneva una situazione mista per aree.
La grande
Depressione nello spazzare le relazioni economiche e sociali precedenti ebbe
due effetti opposti, permise la nascita di nuove forme nelle aree industriali
del Nord ma al contempo creò illusioni, chimere e incertezze nel Meridione,
permettendo la scalata di una nuova classe affaristica parassitaria di “galantuomini”, detta anche dei “ministeriali”.
Vi fu quella
che Stone definisce come “la conquista del Nord da parte del Sud”, in cui occorreva contemperare le
richieste assistenziali con le riforme economiche a favore dell’incipiente
industrializzazione, il risultato fu un progressivo sgretolarsi del liberalismo
Cavouriano mediante figure quali il Depetris
e il Crispi.
Lo svilirsi progressivo del parlamentarismo introdusse l’idea del
corporativismo (Toniolo) quale
sistema alternativo, da cui il successivo “Stato
corporativo” di Mussolini.
Con Giolitti vi è un’abile intrecciarsi di
alterne alleanze tra parti opposte che permettono un ulteriore crescita
economica, fino a che corruzione, disaffezione, spinte radicali e politica
internazionale fanno sì che vi sia il colpo di mano dell’entrata in guerra
dell’Italia, contro la maggioranza parlamentare.
La guerra
evidenzia i conflitti interni al Paese, il distacco tra classi superiori e
intellettuali con la base contadina e operaia che subisce il patriottismo, un
distacco evidenziato dal duro trattamento che le truppe al fronte ricevono
dalle gerarchie militari superiori, sospettose e diffidenti sulla fedeltà dei
propri soldati.
Anche il
disinteresse di Roma per tutta la guerra sul destino dei circa 600.000
prigionieri italiani in mano austriaca, fino alla morte per denutrizione,
accusati di volontaria consegna in mano al nemico, come l’accusa di tradimento
lanciata da Cadorna sulle nostre unità al momento degli eventi di Caporetto,
dimostrano questa diffidenza e distacco.
Come l’accoglienza
riservata al ritorno dei prigionieri, con internamento in campi italiani e
interrogatori da parte di apposite commissioni, ne evidenziano sospetti e
mancata coesione.
Nel
dopoguerra il rientro di masse di soldati nella vita civile e la difficoltà del
reinserimento, creano conflitti sociali aggravati dalla mancata attuazione
della riforma agraria, già promessa sul Piave ai nostri contadini – soldati.
Si
manifestata chiaramente la frattura interna alla Nazione tra classi, il biennio
rosso aggrava con le sue agitazioni paura, conflitti e rancori, la reazione è
il fascismo; nel quale non prevale solo e tanto l’aspetto repressivo e
violento, bensì anche e soprattutto un carattere mistico e comunitario, che diviene
erede, con i suoi simboli presi dagli “Arditi” del 1918, del cameratismo
comunitario e giovanile delle trincee.
Un carattere
“organico e religioso”, come lo definisce Mosse,
che crea consenso, d’altronde il totalitarismo ha una tradizione che risale
alla Rivoluzione Francese, alla “volontà generale” di Rousseau, in cui il “popolo” depositario si vede incarnare nei
tratti mistici di Robespierre, leader e
custode.
Questo
comporta l’eliminazione della distinzione tra vita privata e pubblica,
coinvolgendo funzionalmente le masse che
vengono educate al nuovo culto.
Presentandosi
quale “Terza via “ tra “capitalismo” e “marxismo” unifica, anziché
contrapporre, prolungando l’unitarietà dello sforzo bellico nel periodo successivo
alla fine della guerra e introducendo, in tal modo, le masse finora escluse dal
senso nazionale nello spirito della “Nuova Italia”.
La società
nella Grande Guerra diventa funzionale, marcatamente utilitaristica, perdendo
molto del contenuto morale (Stone),
il movimento fascista nel recuperare i valori borghesi ante-guerra, vi aggiunge
l’esperienza bellica maturata da tutte le classi sociali, cercando di fonderle
in un unico corpo.
Le classi
inferiori sembrano partecipare alla vita politica senza tuttavia parteciparvi
effettivamente, si aspira a creare l’uomo “nuovo”, ossia il nuovo cittadino,
partecipe e non passivo, ardito e non semplice fante, un cameratismo non ancora
burocratizzato.
Nell’elevazione
a mito, quale giustificazione, della morte in massa si crearono i riti
celebrativi per una comunione degli spiriti, nell’identificazione sia con il
sacrificio religioso, ovvero il martirio, che con l’eroismo classico dell’eroe
pagano, in cui la “Comunità Nazionale” e i singoli reduci e familiari possano
identificarsi.
La
comunicazione di massa, nel sublimare il sacrificio, lo rende dinamico e
permanente, elemento del vissuto quotidiano, di cui rendere merito ed esserne
orgoglioso, circostanze che porta ad accettare con rassegnazione ma anche
orgoglio la morte e il dolore, oltre che accettabile la violenza e la brutalità
in essa insita.
Vi è la
necessità di rifondare la Nazione, abbattere quello in cui non ci si riconosce
più, superato dalla grandiosità e dalla violenza degli avvenimenti, le nuove
“verità eterne” vengono assimilate con il ripetere interminabile e la suggestione
dei riti, si crea in tal modo una perenne estasi nietzscheana senza limiti
apparenti.
I successi
conseguiti inizialmente e la possibilità di mettere l’accento sugli aspetti
idealisti da sovrapporre a quelli economici, fa sì che vi sia un richiamo interclasse,
fondato su una mistica patriottica ma al contempo dinamica e rivoluzionaria.
Il nemico
“borghese” è il vecchio sfruttatore, privo di dinamismo, distinguendo fra
borghesia industriale e finanziaria, così che gli ideali borghesi vengono
recuperati secondo nuove visioni che permettono l’integrazione delle masse
contadine e operaie, solo a rivoluzione avvenuta vi sarebbe stata tolleranza e
compassione.
Sebbene
rivoluzionario e proteso al nuovo dinamismo tecnologico, vengono recuperati ed
integrati in esso i valori borghesi pre-guerra (Rabinbach) con i valori popolari in una nuova sintesi, dove non
mancano la valorizzazione estetica, propria degli aspetti più intellettuali.
I fattori
culturali vengono quindi a fondersi con i fattori sociali ed economici, in una
ricerca di trasformazione in sintesi con i vecchi valori, secondo il concetto
fascista di “uomo nuovo”.
L’individualismo,
secondo il cameratismo delle trincee, può essere ammesso solo se uniti
preventivamente in una comunità tesa a scopi comuni, la realizzazione del sé
può quindi avvenire solo entro la collettività, questo non implica una
conflittualità tra collettività e individualismo, bensì uno stretto
interscambio.
Principi e
valori che emergono in tutti i movimenti allo stato nascente (Alberoni), ma che vengono delusi una
volta giunti al potere e trasformati in classe dirigente, una inevitabile
trasformazione ciclica che si ripete inesorabile nella storia, anche nel nuovo
millennio.
Nell’integrare
politicamente le masse, si va alla ricerca di nuove forme di partecipazione
popolare, ma nasce anche la necessità di rinnovare periodicamente il movimento,
dando nuovi obiettivi e pertanto nuovo slancio alle giovani generazioni, che si
affacciano alla politica e ad un movimento progressivamente ingessato dalla
gestione del potere.
Mito e
interessi coincidono, i successi economici rafforzano il movimento trasformato
in regime, ma permettono allo stesso tempo, attraverso gli ideali
combattentistici e nazionali, di dare nuovi status ad ampie fette della
popolazione, indipendentemente dagli aspetti puramente economici/salariali,
circostanza che è stata recuperata in altri termini nei nuovi movimenti di
inizio millennio.
L’interclassismo
che lo anima ne costituisce una forte base che si appoggia sul nazionalismo,
fornendo una identità ed una fede che dà orgoglio all’individuo nella massa,
una necessità ancor maggiore in un forte momento di crisi, che segue alle sofferenze
di una guerra vinta ma anche spiritualmente mancata nelle aspirazioni
perseguite.
Il conflitto
non è solo tra blocchi contrapposti, ma anche all’interno dei blocchi stessi,
situazione ripetutasi al termine della Guerra Fredda, quando Luttwak osservò esservi un clima di
spietata concorrenza, anche all’interno dell’Unione Europea, tanto da potere
leggere l’interpretazione restrittiva del Trattato di Maastricht come un
conflitto interno all’Europa, tra un nocciolo duro e l’altra parte dell’Europa.
Un’Italia
ricca e vittoriosa ma anche male amministrata, non in grado di discutere le
condizioni del Trattato di pace alla pari con gli altri alleati e di difendere, quindi, la propria
autonomia geo-economica e tecnologica, in mancanza di una propria dottrina
internazionale e della chiarezza sui punti di forza ma anche di debolezza (Incisa di Camerana).
D’altronde
si rischia la sensazione di accerchiamento che già provò la Germania
guglielmina alla vigilia della Grande Guerra, ma che provò anche l’Italia di
Vittorio Veneto alla fine della Grande Guerra nelle trattative svoltesi a
Parigi nel 1919 (Pawly).
Dedicato a mia madre
Mattiuzzo Clementina Rita nata sul Piave, vicino al Montello, nel marzo 1918 e
suo padre Mattiuzzo Raimondo che, quale artigliere, combatté sul Piave.
BIBLIOGRAFIA
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Stone
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Mack
Smith D., Storia d’Italia dal 1861 al 1969, 3 voll., Laterza, 1979;
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Mosse
G. L., L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, 1982;
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Petacco
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Incisa
di Camerana L., La vittoria dell’Italia nella terza Guerra Mondiale, Laterza,
1996;
·
Romano
S., Lo scambio ineguale, Laterza, 1995;
·
Pawly
R., Guglielmo II e la potenza militare tedesca, Osprey, 2018.
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