Il blog è espressione del Centro Studi sul Valore Militare - Ce.S.Va.M.- istituito il 25 settembre 2014 dal Consiglio Nazionale dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valore Militare.Lo scopo del CEsVAM è quello di promuovere studi sul Valore Militare.E' anche la continuazione on line della Rivista "Quaderni" del Nastro Azzurro. Il Blog è curato dal Direttore del CEsVAN, Gen. Dott. Massimo Coltrinari (direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
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sabato 31 luglio 2021
venerdì 30 luglio 2021
Copertina
QUADERNI ON LINE
Anno LXXXII, Supplemento on line, VII 2021, n. 67
giovedì 29 luglio 2021
Editoriale. Continuare ad essere volterriani
Il Presidente Nazionale ha ritenuto opportuno fare un cenno, seppur breve e sintetico, al fatto che alcuni consiglieri nazionali abbiamo tranciato con parole decise, nella discussione del Bilancio, il Cesvam, chiedendo di sopprimerlo. Alcuni componenti hanno anche avanzato la proposta, che è allo studio, di adottare come Motto del CESVAM le trancianti parole utilizzate, di cui sopra. Altri come spunto per una tesi di Master di approfondimento su come oggi è lo stato dell'Associazionismo Militare, il suo essere e la sua funzione, e sui risvolti di un militarismo che si ispira a modi e orientamenti del secolo passato.
Noi abbiamo in sommo grado recepito uno dei cardini del pensiero di Voltaire, ed è bene specificare che costui è stato un filosofo di fine settecento che aveva in somma considerazione il rispetto dell'opinione e del pensiero altrui. Questo nella condizione che tale opinione e tale pensiero fosse emendato dalle miserie della vita umana, scevro di ogni impurità, e sopratutto motivato in ogni suoi dettaglio. Nel caso che fosse inficiato di tutto questo, tale opinione e tale pensiero, nella nostra interpretazione di essere volterriani ispirati alla Ragione ed ai Lumi, ci consiglia di rifugiarci nel silenzio e sopratutto nella indifferenza, per un rispetto della dignità umana, che ha le sue debolezze. Aperti ad ogni indicazione, critica, sollecito e suggerimento, ma fermi nel respingere qualsiasi cosa che ci trascini nella palude delle debolezze umane.
Il Presidente Nazionale, fra l'altro ha fatto notare che nel 2020 e nel 2021, mentre per la pandemia tutto il mondo dell'Istituto, ad eccezione di Antonio Daniele che è riuscito a far giungere il Periodico a tutti i soci, si è fermato, il CESVAM non solo ha continuato a svolgere la sua attività, ma ha potenziato i suoi interventi. Gestione di tre master post universitari, con il corollario di sostegno economici-finanziario all'Istituto, pubblicazione di 6 numeri della rivista universitaria di terza fascia QUADERNI, aggiornamento "ad horas" del Sito del Nastro Azzurro, aggiornamento ed implementazione della Piattaforma CESVAM, Edizione giornaliera della rivista Quaderni on line, pubblicazione mensile di INFOCESVAM, bollettino informativo sulle attività progettuale, pubblicazione di otto volumi ognuno di oltre 250 pagine come da pianificazione 2020 e 2021(la Collana I Libri del Nastro Azzurro, ha superato i quaranta titoli), e l'aggiornamento decadale dei blog storici e geografici a sosteno delle attività di ricerca.
Ma tutto questo non è significativo ed ha una valenza di contorno rispetto a quello che noi riteniamo essenziale: la realizzazione di tutto questo è frutto di rispetto reciproco, spirito di sacrifico, dedizione, espressione dei valori in cui crediamo e soprattutto di amicizia senza riserve, alcune delle quali datano da oltre cinquanta, quaranta e trenta anni. Potremo anche cancellarlo e sopprimerlo, non per altro come già più volte annunciato ed anche detto e spiegato in Consiglio Nazionale che sono pronte tutte le carte e le procedure per chiudere il CESVAM in due settimane, azzerando ogni cosa a cominciare dagli aspetti economico-finanziari, ma le belle cose realizzate, i bei momenti trascorsi insieme, l'amicizia ed il cameratismo esistente, l'allegria e la serenità che ci hanno dato le cose realizzate, il sorriso di tante persone che ci seguono e ci stimano, tutto questo rimane e non potrà mai essere cancellato. Potremo cambiare, ma, come è già successo, troveremo altri luoghi e ripartiremo.
Per chiudere, però, è bene ribadire che gli oltre cento componenti il CESVAM e tutti gli amici gravitanti su di esso non hanno nessuna intenzione di smettere, ma credono che sia il caso, a cerchi concentrici, come quelli creati del sasso lanciato nell'acqua limpida, di continuare ed allargare sempre più questo modo di interpretare la vita collettiva e comunitaria, che è il nostro modo di diffondere nella società in tutte le sue componenti il retaggio della eletta schiera dei nostri Padri, Decorati al Valore Militare, in quel solco volterriano che abbiamo indicato.
(massimo coltrinari)
mercoledì 28 luglio 2021
Funerali di Francesco Baracca III Parte
ARCHIVIO
martedì 27 luglio 2021
FUnerali di Francesco Baracca II Parte
lunedì 26 luglio 2021
Funerali di Francesco Baraccata I parte
domenica 25 luglio 2021
Quesiti sulla morte del Maggiore Francesco Baracca
Maria Luisa Suprani Querzoli
Quesiti sulla morte del Maggiore Francesco Baracca.
Il
mistero continua tuttora ad avvolgere le dinamiche che determinarono la
scomparsa del Maggiore il 19 giugno 1918 durante l’infuriare della battaglia
sul Montello. Sarà interessante soffermarsi ed analizzare alcuni punti per
diradare, nella misura in cui ciò è possibile, le incertezze alla base dei
quesiti rimasti irrisolti.
a.
Il presupposto. «[T]utti gli autori danno per scontato che il
corpo di Baracca sia stato sbalzato fuori dalla carcassa dello SPAD a causa
della violenza dell’urto. Questo però potrebbe non essere affatto vero. Nel
caso del sergente Nava infatti, è noto che le cose non sono andate in quel
modo. Il suo cadavere si presentava discosto dai resti del proprio aereo perché
gli Arditi del XXVII Reparto d’Assalto lo avevano spostato»[1]. Si può
ipotizzare, non in assenza di argomentazioni, che siano stati gli
Austroungarici a liberare il corpo del Maggiore Baracca dalle cinture: ciò
potrebbe trovare conferma nella dichiarazione dell’identità del nemico
abbattuto sul Bollettino di Guerra austroungarico del 20 giugno 1918, diffuso immediatamente
dalla stampa locale[2].
b.
La
versione italiana (morte per fuoco
nemico da terra), giustificatissima sul piano bellico e politico data la
criticità del momento, dal punto di vista storico mostra fragilità evidenti: le
testimonianze dell’Osservatore austroungarico a cui è stata attribuito
l’abbattimento del velivolo del Maggiore (integrate con le testimonianze raccolte
da Olindo Bitetti e non più riprese dagli anni Venti) presentano infatti
elementi degni di interesse.
c.
L’ipotesi del suicidio. Ferruccio Ranza fu il primo che,
comprensibilmente vinto dall’emozione di fronte al ritrovamento del corpo del
Comandante, palesò le intenzioni manifestate a suo tempo da quest’ultimo in
caso di abbattimento. Ne diede notizia Garinei sul «Secolo» del 26 – 27 giugno
1918 riportando le parole dello stesso Ranza. Dal «Secolo», l’ipotesi rimbalzò su un importante
giornale straniero[3]
e anche su alcuni quotidiani italiani di provincia prima ancora che i funerali
avessero avuto luogo, tanto da suscitare il dolore e lo sdegno di un lontano
parente del Maggiore che si attivò per confutare l’ipotesi ingloriosa[4].
Molto probabilmente, le parole a caldo pronunciate dal componente della
Squadriglia e le dimensioni della ferita permisero il delinearsi dell’ipotesi
del suicidio. In occasione del Cinquantesimo, il Generale Ranza rilasciò
un’intervista – che è stata rimossa recentemente dalla rete – in cui indica il
punto esatto della ferita presente sul capo del Maggiore[5].
d.
La ferita. È
opportuno soffermarsi sulle dimensioni della ferita più che sull’ipotesi del
suicidio. Può essere effettivamente stato l’Osservatore austroungarico a
sparare.
Il 25 giugno 1918 il «Corriere Mercantile»
scrive: «Gli aviatori Osnaghi [sic] e Ranza della sua squadriglia, con il quale
si trovava il collega Raffaele Garinei, hanno trovato i resti di un apparecchio
italiano bruciacchiato tra la terza e la seconda strada del Montello. Fra i
rottami era il corpo del glorioso cacciatore del cielo, che aveva abbattuto 34
aeroplani nemici. Dall’esame medico è risultato che ha alla tempia una piccola
ferita di pistola, che si giudica la prima causa della morte. Così Baracca avrebbe
tenuto fede alla sua parola tante volte espressa, di uccidersi cioè piuttosto
che cadere nelle mani del nemico».
e.
L’arma. Chi
propende verso la tesi del suicidio sostiene che la pistola sia un calibro 6.35[6]. Rimane
il dubbio sulla compatibilità dell’arma ipotizzata con quella trovata accanto
al corpo del Maggiore. Su questa pistola estranea
è possibile formulare un’ipotesi circa una non improbabile sottrazione
(seguita da sostituzione) della pistola piccola (Mauser 6.35) che era appannaggio degli Ufficiali (e che quindi
poteva essere in possesso di Baracca) da parte di uno dei soldati
austroungarici che liberò il corpo dalle cinture[7]. Risulta
chiaro che dalla pistola trovata accanto al corpo il colpo non partì. Agli
inizi, comunque, si insistette su ferita procurata da proiettile di piccolo
calibro.
f.
La relazione medica. È opportuno soffermarsi sulla relazione
ufficiale del Medico, contestualizzandola. È importante premettere che il
dottor La Corte, medico che compì una semplice ricognizione del corpo e non
l’esame autoptico di prassi, intratteneva rapporti cordiali con il Maggiore
Baracca[8]. Non è
improbabile che, per indicazioni ricevute e per solidarietà personale, il
dottor La Corte abbia optato per una rapida ricognizione, senza soffermarsi specificatamente
sugli elementi capaci di avvalorare, seppur indirettamente, l’ipotesi del
suicidio. Risulta a tal proposito del massimo interesse l’esame ufficioso di un
altro medico, precedente la ricognizione ufficiale, che forse ha contribuito
alla ricognizione non così esaustiva:
«Il dottor Malaspina [medico legale, avvertito dal fratello, Ufficiale
degli Arditi] raggiunse allora quello che definisce l’obitorio di Fossalunga, dove la macchina di Garinei, Osnago e Ranza
avrebbe effettuato una sosta prima di arrivare a Quinto. Qui i presenti,
esaminando il corpo dell’eroe caduto, si rendono conto che Baracca si è
effettivamente suicidato [il colpo è partito sì da vicino ma non dalla pistola
del Maggiore]. Nel caricatore della sua pistola [potrebbe non essere la sua]
mancherebbe un colpo e sul caschetto di cuoio sarebbe visibile il segno di uno
sparo esploso a bruciapelo all’altezza della tempia destra [il caschetto,
invece, sembra essere proprio il suo. Solo il caschetto, di cui sono andate
disperse le tracce, costituisce l’elemento probante]. È interessante notare
però che, qualche ora più tardi, a Quinto viene insediata una commissione che
provvede ufficialmente a riconoscere
i resti di Baracca. I suoi membri certificano
che egli è morto a causa delle ustioni e di un colpo di arma da fuoco di
piccolo calibro [del calibro non si fa cenno nel verbale ma la natura della
ferita è tale da escludere l’impiego di calibri di entità maggiore] subito
nell’orbita dell’occhio destro. Una palla in fronte, sparata da un anonimo
fantaccino, scriveranno poi i suoi biografi …»[9].
[1]
S.
Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco
Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, Treviso: Editrice
Storica (pubblicazione a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano – Comitato di Treviso), 2012.
[2] Il quotidiano è stato donato alla
Famiglia Baracca da Maria Battistella. La risposta di Paolina Baracca, madre
dell’Eroe, a Battistella, in fotocopia, datata 15 giugno 1923 è conservata in
Archivio Ufficio Storico Aeronautica Militare, fondo MOVM, busta 4, fascicolo Baracca.
[3]
Prove Baracca was slain – Italians Dispose of
Theory of Suicide of Famous Aviators, «New York Times», 2 luglio 1918.
[4]
«Gazzetta
del Popolo» - cfr. E. Iezzi, Francesco
Baracca. Luci e ombre di un grande Italiano, Lugo: Walberti, 2008, p. 190 -
«Il Resto del Carlino», 28 giugno 1918 – cfr. ivi, nota 8, p. 192; «Corriere
Mercantile», 25 giugno 1918 in S.Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di
un eroe italiano, cit., p. 201.
[5] Nell’impossibilità di rivedere la
preziosa testimonianza, scomparsa di recente dalla rete, se ne riporta una
sintesi: «In quel punto [indicato da Ranza] era presente un “foro” che poteva
essere quello d’entrata di un proiettile di piccolo calibro rimasto poi
all’interno del cranio» (ivi, p. 76).
[6] Cfr. ivi,
p. 199.
[7]
Cfr. M.L.
Suprani Querzoli, La Grande Guerra di
Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp. 258 – 260.
[8]
Cfr.
biglietto augurale del dott. La Corte a Francesco Baracca in Biblioteca ‘Trisi’
Lugo, fondo Baracca, Corrispondenza:
faldone I, fascicolo I, documento 18.
[9]
S.Gambarotto,
R. Callegari, G. Piccolo, Francesco
Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, cit., p. 199.
sabato 24 luglio 2021
Dizionario minimo della Guerra di Liberazione. 1945. il "Piceno"
DIBATTITI
Progetto 2016/1
Gruppo di Combattimento “Piceno”
Nasce
dai reparti della divisone “Piceno” stanziata in Puglia, nella zona tra
Francavilla Fontana Villa Castelli Oria
e Grottaglie, inserita nel IX Corpo d’Armata. Era al comando del generale
Emanuele Beraudo di Pralormo, poi il gen. Enzo Vagni. Vicecomandante il gen.
Enrico Mattioli e come capo di SM il col. Ludovico Malavasi. Fu costituito il
10 ottobre 1944 per trasformazione sulla base dei reparti della Divsione
“Piceno”. Inquadrava il 235° e il 236° Reggimento fanteria, il 152° Reggimento
artiglieria, il CLII battaglione misto genio, due sezioni di Carabinieri Reali,
ed i servizi divisionali (amministrazione, sussistenza, sanitario, automobilistico,
munizioni, carburanti ecc.).
Mentre era stato avviato il programma di
addestramento arrivò l’ordine per il “Piceno” di mettere a disposizione, tranne
i Comandi, dei Carabinieri tutti i reparti dipendenti per servizi di ordine
pubblico per la durata di circa tre mesi. A fine novembre 1944 giunse un nuovo
ordine di mettere a disposizione per esigenze di ordine pubblico 2500 uomini
divisi in 5 scaglioni. A fine dicembre il Gruppo fu incaricato di mettere a
disposizione delle forze alleate 1400 uomini destinati alle unità salmieriste.
Il Gruppo fu quindi orientato ad un impiego non operativo, ma sostanzialmente
logistico fino a quando nel gennaio del 1945 gli fu affidato il compito
dell’addestramento dei complementi. Il Gruppo avrebbe avuto la denominazione di
Comando divisione “Piceno”, Centro addestramento complementi per forze italiane
di combattimento. L’ordinamento fi completamente riordinato e si ebbe un
Comando Centro, un reggimento raccolta e smistamento complementi, un reggimento
complementi di fanteria, un reggimento complementi misto, scuole di
addestramento. Per i restanti mesi il Centro assolse la sua funzione, fornendo
ai Gruppi in linea personale motivato e preparato. Il Centro era dislocato a Bracciano e Cesano
di Roma in caserme ed aree addestrative che ancora oggi sono destinare agli usi
e finalità assolta nel 1945 dal “Piceno”.
venerdì 23 luglio 2021
I Luoghi della memoria coscienza dell'Europa.
SEGNALAZIONI LIBRARIE
Progetto
Dizionario Minimo della Guerra di Liberazione
Progetto Dizinario minimo della Guerra di Liberazione. Glossario. Il volume qui indicato è stato fonte per individuare i Campi di concentramento aperti in Germania che hanno visto la vicenda degli Internati Militari Italiani. Il IV Fronte della Guerra di Liberazione
giovedì 22 luglio 2021
CADORNA E L'iNIZIO DELLA GRANDE GUERRA
DIBATTITI
Maria Luisa Suprani Querzoli
Un doloroso crescendo – Le lettere
famigliari del Generale Cadorna (maggio
– giugno 1915)
In un
periodo storico come quello contemporaneo, teso a cancellare le memorie del
passato senza preoccuparsi prima di averle adeguatamente rielaborate, varrà la
pena riflettere sulla figura del Capo di Stato Maggiore, Generale Luigi
Cadorna. Egli, sotto più aspetti, può essere considerato il custode della
tradizione militare italiana e nelle sue lettere indirizzate alla famiglia si
può riscontrare l’ampliarsi della consapevolezza collettiva di fronte a sfide
mai prima considerate.
Nemmeno la divinazione napoleonica
sarebbe potuta accorrere in soccorso in un frangente così critico: non si
trattava infatti di intuire tempestivamente le strategie avversarie bensì di
rapportarsi con una realtà (peraltro comune a tutti, alleati e nemici) capace
di stravolgere le fondamenta e le coordinate sulle quali la tradizione militare
si era sedimentata da tempo
immemorabile. La velocità artificiale (l’Aviazione,
capace in tempi strettissimi di assumere i compiti propri in precedenza della
Cavalleria, ne costituisce il simbolo) e la potenza dei nuovi materiali
costituirono il fattore destabilizzante che condusse al contrappasso di una
stasi mortifera.
Le interlocutrici del Generale sono, in larghissima misura,
la moglie e le figlie.
24 maggio 1915[1]
[…] Notizie buone. Pare che si
arriverà all’Isonzo senza forti contrasti. […] E avanti sempre!
Udine 26 maggio 1915
[…] Si sentiva tuonare il cannone di
una batteria austriaca. Incontravamo alpini e bersaglieri da tutte le parti:
magnifiche truppe piene di entusiasmo. […] Le cose finora vanno bene. Ho
trovato molto ordine e buono spirito fra le truppe ed ordine anche nelle
interminabili colonne carreggio. Tutto lascia sperare che le cose andranno
bene. Ma ci vuole tempo e pazienza perché le operazioni sono lente e difficili.
31 maggio 1915
[…] Andai stamane a visitare all’ospedale una sessantina di feriti tra
cui otto ufficiali. Avevano tutti il morale elevatissimo ed esprimevano il
desiderio di ritornare al fronte. […]Tuttociò vale ad ispirare molta fiducia,
anzi sicurezza che le cose andranno bene […].
31 maggio 1915
[…] Sissignore, sto proprio bene e
sono tranquillissimo.
3 giugno 1915
[…] mi duole che Mamà si impressioni. Pensi che molte famiglie hanno i
loro cari più esposti di noi.
8 giugno 1915
Carissimo [Raffaele], […] Io sto benissimo, non dormo molto, ma tutti mi
riconoscono lo spirito tranquillo, altrimenti guai! […] Con questo passaggio dell’Isonzo
ho un problema molto arduo per le mani, come prevedevo a Roma, per grande
difficoltà di terreno e perché le batterie austriache sono così bene defilate e
disseminate che è difficilissimo stabilirne la posizione. […] L’attacco è stato
ben studiato e preparato e speriamo, prima di notte, di rendermi padrone di
quelle posizioni il cui possesso facilita il passaggio dell’Isonzo.
Il 9 giugno 1915 il generale Cadorna
«“grida a voce spiegata che se con due corpi d’armata e tanta artiglieria non
si riesce ad aggirare e prendere il Podgora, è meglio tornare a Milano!”. […]
Cadorna “guarda accigliato la battaglia”. […] il Generale Mambretti l’ha
incaricato [il dottor Casali, medico a latere del Capo di Stato Maggiore] di
dire a Cadorna, che fino a ieri sera sperava di riuscire a prendere la Podgora
con le forze presenti, ma ora non spera più: “occorre qualche compagnia di
minatori che compia dei lavori da talpa”, e così procedere lentamente, metro
per metro, come i francesi ad Arras. Casali torna a Udine e riferisce. Cadorna
risponde che questa “è guerra antipatica, diversa da tutte le altre, e ne è
assai scontento. Dice che il valore personale è in questo modo spento e
l’entusiasmo smorzato: questa è una guerra di insidie e di piccoli e grandi
tradimenti e imboscate”»[2].
Il diaframma
fra ambiente militare e sfera privata inizia ad assottigliarsi; qualche
dettaglio inizia a trapelare anche nel dialogo con la figlia:
10 giugno 1915
[…] Le cose procedono bene, ma con difficoltà grandi: ovunque si avanza e
ci si imbatte in trincee preparate di lunga mano, reticolati, batterie ben
nascoste, mobili e difficili da identificare per poterle battere. Donde deriva
che, anche con grande superiorità di mezzi, l’avanzata è molto lenta ed è
d’uopo procede con metodo per evitare perdite inutili e scacchi parziali. È una
guerra dove l’effetto di qualunque genialità è scomparso perché l’attuazione di
qualunque idea geniale si basa sulla rapidità di manovra e questa si infrange
contro ogni buon sistema di trincee e reticolati.
L’iter di Cadorna testimonia le fasi
iniziali e meno gratificanti del processo morale e tecnico che condurrà alla
vittoria.
Disconoscere
acriticamente l’operato del Capo di Stato Maggiore e cancellarne la memoria
denotano l’incapacità, dannosissima, di assimilare le lezioni apprese.
Il Servizio Informazioni Militari nella Guerra di LIberazione.
DIBATTITI
Progetto 2016/1
Il Regio Esercito, nella sua ricostruzione
dopo gli avvenimenti armistiziali a Brindisi riorganizzò tutto il suo vertice.
Non poteva non ricostruire quello che fu una delle branche più efficienti di
tutta la seconda guerra mondiale, il S.I.M., il Servizio Informazioni Militare.
Nella nuova organizzazione a Brindisi il S.I.M. ebbe cinque sezioni,
denominate, “Calderini” per le operazioni offensive o spionaggio; “Bonsignore”,
per le operazioni difensive, o controspionaggio; situazione operativa;
organizzativa; tecnica. Ognuna di queste sezioni operò con i corrispondenti
organi sia britannici che statunitensi. Una delle attività iniziali fu quella
di prendere contatto con le bande che si andavano a formare dietro le linee
tedesche, nel centro nord dell’Italia. La “Calderini”, preso contatto con la
Special Force N. 1 britannica, iniziò ad operare impiantando reti informative
nel nord Italia ed attivare atti di sabotaggio mirati. Con i britannici le
azioni furono: missioni di collegamento ed operative, missioni speciali,
missioni di istruttori per il sabotaggio, predisposizione di campi per
aviolanci, punti di sbarco, rifornimenti, finanziamento delle bande,
propaganda. In totale le missioni di collegamento ed operative all’inizio tutte
composte da personale italiano, poi da personale misto, furono 96 di cui 48
italiane 23 inglesi con l’impiego di 282 uomini, di cui 163 italiani e 119
britannici
Le
missioni speciali furono quattro con l’impiego di 152 uomini, con aviolancio
alla cieca. Vennero poi creati 498 campi per ricezioni di materiale, che
dall’ottobre 1944 anche di armi pesanti.
Il S.I.M. organizzò il 1° Reparto speciale
autonomo con elementi tratti dalla divisone Nembo in seguito chiamo Squadrone
F,( con un allusione mal celata alla “Folgore”) o in terminologia alleata F.
Recce. Il reparto però in varie missioni fino alla nota operazione “Herring”
durante l’offensiva finale.
mercoledì 21 luglio 2021
Rivista QUADERNI, Anno LXXXI, Supplemento XIX, 2021, n. 1
NOTIZIE CESVAM
Il numero che apre il
7° anno di uscite della Rivista “QUADERNI” raggiunge un risultato che
rappresenta una tappa verso quello che deve essere la rivista secondo le
intenzioni progettuali iniziali: ospitare contributi di frequentatori delle
edizioni conclusisi del Master attivato presso la Università degli Studi N.
Cusano Telematica Roma. In questo numero Per la parte dedicata alla Storia (il
mondo da cui veniamo) il presente contributo ospita ben cinque contributi di ex
frequentatori del master. Altri sono già programmati peri numeri sia di questo
che del prossimo anno. Nello specifico per questa parte, due articoli sono
dedicati alla storia del Risorgimento, due alla Prima guerra mondiale, con un
particolare accenna alla figura non certo semplice del gen. Capello e la sua
azione nella Grande Guerra, ed un terzo articolo che è frutto delle ricerche in
corso in merito alla prigionia di guerra, che hanno interessato la prigionia in
Austria-Ungheria e due alla seconda guerra mondiale, riguardanti la crisi
armistiziale e la guerra di liberazione. Preceduti dal Post editoriale come
prassi, gli articoli dedicati alla parte geografica ( il mondo in cui viviamo,
riguardano aspetti sociologici di un dramma italiano, e la situazione nel
mediterraneo orientale tra Grecia e Turchia, ed un ampio quadro delle
percezioni di carattere geopolitico che noi Italiano abbiamo dei
principali attori internali, alleati,
amici, avversari e viceversa, ovvero costoro quali percezioni hanno del nostro
Paese. Le consuete rubriche e le Notizie CESVAM, sono presenti anche in questo
numero che si conclude con il tradizionale spazio dato alla iconografia delle
Brigate Italiane della Grande Guerra. (massimo coltrinari, direttore)
martedì 20 luglio 2021
Master in terrorismo ed antiterrorismo internazionale
DIBATTITI
Nella data anniversario del 20 luglio 1944, giorno in cui fu attuato l'attentato ad Hitler questo QUADERNI ON LINI iniziano ad ospitare note e indicazioni del terzo Master e del corso di aggiornamento e perfezionamento che il CESVAM attiva con un l'Università.
IL tema che è stato suggerito dall ?Uninversità è
Terrorismo ed anti Terrorismo Internazionale
Ordinato su 11 modulo affronta il tema del terrorismo, ovvero una forma di guerra diretta applicazione della strategia del debole verso al forte. Indi si affronta le misure in essere per contrastarlo.
Il Modulo Corso generale 2 ( età contemporanea) pone il tema
"E' lecito uccidere il tiranno?"
Tema che si è posto al momento del massimo splendore di Robespierre, e il cosiddetto periodo del Terrore, fa crusciale dell'evolversi della rivosluzione francese del 1789.
Un tema infinito che coinvole il "terrrorismo" nei suoi assunti principali.
Uno dei esempi a corredo portati nelle lezioni di questo Modulo è proprio l'attentato ad Hitler del 20 luglio 1944, con le sue indicazioni, implicazioni e conseguenze nella Germania nazista della Guerra Totale
(massimo coltrinari)
lunedì 19 luglio 2021
Luci ed ombre del Poeta Soldato
DIBATTITI
Maria Luisa Suprani Querzoli
Luci e ombre del Poeta Soldato
Durante
la Prima Guerra Mondiale le figure degli intellettuali rivestirono un ruolo
essenziale nella comunicazione. Il più noto di essi coniò addirittura parte del
lessico che rimane tuttora presente nel linguaggio: il termine ‘velivolo’ o la
denominazione ‘Battaglia del Solstizio’, ad esempio, si debbono al Vate. Egli
non si fece scudo della propria penna ma partecipò in prima persona alla
guerra, impegnandosi in imprese anche rischiose (il Volo su Vienna) senza paura
di perdervi la vita.
Si può parlare nel suo caso di ‘coraggio’ o forse sarebbe più
opportuno riferirsi al concetto di
‘temerarietà’ in obbedienza ad un gusto estetico capace di richiedere
totale identificazione fra ideali professati ed esistenza?
D’Annunzio era immerso profondamente nel clima bellico in
cui, forte della sua cultura notevolissima dei classici, poteva sperimentare dal vivo le dinamiche proprie della
ferinità che si sprigionano dal conflitto. Ne era consapevole e non ne faceva
mistero:
Ricordo
una disputa alla mensa di Comando a Vicenza – Villa Camerini – (Cadorna non vi
partecipava) quando un ufficiale, pensoso di problemi osò parlare di guerra e
di pace a proposito del romanzo di Tolstoi. Il D’Annunzio reagì con violenza
– fors’anche per un istintivo timore di confronti coll’ombra del grande
«barbaro». Reagì pallido e iroso. Non so se nel suo sdegno, come spesso avveniva
in lui, non si confondesse a una reale manifestazione di sentimenti autentici,
una certa voluta drammaticità dell’attore – e quale attore! – ben cosciente
della scena su cui recitava. Ma ciò che di lui in quel momento mi parve
schietto è la confessione di ciò che gli appariva essenziale nelle supreme
finalità del nostro intervento. Non bastavano Trento e Trieste per
giustificarlo. Non era ragione sufficiente l’antico conflitto contro l’Austria
reazionaria. L’Italia aveva bisogno di una prova esaltatrice e rinnovatrice –
di un «bagno di sangue».
«L’Italia
ha bisogno di un lavacro per purificarsi dalle sozzure, dalle pusillanimità,
dalla vigliaccheria di secoli» - insisteva - «è necessaria una ecatombe
colossale per rinvigorirla, per farne una ‘unità d’acciaio’. Guai ai pacifici!
È necessario che gli italiani siano condotti dall’esasperazione a nutrirsi
delle cervella del proprio nemico» (sic).[1]
L’esperienza bellica incide profondamente nella sfera morale
di un Paese. La coesione che il giovane Regno d’Italia guadagnò con la Grande
Guerra gettò le basi sostanziali di un concetto di ‘Nazione’ presente nelle
menti ancora di pochi. Ciò non toglie che la pars destruens richieda la pietas
necessaria di fronte al sacrificio della vita della gioventù combattente,
anche avversaria. Charle Montague afferma che la furia (e non il valore) è propria di chi non combatte: tale
osservazione parrebbe pertinente alla figura del Poeta Soldato, impegnato più
in senso estetico che propriamente militare. La conferma a ciò traspare dalle
parole dello stesso D’Annunzio:
Dovetti confessare al Poeta a che punto i suoi amici soffrissero nel
vederlo ad ogni istante rischiare la propria vita: che non volasse più, per
piacere! Che si riposasse finalmente, aveva dato al suo paese tutto quello che
i migliori cittadini potevano dare alla patria, la sua anima e il suo spirito,
la sua volontà, la sua energia, il suo sangue, la sua vita quasi … «Ma
non la propria vita!» esclamò allora. «Come potete voi, che dite di essere
mio amico, non desiderare una morte in combattimento, in cielo? A quale
vecchiaia mi volete destinare? A quella di un uomo di lettere in mezziguanti
che scriverà opere, seduto come un travet [figura di ‘colletto bianco’ schiavo
del dovere] alla sua scrivania? Oh, no! Ho assaggiato troppo la vita temeraria,
la vita sublime dello spazio e del vento, ho troppo goduto del pericolo, ho a
oggi troppo bisogno di tentare, di osare! Amo con passione il volo. Vorreste da
me che conducessi la vita di un comandante gottoso che firma carte? Mai mi
sento più felice che lassù, lontano da tutte le povertà e i languori umani … E
poi, se lo si può confessare, adoro la guerra. […] Non fosse per il sangue
altrui che gronda, sarei tentato di aver paura della fine stessa della guerra».[2]
Il terribile amore per la guerra[3] che
pervadeva il Poeta si arresta, umanamente, di fronte al sangue versato.
Le forze
potentissime che si sprigionano dalle dinamiche del conflitto costituiscono
invece per il Militare non un elemento di fascino
a cui soggiacere bensì un fattore psicologico essenziale da gestire
efficacemente: solo la consapevolezza del Dovere permette il distacco
necessario al raggiungimento di un’affermazione indirizzata al disegno di nuovi
sofferti equilibri.
L’estetica
del pensiero strategico risponde a criteri altri da quelli dell’edonismo.
Gabriele D’Annunzio
rimane un grande Poeta ma non fu un Soldato.
[1]
T. Gallarati Scotti, Idee e orientamenti
politici e religiosi al Comando Supremo: appunti e ricordi, Roma: Edizioni
Cinque Lune, 1963, p.7 (in M.L. Suprani Querzoli, La Grande Guerra di Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp.
159 – 160).
[2][2] M.
Boulenger, Chez D’Annunzio - a cura
di A. Pietrogiacomi, prefazione di G. B. Guerri - Rimini: Odoya, 2018, pp. 40
– 41.
[3] Il
riferimento è all’omonima opera di James Hillman.