La metabolizzazione della violenza nella cultura occidentale
Ten cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Vi è nella
cultura europea una forte matrice di
violenza che sembra riecheggiare quanto attualmente viviamo sia nell’attuale
conflitto nell’Est Europa che nel mondo mussulmano, vi è nella realtà un
rispecchiarsi di due mondi e culture nel quale quello che appare estraneo non è
in effetti che il riflesso e la metabolizzazione della nostra storia culturale.
Nella Francia della metà del
Cinquecento vi è un ribollire di violenza tra predicatori cattolici e
predicatori riformati, la violenza della folla che appare informe come un’idra
dalle mille teste risulta ad una più attenta analisi indirizzata verso bersagli
precisi e fondata su tradizioni che la legittimano (Rude, Tilly, Le Roy Ladurie).
Si è teso a
delimitare la violenza a motivi economico-finanziari, dalle carestie al
fiscalismo, dimenticando gli aspetti religiosi delle lotte tra cattolici e
riformati, venendo ad assimilare queste ad una rivolta dei ceti popolari verso
le classi superiori, i motivi sociali non possono tuttavia assorbire
interamente le problematiche nate per esempio dalle violenze nei mestieri
artigiani.
Resta la necessità riconosciuta
collettivamente di una difesa della vera dottrina e della confutazione di
quella falsa, vi è inoltre un’ulteriore motivo dato dalla necessità della
purificazione quale termine alla degradazione portata dagli infedeli la quale
risulta conduttrice della collera divina.
A questi
elementi se ne aggiunge uno propriamente politico, la sostituzione della folla all’inazione
dei magistrati dando corso alla volontà legislativa inattuata (Thompson), sebbene difficilmente le
autorità potessero legittimare una tale condotta, come del resto gli stessi
predicatori indirettamente riconoscevano, insistendo sempre nella richiesta di
azioni da parte delle autorità, tanto che neppure nella teoria della resistenza
protestante si richiama il diritto dei singoli alla disobbedienza violenta, le
folle nella Francia del Cinquecento indistintamente tendono a impersonare tanto
i ruoli del clero che dei magistrati.
La presenza
nella folla di pubblici ufficiali o membri del clero ne legittimano di per sé
l’azione, ma anche in loro assenza l’ambiguità di alcuni predicatori, che nel
vuoto del potere giudiziario o politico che si creano talvolta nelle comunità
tendono a legittimare ex-post l’azione violenta, distinguendo tra motivi
sociali ed economici, come rivolte contadine o proteste di giornalieri, sempre
rinnegate e violenze iconoclaste considerate quale espressioni di una possibile
volontà divina, dove erano le “occasioni”
a scatenare la violenza distinguendo tra città e campagne.
In queste ultime i conflitti
socio-economici risultavano più evidenti, ma anche il chiaro riferimento ai
repertori della Bibbia e della liturgia della giustizia popolare tendeva a
legittimarne l’azione, acqua e fuoco ne costituivano la base, come il processo
di disumanizzazione dove i nemici diventavano gli “appestati” o i “diavoli”.
In queste
violenze collettive un primo piano lo ebbero gruppi di “enfants” comprendenti maschi adolescenti ma anche bambini di dieci
o dodici anni, di giovani si parla in quasi tutti i disordini dell’epoca dai
Paesi Bassi alla Francia e la violenza è tanta da indurre perfino esponenti di
famiglie famose a muoversi con prudenza, come nel caso degli adolescenti di Sens e
Provins dove giovani cattolici
lapidarono e bruciarono dei protestanti.
La massa comunque non si muoveva mai casualmente bensì su organizzazioni preesistenti che
potevano essere le confraternite o le società giovanili per i cattolici, le
unità della milizia o le corporazioni per cattolici e protestanti, che
seguivano rituali ed occasioni precise non collegate direttamente alla violenza
della sommossa, la quale era tanto più violenta in quanto collegata a precisi
valori fondamentali della comunità che ne venivano a definirne l’identità.
La
connessione tra conflitti religiosi e sociali con il conseguente accrescersi
della violenza emerge ancora più chiaramente nell’Inghilterra del XVII secolo,
durante il periodo che precedette la guerra civile del Lungo Parlamento, un
rapido accrescersi della popolazione urbana creò forti preoccupazioni quando
andò ad inserirsi nelle lotte politico-religiose e nell’elezione del Parlamento,
tanto da fare affermare ad Hooker che
“i grandi movimenti dello spirito”
possono diventare molto pericolosi se incontrano uomini pronti al tumulto e
alla rissa, ancor più se come nel periodo 1620-1650 della storia Inglese vi fu
un forte malessere economico attribuito alla cattiva amministrazione,
all’istituzione dei monopoli e ad altri espedienti fiscali per fare cassa.
L’insubordinazione
sociale era anche frutto di una profonda tradizione popolare anticlericale e di
irreligiosità che affondava le sue radici nell’eresia di John Wiclif e dei Lollardi, una
sorta di scetticismo materialistico popolare (Dickens), ma altre forme di ribellione religiosa si manifestarono
attraverso i Mariani, gli Anabattisti e i Puritani, una iconoclastia popolare
contro l’intera istituzione ecclesiastica.
Osservava a
riguardo John Selden “Se un uomo afferma
di aver preso le armi per qualsiasi ragione che non sia la religione, è
possibile fargliele deporre usando la ragione, ma se è per la religione,
qualunque cosa tu dica , non ti crederà”, molti predicatori indicavano nel
popolo “La voce del Regno di Cristo”
indicando al pubblico disprezzo il clero e anche talvolta identificando nei
ricchi e potenti l’Anticristo.
La chiamata alle armi del popolo da
parte del Parlamento, anche se incerta e dubbiosa, timorosa di effetti
imprevisti, legittimava ulteriormente il ricorso alla violenza degli artigiani,
dei contadini e di tutti gli strati più umili del popolo, lo sfaldarsi della
censura e del controllo reale favorirono ulteriormente i richiami alla rivolta
dei predicatori, che nella guerra dei trenta anni in corso sul continente
vedevano l’indizio di un approssimarsi della morte del vecchio ordine e
l’inizio di un giudizio universale, in cui i poveri e la gente comune avrebbero
collaborato nell’avvento del Regno di Cristo, secondo una visione
millenaristica.
Predicatori
quali Thomas Scott tra il 1620 e il
1630, Stephen Marshall tra il 1640 e
il 1650, indicavano nella “vos populi”
la necessità di una ribellione contro nobili, magistrati, cavalieri e gentry in
generale in quanto ribelli e traditori contro Dio, fino ad affermare attraverso
Christopher Feake essere la monarchia
e l’aristocrazia “nemici di Cristo”, sorsero innumerevoli sette e la mancanza
di un controllo ecclesiastico sul pensiero si rese evidente, con il tentativo
di sostituire i tribunali ecclesiastici mediante un sistema disciplinare
presbiteriano, con inevitabili forti reazioni di ostilità.
Le
trasformazioni economiche tra il XVII e il XVIII secolo, l’esplodere della
popolazione, accrebbero la mobilità sociale con il conseguente crescere
dell’inurbamento e del vagabondaggio, la città diventava un rifugio economico
come le foreste nei secoli precedenti, una massa di manovra disponibile
fondamentalmente apolitica e areligiosa, pronta a schierarsi con chiunque le
fornisse dei favori.
Accanto ad essa vi erano i membri
delle sette protestanti anch’essi liberi ma diversi, organizzati in un mutuo
soccorso senza dovere dipendere da parroci e signorotti, concentrati nelle
città si sentivano gli eletti del Signore, in un mondo di senza Dio e
Anticristo fondavano la propria esistenza unicamente sulle leggi tratte dalla
Bibbia.
Fuori dai centri urbani cottages e abusivi vivevano nelle
foreste, nei terreni incolti e sulle terre comuni, verso di essi vi è una certa
simpatia quali ribelli alle leggi delle classi superiori, come osservato nelle
ballate popolari del tempo (Firth),
ma erano gli artigiani e i commercianti girovaghi di fiera in fiera che
favorivano la diffusione delle idee più radicali (Everitt).
Tutti questi
elementi che vivevano lontano dal controllo ecclesiale o regio e feudale erano
estremamente ricettivi alle idee religiose più radicali o ad un primitivismo
naturalista (Thirsk), le terre in cui
vissero furono anche quelle dove vi furono le maggiori rivolte contadine nei
primi anni del XVII secolo (Everitt),
il Weald, le foreste del Northamptonshire, il distretto del Wiltshire, Ely,
l’isola di Axholme, le brughiere del Cumberland furono tutte aree di
ribellione.
Walzer osserva
che proprio il venire meno di un controllo esterno e la libertà che esso
comporta fa sorgere la necessità di un forte controllo, che dia forma all’uomo
nuovo e ad una disciplina collettiva base di una nuova società, a questa
esigenza rispondono i Quaccheri e i Puritani, ma anche nelle epoche successive
di grandi tumulti e scollamenti sociali i giacobini e i bolscevichi.
Abitanti
della foresta, artigiani e operai itineranti, girovaghi, ambulanti, vagabondi,
disoccupati non costituivano solo la massa delle rivolte e delle idee radicali,
ma anche il serbatoio a cui attingere non solo per nuove industrie, bensì anche
per gli eserciti, gli equipaggi delle navi e le colonizzazioni per le Terre del
Nuovo Mondo, dove acquisire un pezzo di terra era la promozione sociale.
Al contempo vi era la necessità da
parte delle autorità di controllare e chiudere le taverne senza licenza, in cui
facilmente gli artigiani erranti potevano trasformarsi in predicatori e se
trovavano l’ambiente favorevole auto-proclamarsi nuovi Messia, creando rivolte,
tumulti ma anche facendosi mantenere dai loro discepoli come nel caso di Mary Gagbury e William Franklin, ne è a
riguardo dimostrazione il Vagrancy Act del
1656 diretto contro “tutti i girovaghi”.
Come nella
società stuartiana vi è sotto lo strato superficiale di ordine una matrice di
violenza, che affonda le sue radici nell’idea messianica di una giustizia e
felicità ultima su questa terra, ma anche una risposta tanto al collettivismo
spinto di una promessa di welfare assoluto quanto all’individualismo più
eccessivo, così la violenza che attualmente ci pare estranea non risulta che
essere lo specchio di una parte dell’essere della nostra cultura su cui è nata
la società industriale e post-industriale, un riflesso dell’occidente sul medio
oriente, una sua trasposizione.
Davanti alle attuali incertezze e spaesamenti al ripiegarsi
degli adulti vi è un esplodere di rabbia dei giovani, “L’età delle rivolte è un’epoca di ribellismo spontaneo, che ha preso il
posto delle precedenti forme di protesta, organizzate e inquadrate da sindacati
, partiti e quant’altro” (M. Giro,
Presbitocrazia : i giovani senza potere, 189, in Lines, 2/2017), dalla
Francia nel 2005, alla Grecia nel 2008, all’Inghilterra e ai Paesi Arabi nel
2011, agli U.S.A. nel 2014 ,2015 e 2021 per non dire delle più famose, senza
trascurare India, Spagna, Pakistan, Sud-America, Africa e attualmente il Sri Lanka
la ribellione continua ad essere parte attiva del paesaggio politico e
culturale attuale come nei secoli passati.
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