Auguri a tutti gli Artiglieri
La Battaglia del Piave
La vittoria del Solstizio
di
Luigi
Marsibilio
La battaglia del Piave preparò efficacemente la definitiva sconfitta
dell’Austria e fu una delle più importanti, non solo della nostra guerra, ma
della guerra mondiale. Essa fece svanire per sempre le speranze degli imperi
centrali.
Come scrisse il Bronzuoli (1), l’Austria, inorgoglita dagli inaspettati
successi dell’offensiva di Caporetto, libera ormai da preoccupazioni per gli
altri fronti di combattimento, aveva potuto, con un supremo sforzo, mettere in
campo un tale complesso di mezzi bellici da superare in intensità e
proporzione, ogni altra offensiva precedente e da prefiggersi con balda
sicurezza, come risultato della nuova offensiva, “lo sfacelo militare dell’Italia”.
“La sicurezza della vittoria riunì nello sforzo disperato tutte le
genti dell’Impero asburgico, la cui compagine risentiva delle difficili
condizioni di vita che il prolungarsi della guerra imponeva. La ricchezza delle
verdi e fertili pianure d’Italia invitava le truppe austriache: avrebbero
mietuto le messi che vedevano biondeggiare al di là del Piave, mentre una
speciale organizzazione, perfettamente attrezzata, avrebbe proceduto al
saccheggio metodico delle rimanenti provincie del Veneto ed anche della
Lombardia, giacché uno degli obiettivi dell’offensiva era proprio Milano.
L’ombra del Radetzky pareva aleggiasse in quei consigli di guerra ed
agitare i vecchi piani di conquista. A consacrare la vittoria che erano sicuri
di avere già nelle mani, i generali austriaci si proponevano di offrire
all’Imperatore Carlo il bastone di maresciallo di Vicenza, tornata sotto il
dominio austriaco”.
Con questa certezza l’esercito nemico, forte di 56 Divisioni e di circa
7.000 cannoni aspettava, il mattino del 15 giugno, il segnale dell’attacco. Ma
in quella notte, che possiamo chiamare storica, l’esercito italiano, di forze e
mezzi pressoché uguali all’avversario, vegliava in armi sull’altra sponda del
fiume sacro e sui monti, pronto a sostenere l’urto nemico.
Nei sette mesi che erano passati dalla durissima prova dell’ultima
battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano era stato riordinato completamente
e, con una propaganda illuminata ed efficace, aveva riacquistato la fiducia in
se stesso. Il motto semplice ed ingenuo, tracciato da un ignoto fante sul muro
di una casa diroccata: “O il Piave o
tutti accoppati” esprimeva la convinzione e la fermezza di tutti.
L’offensiva fu preceduta di due giorni da un attacco, pomposamente
battezzato col nome di “offensiva valanga” che, partendo dal Tonale, avrebbe
dovuto, come la valanga di cui portava il nome, travolgere e sommergere le
nostre linee ed aprire al nemico la via di Milano. Ma le nostre magnifiche
truppe fecero miseramente fallire fin dall’inizio l’ambizioso progetto ed il
clamoroso insuccesso nemico fu di funesto presagio per la grande offensiva, che
doveva schiacciare l’Italia e che si scatenò il mattino del 15 giugno
dall’Astico al mare.
Dopo quattro ore di bombardamento infernale, iniziato alle ore 3, le
truppe nemiche si lanciarono ovunque all’assalto. Dall’Astico al Brenta l’urto
fu fortemente contenuto e qualche vantaggio conseguito dal nemico
sull’altopiano di Asiago fu riperduto nei giorni successivi. La lotta fu
particolarmente aspra e sanguinosa sul monte Valbella, sul colle del Rosso, sul
colle d’Echele, su cima Echar, posizioni contrastate con spietato furore da
ambo le parti e sulle quali rifulse il valore, l’eroismo e l’inflessibile
tenacia dei nostri, i cui petti impedirono al nemico di varcare quest’ultima
barriera che lo divideva dalla pianura veneta.
Tra Brenta e Piave il combattimento si concentrò sul massiccio del
Grappa, con uno sforzo disperato da parte del nemico, che si proponeva di
forzare quel caposaldo al primo urto, aggirare il monte e fare in tal modo
cadere di un colpo tutta la nostra difesa. Ma i nostri, non meno tenaci, vi si
aggrapparono risolutamente e non permisero che il nemico restasse a lungo sulle
posizioni che era riuscito ad occupare in un primo tempo. Infatti lo stesso giorno
e nelle prime ore del giorno seguente, esso dovette cedere all’irruenza dei
nostri e ritornare sulle proprie linee. Il Grappa era intangibile. L’aveva
giurato tutto un popolo che, nell’incolumità e nella resistenza di quel
baluardo, vedeva la salvezza della Patria.
__________
(1)
Cfr.
Bronzuoli: “Guerra e vittoria d’Italia”.
Sul Piave l’urto nemico si spiegò con una grandiosità di mezzi pari ai
risultati che il Comando austriaco si riprometteva: fiaccata la resistenza
sulla zona montana, l’esercito della pianura avrebbe effettuato la sua marcia
trionfale su Vicenza, Treviso e Venezia.
Ma fu proprio sul Piave che il nemico ebbe la delusione più amara e le
perdite più sanguinose. I numerosi battaglioni che esso, con l’aiuto di ponti e
di barconi gettò continuamente sulla destra del fiume, furono sottoposti ad un
inesorabile fuoco di sbarramento; quelli che riuscirono a passare incontrarono
la ferma decisione del nostro soldato d’impedire ad ogni costo qualsiasi
sviluppo degli immancabili vantaggi conseguiti dal nemico al primo balzo.
Sulla sponda destra del fiume si impegnò infatti, fra i due eserciti un
duello forse unico nella storia dei popoli per l’accanimento e per il numero
dei combattenti e dei mezzi impiegati; duello che durò otto interi giorni e che
fu combattuto nella melma delle sponde, nell’acqua del fiume e nel cielo. Le
nostre artiglierie e le bombarde spazzarono continuamente le rive del Piave,
sulle quali affluivano i rinforzi nemici e distrussero le passerelle ed i
ponti, travolgendo uomini e cose. Le fanterie, ardite ed agguerrite, col ferro
e col fuoco spinsero alla riva fatale i combattenti che erano riusciti a
passare; stormi di velivoli seminarono dall’alto la morte e lo scompiglio nelle
file nemiche.
La nostra resistenza dei primi quattro giorni si cambiò al quinto in
controffensiva aggressiva ed impetuosa, specie contro il Montello, dove i
nemici avevano conseguito i maggiori vantaggi. La lotta si riaccese più viva
che mai; più volte le posizioni furono prese e perdute; ai nostri giungevano a
tempo i rinforzi; per i nemici la tempesta di fuoco scatenata sul fiume dalle
nostre artiglierie e la piena dell’acqua rendevano ormai scarsi gli aiuti. Il
Comando nemico ebbe la sensazione del fallimento dell’offensiva e decise la
ritirata che, per l’incalzare della nostra fanteria, per il tiro ininterrotto
delle artiglierie, per la furia del Piave in piena, fu disastrosa.
La sera del 24 giugno i vantaggi conseguiti dal nemico con la sua
offensiva erano stati annullati e le posizioni del tutto ristabilite. La
magnifica vittoria riportata in un duello all’ultimo sangue tra Italia ed
Austria, dimostrò la superiorità del nostro esercito sull’austriaco; sconcertò
il Comando austriaco che vide perduto l’alleato più potente; gettò il germe
della dissoluzione nell’Impero austro-ungarico e cambiò di colpo l’andamento di
tutta la guerra.
La “vittoria del Solstizio” come la chiamò il D’Annunzio, non solo
cancellò l’ombra che la sconfitta di Caporetto aveva gettato sul nostro
esercito; ma segnò l’alba radiosa della vittoria finale nostra e degli alleati,
perché l’Austria non poté più sollevarsi dal tracollo subito sul nostro fronte.
Tuttavia l’esercito imperiale, sul quale poco avevano le gravi condizioni
interne del Paese, si apprestò a combattere con l’usato valore l’ultima
battaglia, dalla quale dipendeva la sua salvezza o la sua rovina.
In una lettera diretta dal Boroevic al von Bolgar, ex Sottosegretario
di Stato, datata da Udine, 22 giugno 1918, a pochi giorni dalla sconfitta e
nella quale è chiaramente spiegato il perché del fallimento dell’offensiva si
legge fra l’altro:
“Sotto la fresca impressione degli avvenimenti, desidero farti
conoscere la verità genuina, nota, oltre che a te, soltanto a Windischgraetz:
‒
l’offensiva
contro l’Italia era stata ordinata per il 20 maggio per motivi politici. La
scelta di questa data mi indica che al Quartier Generale, malgrado le esatte
relazioni mie, non si aveva alcuna idea delle condizioni dell’esercito. Sin dal
principio di febbraio, in seguito all’assoluta mancanza di rifornimenti, le
truppe avevano tanta fame da cadere a terra durante le marce ordinarie. Perfino
l’arciduca Giuseppe ha dovuto sentire lagnanze di soldati ungheresi a causa
della fame. I cavalli erano ridotti a scheletri, l’Artiglieria non si poteva
muovere. Lo spettacolo era desolante. Tutte queste cose furono dette infinite
volte e vennero chiesti immediati rifornimenti e cibo per quattro settimane,
affinché gli uomini fossero rimessi in gado di agire. Identica la situazione
nel Trentino. Ma i rifornimenti cominciarono a venire soltanto l’1 giugno, cioè
a dire appena due settimane prima dell’offensiva, stabilita per il giorno 15;
‒
il colpo
principale si doveva vibrarlo dal Trentino e precisamente contro le Divisioni
inglesi e francesi. Quando lo seppi, mi opposi con la massima energia.
Arrischiai anche la mia posizione, scrivendo che non si poteva prendere il toro
per le corna. Tutto invano. Si venne, infine, ad un meschino compromesso in
seguito al quale le forze principali rimasero nel Trentino; mentre si dispose
per un attacco contemporaneo anche dal Piave. Inizio il 15 giugno. Proposi un
rinvio di tre giorni. Conrad disse di non poter rinviare e perciò rimase
stabilito il giorno 15.
Sintomatico
il fatto, continua il Boroevic, che il giorno 14 il Comando Supremo si scisse.
Ce ne furono quattro: quello di Baden (presso Vienna), quello di Waldstaetten a
Belluno, il generale Arz nel treno di corte nel Trentino, Sua Maestà al
telefono del treno di Corte. La sera del 14, alle ore 18.00, mi venne chiesto
ancora una volta per telefono: “che cosa succede domani ?. Io risposi: “come è
stato ordinato dal Comando Supremo, si attaccherà”. Fu risposto: “Bene, agite
secondo il vostro criterio, ma sotto la vostra responsabilità. Alle 2 del
mattino del 15 io mi trovavo al mio posto di osservazione di Oderzo; alle 3
cominciò la battaglia.
“Alle
3 del mattino (del 15 giugno) passai il Piave; alle 10 avevo già 12 mila
prigionieri e mi trovavo sul Montello. Ero molto contento. A mezzogiorno
appresi dall’11ª Armata del Tirolo che tutto andava bene e che le prime linee
erano sconvolte. Alle 11 di sera Sua Maestà mi chiamò al telefono e mi disse in
tono visibilmente eccitato: nel trentino siamo battuti, le truppe hanno perduto
tutto quello che hanno guadagnato e siamo stati ricacciati sui punti di
partenza. Mi parve di essere colpito dalla folgore. Fui scongiurato di
resistere. Assicurai che avremmo fatto l’impossibile. Contemporaneamente
telegrafai al Comando Superiore per avere esatte notizie; ma non ricevetti
nessuna risposta. Seppi la verità soltanto all’indomani, dall’11ª Armata. Nel
frattempo accorrevano rinforzi dell’avversario (che il giorno 14 si trovavano
ancora a Verona) e che erano stati trasportati in autocarro. L’avversario era più forte di me.”
Boroevic
aveva visto giusto. Infatti il 17 si iniziava quell’azione che doveva
accrescere il progressivo logoramento delle sue truppe e ricacciarle nel fiume.
La sera di questo giorno era stato ripreso dagli Italiani Pizzo Razea sugli
altopiani ed ogni pressione nemica era cessata sul Grappa. Inoltre gli attacchi
sferrati dagli austro-ungarici sul Montello venivano contenuti ed il fronte del
Piave, nonostante gli sforzi della 5ª Armata austriaca, permaneva saldo, senza
rotture o gravi arretramenti, mentre le ultime Divisioni austriache di riserva,
già destinate ad avanzare su Mestre e Treviso, venivano invece gettate nella
terribile fornace della battaglia di sfondamento.
Dal
15 al 18 giugno 1918 le nostre truppe si batterono per contenere l’avanzata
nemica, disturbarla, paralizzarla. Dal 19 in avanti e sino al 23, le truppe si
batterono per respingere gli austriaci e ricacciarli nel fiume.
Per comprendere l’importanza dell’azione svolta dalle truppe italiane
in queste giornate di passione e di gloria, occorre richiamarsi ad un opuscolo pubblicato due mesi dopo dal Comando
Supremo austriaco ed intitolato: “Ammaestramenti tratti dalla battaglia del
giugno 1918”. In esso infatti si legge questa preziosa ammissione:
“E non minore fu la nostra sorpresa nel constatare che il nemico non si
impegnò a fondo nella zona avanzata; ma l’abbandonò, logorando poi
reiteratamente il nostro attacco nella zona intermedia a noi non nota….Tanto
maggiore fu quindi la delusione quando, dopo l’assalto che già aveva richiesto
risolutezza ed ardire, seguì la lotta dissolvente ed estenuante contro le
mitragliatrici nascoste…..la delusione spiega in parte la rilassatezza
sopravvenuta nei combattimenti svoltisi nella zona intermedia fortificata….E
peggio fu durante la giornata del 18, quando il nostro XXVIII Corpo d’Armata,
le cui truppe si erano coperte di gloria nei primi tre giorni della battaglia,
con l’impiego a fondo della 1ª Divisione d’assalto, riusciva a riconquistare la
linea Fossalta Osteria – Capodargine, catturando parecchie centinaia di
prigionieri.
Frattanto il Boroevic era tutt’altro che tranquillo.
“Si trattava – scrisse lo stesso Comandante l’Armata dell’Isonzo – di
prendere nuove decisioni giacché, senza un sollievo dalla parte del Trentino,
una mia ulteriore avanzata sarebbe stata follia ed avrebbe condotto alla
catastrofe. Ordinai, senza interrogare, che si mantenessero ad ogni costo le
teste di ponte conquistate fino a quel momento, sperando che si rinunciasse
subito ai piani nel Trentino e mi mandassero le Divisioni diventate lì
superflue, ovvero si agisse nel Trentino secondo nuovi criteri. Comunicai ciò
al Comando Supremo, facendo notare che bisognava decidere subito e rispondere
in merito alle mie innumerevoli proposte.
Nessuno mi rispose e continuai a combattere. Il 18 ritornai a
Spilimbergo, a trovare Sua Maestà nel treno di Corte. Vi fui il 19 ed esposi a
quattr’occhi la situazione, in un colloquio durato un’ora e mezza. Parlai
liberamente su quanto era accaduto sino allora, esponendo un piano di
operazioni che venne accettato. Allorché chiesi vettovaglie e munizioni, il
generale Arz mi disse che, su questo punto, mi avrebbe riferito nel pomeriggio
un colonnello ad Udine. Dunque non se ne sapeva niente!
Intanto l’avversario non soltanto non dava alcuna tregua, ma accumulava
minacce e….riserve.”
Il Boroevic doveva esserne profondamente persuaso, perché subito dopo
scriveva: “Frattanto Diaz aveva fatto venire altre truppe dal Trentino,
cosicché io mi trovai con 17 Divisioni contro 30. Insistei perché si decidesse
qualche cosa, ma invano. Il colonnello Zeenek mi comunicò da Baden che gli
eserciti avrebbero potuto essere riforniti solo fino al giorno 25. Eravamo
dunque nell’impossibilità di difenderci”.
Infatti il Boroevic parlava ad Udine e veniva ricevuto a Spilimbergo
dall’Imperatore Carlo, il Comando Supremo italiano decideva “di iniziare il
giorno 19 l’azione controffensiva per ricacciare il nemico oltre il Piave”.
Effettuato durante la notte dal 18 al 19 e nella successiva mattinata il loro
schieramento, dopo un’ora e mezza di preparazione, alle ore 15.30 precise le
nostre truppe muovevano all’assalto lungo tutto il fronte della battaglia. “Fu
– dice la relazione del nostro Comando Supremo – una lotta furiosa di attacchi
e contrattacchi, a cui pose tregua solo la notte.” Ed il comunicato ufficiale
austriaco è, a questo riguardo, costretto a confessare: “Nella regione del
Montello la lotta toccò la violenza delle più grandi battaglie carsiche; in
certi punti gli italiani spinsero sei volte innanzi le loro colonne d’assalto”.
All’alba del 20 la battaglia si riaccese. Nervesa passò tragicamente di mano in
mano e la lotta fu tanto violenta e l’impeto dei Fanti italiani così irruento
che il comando austriaco, nel farne cenno, li scambiò per uomini appartenenti a
truppe d’assalto. “La lotta – narra il bollettino nemico – si svolse ovunque
con una mischia corpo a corpo. Su di una fronte di due chilometri, gli italiani
lanciarono truppe d’assalto di otto reggimenti”.
Ed era, invece, soltanto Fanteria !
Sul basso Piave il nemico veniva respinto da Losson, Candelù, da scolo
Palumbo e da Casa Martini, fra San Biagio e Bocca di Calalta. Il fiume, in
decrescenza, permetteva la ricostruzione dei ponti; ma l’artiglieria e
l’aviazione ne continuavano la distruzione sistematica, sicché non fu mai
possibile al nemico di poter effettuare passaggi continuati. In siffatte
condizioni, mentre il nostro Comando Supremo “ebbe, il 20 sera, la sicura
percezione dell’approssimarsi della vittoria”, il nemico respinto sulla fronte
montana,ridotto all’impotenza sul Montello, fermato sul Piave, privo di
riserve, dovette alfine considerarsi battuto.
Frattanto, nelle giornate del 21 e del 22, l’artiglieria italiana
rovesciò sulle posizioni tenute dall’avversario e sul fronte conteso un
torrente di fuoco. Tutto il terreno venne sistematicamente battuto metro per
metro. La crisi precipitò: nella notte dal 23 al 24 il nemico ordinò il
ripiegamento. Era la fine.
A proposito della battaglia del Piave, il maresciallo Hindenburg (1)
scriveva:
“La calamità del nostro alleato era una disgrazia anche per noi.
L’avversario sapeva al pari di noi che l’Austria - Ungheria aveva, con questo
attacco, gettato tutto il suo peso nella bilancia della guerra. Da questo
momento la Monarchia danubiana aveva cessato di essere un pericolo per
l’Italia”.
______
(1) Cfr. Hindenburg: “Dalla mia vita”.
Ed il Ludendorff, nella lettera in data 7 novembre 1919 indirizzata al
conte Lerchenfeld, così riconobbe la gravità della sconfitta austriaca nel
giugno del 1918:
“Il Comando austriaco si diceva sicuro della vittoria; il generale Arz
indicava come mèta la valle del Po. I miei presagi divennero più neri quando
appresi che l’offensiva austro-ungarica era stata differita al 15 giugno. In
quel giorno e nei seguenti tutta l’attenzione di Hindenburg e la mia erano
concentrate sulla fronte italiana. Intuivamo che colà avveniva qualche cosa di
decisivo, forse la decisione per l’ulteriore corso della guerra. Quando ci
giunse, fin dal secondo giorno della battaglia, la notizia che l’offensiva era
fallita e che le truppe austro-ungariche del Gruppo di eserciti del maresciallo
Conrad, sulle quali facevamo il massimo assegnamento, erano state così
duramente provate ed avevamo subìto perdite così gravi da essere incapaci di un
nuovo sforzo, sentimmo che la partita era perduta.
La decisione, che fino ad allora era da attendersi sulla fronte di
Francia, improvvisamente si spostava, assumendo proporzioni assai vaste per le
sue ripercussioni, sulla fronte italiana, che fino a quel momento non poteva
essere considerata che un teatro secondario di operazioni. Più gravi notizie
sulle proporzioni della sconfitta austriaca ci giunsero nei giorni successivi.
L’Austria aveva riportato una sconfitta che poteva essere decisiva. Non si
poteva più fare affidamento su trasporti di contingenti austro-ungarici sulla
fronte tedesca. Era dubbio che l’Austria stessa potesse resistere ad un forte
attacco italiano. E, se l’Austria, come
avevamo ragione di temere cadeva, la guerra era perduta. Per la prima volta
avemmo la sensazione della nostra sconfitta. Ci sentimmo soli. Vedemmo
allontanarsi fra le brume del Piave quella vittoria che eravamo certi di
cogliere sul fronte di Francia.
Con la morte nel cuore vidi che le nostre speranze cadevano come foglie
morte”.
La “battaglia del Piave” rivelò al mondo intero il valore del soldato
italiano, che aveva scolpito nel cuore quelle rozze espressioni da lui stesso,
alla vigilia della titanica lotta, scarabocchiate sulle crollanti mura delle
case coloniche disseminate sulla riva destra del fiume: “Tutti Eroi! O il Piave o tutti accoppati!”, oppure: “Meglio vivere un giorno da leone, che
cent’anni da pecora!”.
Ma la “battaglia del Piave” rivelò un’altra cosa, riconosciuta più
tardi dallo stesso generale Ludendorff, il quale ricordava che la disastrosa
offensiva austro-ungarica, non consentendo un alleggerimento della fronte
d’Italia a rinforzo della fronte di Francia, aveva “profondamente addolorato e
turbato il Comando germanico”.
La
battaglia.
L’azione principale fu preceduta da un attacco in forze nella regione
del Tonale, che il nemico sferrò il 12 giugno e che si risolse in un sanguinoso
scacco. Verso le ore 3 del 15 giugno l’artiglieria austriaca aprì il fuoco
sulle nostre linee dall’Astico al mare, eseguendo forti concentramenti a,
Tonale, in val Giudicarie, in val Lagarina ed in val d’Astico, ovunque
controbattuta dal nostro fuoco di contropreparazione.
Fra le ore 7 e le 8 le fanterie austriache mossero all’attacco
sull’altopiano di Asiago, nei settori del Grappa e del Montello e sul Piave,
tra Saletto e Musile. Dall’Astico al Brenta le 17 Divisioni che dovevano
aprirsi la via verso la pianura, alla fine della giornata si trovavano
arrestate presso Perghele, nel settore centrale, respinte in un’epica lotta fra
cima Echar e Busa del Termine, e completamente battute a pizzo Razea, nel
settore orientale.
Nella zona del Grappa l’attacco nemico raggiungeva Col del Miglio, Col
Fagheron, Col Fenilon e Col Moschin a sinistra; mentre nel centro, occupati
quota 1053 ed il Pertica, rompeva la prima linea del Solarolo. A sera gran
parte di queste posizioni ritornavano in possesso degli italiani.
Sul Piave intanto si operava il passaggio del fiume in due località:
tra Falzè di Piave e Nervesa, e tra le Grave di Papadopoli e Musile. Nel primo
settore 6 Divisioni austriache si trovavano di fronte la sola 58ª Divisione
italiana.
Sul Montello il nemico, protetto da una densa cortina di nebbia
provocata da proiettili a gas e fumogeni, traghettava i suoi primi battaglioni.
Alle ore 16.00 due battaglioni e mezzo di assalto e 24 battaglioni di fanteria
avevano passato il fiume. Da casa Serena a Nervesa infierì, per tutto il
pomeriggio, la più aspra lotta. Già alle 15.30le fanterie italiane muovevano
alla controffensiva, mentre gli attaccanti rispondevano col fuoco e, forti del
numero, riuscivano ad ottenere qualche leggero vantaggio immediato.
Alle ore 09.00, sul basso Piave, il nemico, passato il fiume,
costituiva una testa di ponte a Fagarè, in corrispondenza della grande arteria
stradale Ponte di Piave – Treviso ed un’altra a Musile, in corrispondenza della
ferrovia San Donà – Mestre. Fra Salettuol e Candelà l’attacco veniva respinto
dalla nostra 31ª Divisione e, fra Zenson e Noventa, il passaggio del nemico era
gravemente ostacolato. A tarda sera il bilancio della prima giornata era
questo: mantenimento quasi integrale del nostro fronte sull’altopiano di
Asiago; arresto dell’avanzata austriaca nel settore del Grappa; opposizione
vigorosa all’avanzata nemica sul Montello, sul basso Piave e Ponte di Piave ed
a Musile.
Nella notte le nostre unità si prepararono a fronteggiare la situazione
con lo schieramento suggerito dal delinearsi della lotta, cosicché l’alba del
giorno 16 trovava l’esercito italiano pronto al non facile e decisivo cimento.
Bilancio della seconda giornata: il fronte montano incrollabile; il
fronte del Piave alquanto inflesso per i progressi del nemico, contenuti ed
ostacolati dalla tenace resistenza dei nostri. Il Comando Supremo, liberato da
ogni preoccupazione per il fronte montano, provvedeva a far affluire le riserve
nei punti più minacciati e preparava quell’azione controffensiva a grande
raggio, da attuarsi non appena il logoramento del nemico fosse stato compiuto.
Sull’altopiano di Asiago, nella giornata del 15, il nemico si era
spinto fino a Perghele ed a Buco di Cesena ed aveva occupato le alture del
Valbella, di Col del Rosso e di Col d’Echele, obbligando la difesa a
retrocedere sulla linea cima Eschar-Busa del Termine-monte Melago-cima
Cischietto-Casara Lobba-pendici di S. Francesco e di Sasso Rosso-sbarramento di
S. Gaetano.
Da questa linea, nella stessa giornata del 15, partirono i primi nostri
atti controffensivi; le truppe britanniche rioccuparono quasi tutto il terreno
perduto; quelle francesi riconquistarono il Capitello Pennar; le italiane
ripresero ed oltrepassarono Col del Rosso, ma dovettero riabbandonarlo al
mattino successivo di fronte agli incessanti contrattacchi avversari. Le azioni
dei giorni 16 e 17 ci ridavano Pizzo Razea; il 19 l’intero ridotto di
Costalunga ritornava in nostro possesso.
Fra Brenta e Piave il mattino del 15 le fanterie nemiche erano riuscite
a pervenire su Col del Miglio, monte Pertica e monte Solarolo; nel pomeriggio
anche su Col Moschin e su Col del Fenelon e tentavano di aggirare le nostre
linee di Porte di Salton, senza che le truppe che le difendevano cessassero la
loro eroica resistenza.
Nella notte però i nostri violenti contrattacchi ci ridiedero Col del
Fenelon e Col Moschin e, nella giornata del 16, buona parte del terreno ceduto
il 15. Gli attacchi sferrati dal nemico a nord del Grappa, sul Casonet, col
dell’Orso e Monfenera, vennero tutti respinti. Il giorno 17 riprendemmo quota
1671 del Solarolo; quindi l’azione nemica subì una sosta.
Il giorno 24 le nostre truppe attaccarono Col del Miglio, l’Asolone ed
il Pertica; ma, raggiunta quota 1520 dell’Asolone e la vetta del Pertica,
dovettero abbandonarle per la violenta reazione nemica e si stabilirono sulle
posizioni tenute prima dell’offensiva austriaca.
L’avversario aveva subìto perdite enormi.
La resistenza delle Armate dell’Altopiano e del Grappa aveva avuto
ragione dell’attacco avversario; la lotta veniva pertanto a localizzarsi sul
fronte del Piave. Sul Montello, forzata all’alba del 15 la linea del Piave nei
pressi di Casa Serena, nell’ansa di Falzè, e poco dopo anche a Nervesa, nella
stessa giornata l’avversario riusciva a respingere la linea Casa Serena-Casa
Marseille-Giavera-Sovilla-stazione di S. Andrea.
Un contrattacco nel pomeriggio del 16, riportò il centro del nostro
schieramento a Collesel della Madonna ed a Collesel di Castelvetro; ma
successive puntate nemiche in direzione di Casa Serena obbligarono la nostra
sinistra ad arretrare alquanto.
Il 17 l’avversario, ripresa l’avanzata fra Sovilla e la stazione di
Nervesa, raggiunse la ferrovia nel tratto S. Mauro – S. Andrea, oltrepassandola
fino a Casa De Rues; il giorno successivo e la notte sul 19 continuò a puntare
su vari tratti del fronte, senza però conseguire vantaggi. Un suo tentativo di
passare il Piave presso il ponte della Priula fu subito sventato.
Nel pomeriggio del 19, con una potente azione controffensiva,
riguadagnammo terreno e la lotta si protrasse per tutta la notte e per il
giorno dopo. Alla sinistra la situazione rimase quasi invariata; al centro, in
seguito ad un furioso contrattacco nemico, le nostre truppe dovettero di poco
ripiegare; alla destra contennero la violenta spinta avversaria.
La pressione delle nostre fanterie continuò tenace nei giorni 21, 22 e
23 giugno, appoggiata dagli incessanti bombardamenti delle artiglierie e degli
aerei. Sempre più addossato al fiume, in condizioni di vita sempre più
difficili, l’avversario, dopo aver ancora tentato inutilmente un forte attacco
nella notte sul 22, la notte sul 24 iniziò il ripiegamento sulla sinistra del
Piave, protetto da reparti di copertura.
Le nostre truppe, stringendolo da presso, raggiunsero il giorno 24 le
antiche linee avanzate. Sul basso Piave, protetti da tiri a proiettili
fumogeni, truppe nemiche riuscirono a passare il fiume fra Candelù e Musile; ma
vennero fermate subito sulla prima fascia di resistenza. Il mattino del 15
giugno avevano occupato solo qualche elemento della nostra prima linea fra
Candelù e Saletto, l’ansa di Zenson ed alcune località ad est di Musile. Nel
pomeriggio un tentativo di passaggio del Piave a Salettuol costò al nemico
perdite sanguinose; ma i suoi rinnovati, poderosi attacchi ci costrinsero ad
arretrare la difesa nei tratti Candelù – strada di Ponte di Piave e Zenson –
Fossalta.
La testa di ponte di Capo Sile dovette essere abbandonata.
La spinta del nemico continuò nella giornata del 16, validamente
contenuta e poi arrestata da un contrattacco, sferrato il 17 contro l’intera
linea austriaca: le località di Croce, Capo d’Argine e di Losson furono teatro
di accanitissime lotte. Attacchi e contrattacchi si rinnovarono il 18. Nel
pomeriggio del 19 una nostra ripresa offensiva ridusse alquanto il saliente
nemico Meolo – Losson. La sera del 19 gli austriaci attaccarono a sud della
ferrovia Ponte di Piave – Treviso, obbligandoci a ripiegare sulla linea Rovarè
S. Pietro – Novello; ma nella giornata del 20, le nostre unità si riportarono
sulla linea delle riserve.
Il giorno 21 ed il 22 trascorsero in una ininterrotta attività di
elementi avanzati; il caposaldo di Casa Martini (Fossalta), caduto in mano al
nemico, venne ripreso; nuovo attacchi avversari a Losson furono respinti. La
notte sul 23 il nemico, sospinto dai nostri fanti, battuto dalle artiglierie e
dagli aerei, iniziò la ritirata oltre il Piave. Nel pomeriggio dello stesso
giorno le nostre truppe incalzanti raggiunsero la destra del fiume, da Candelù
a Ponte di Piave, e la sera Zenson. Nella notte, superando l’ostinata
resistenza dei nuclei di copertura nemici, rioccupavano tutte le antiche linee,
eccetto l’ansa fra Paludello e la Gastaldia, da dove ricacciarono l’avversario
la sera del 24. Nella notte sul 25 ed il 26 ripresero ed ampliarono la testa di
ponte di Capo Sile e spinsero verso nord l’occupazione fra Cavazuccherina e
Cortellazzo.
Anche in questa battaglia validissimo contributo per la vittoria offrì
l’Aviazione, che riuscì ad abbattere ben 107 apparecchi e 7 palloni frenati
nemici, compì preziose ricognizioni ed efficaci bombardamenti e potè eseguire
circa 3000 fotografie delle posizioni nemiche (1).
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(1) Per maggiori particolari sui vari episodi
della lotta su ciascun fronte, i lettori potranno servirsi della pubblicazione
del Comando del nostro Corpo di Stato Maggiore: “La battaglia del Piave”.
La grande battaglia dall’Astico al mare, che - dice il Bastico (1) –
nell’ambizioso sogno degli austriaci avrebbe dovuto segnare il crollo del
fronte italiano e l’inizio della sconfitta dell’Intesa, finì così con la nostra
vittoria, con la quale, se in nostro possesso rimasero soltanto,
complessivamente: 24 mila prigionieri, 70 cannoni e 1.224 mitragliatrici.
37.000 fucili, 155 lanciafiamme, noi infliggemmo al nemico perdite uguali a
250.000combattenti.
La nostra vittoriosa resistenza, facendo ancora una volta fallire il
piano degli Imperi Centrali, diminuendo in modo così grave le loro energie
materiali e morali, ebbe un’importanza senza dubbio decisiva nel preparare e
nel permettere la controffensiva sul fronte occidentale e sul nostro e nel
rendere certa la comune vittoria.
Il nostro Comando avrebbe voluto completare il successo con una
vigorosa offensiva (2); ma, per poterla effettuare con mezzi adeguati, sarebbe
stato necessario che l’Intesa avesse, finalmente, deciso di attribuire al
nostro fronte quell’importanza che esso aveva e che gli avvenimenti dovevano
ben presto dimostrare. I franco – inglesi erano già impegnati del resto, sul
fronte occidentale, nel difendere il territorio della Francia, gravemente
minacciato dalla seconda offensiva tedesca.