GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE
di Dante Gatta*
Pochi giorni dopo il sesto anniversario del conflitto siriano, cominciato ufficialmente il 15 marzo
2011, una soluzione pacifica tesa a stabilizzare la situazione appare ancora lontana. Ad oggi la Siria,
più che come uno Stato, si presenta come un territorio frammentato in varie componenti non
precisamente delimitabili, caratterizzate da un elevato livello di dinamicità, ovviamente legato al
continuo susseguirsi degli eventi bellici.
Un contributo fondamentale, all'analisi storica ed attuale della guerra in Siria, ci è stato fornito
dall'Archimandrita Padre Mtanious Hadad, rettore della basilica di Santa Maria in Cosmedin di
Roma, intervenuto al convegno “Comprendere la Siria: dal Presente al Futuro”. Nato a Ma'loula,
una città non lontana dalla capitale Damasco, Padre Hadad è testimone diretto della realtà siriana,
condizione avvalorata dal suo essere melchita, cioè un rappresentante di lingua araba della Chiesa
cattolica orientale. Egli innanzitutto sottolinea come, per comprendere molti degli odierni conflitti
in Medio Oriente, e nello specifico quello siriano, sia necessario fare riferimento alla storia di
questo fondamentale quadrante del globo. Già a partire dall'esperienza dell'Impero Ottomano,
l'intento chiaro, risalente alla locuzione latina “divide et impera”, fu appunto quello di creare e far
risaltare le diversità, sia che queste riguardassero le varie religioni sia che coinvolgessero le
confessioni interne ad una stessa religione. Sulla medesima linea strategica degli ottomani agirono
le potenze europee in seguito alla I Guerra Mondiale, quando operarono la ridefinizione (e
spartizione coloniale) del Medio Oriente, di cui ancora oggi buona parte della popolazione paga le
conseguenze. La Siria è naturalmente figlia di questa esperienza, rappresentandone uno dei casi più
emblematici. Negli anni '70 ci fu la presa di potere della famiglia Assad, musulmani di corrente
alauita (e quindi sciiti) in un paese la cui maggioranza è invece composta da sunniti e che conta
anche la presenza di numerosi cristiani. Con gli Assad, e dunque il partito laico Ba'th, le divergenti
posizioni religiose si erano progressivamente smussate di fronte alla priorità che il governo
conferiva al diritto e alla legge. In tal senso c'è tuttavia da sottolineare come, per ammissione dello
stesso Padre Hadad, non possiamo sicuramente parlare di sistema totalmente democratico, quanto
piuttosto di governo “dalla mano pesante”, condizione però, a suo avviso, necessaria affinché non
emergessero nuovamente le latenti condizioni di contrasto intestino.
Per Hadad le dinamiche internazionali post 11 settembre e l'intento di conferire maggiore sicurezza
allo Stato d'Israele hanno contribuito a far sì che nella comunità internazionale, a guida USA,
venisse maturata la decisione di far cadere i governi di tre Stati chiave della zona: Iraq, Egitto e
Siria. L'esplodere delle cosiddette (strumentalizzate) “primavere arabe” è stato funzionale a questa
strategia (riguardo Egitto e Siria) ed ha comportato il precipitare degli eventi, tanto che, nel 2011,
neppure le imminenti modifiche costituzionali annunciate da Bashar al-Assad furono sufficienti per
evitare la guerra. Seppure, dunque, è stata la volontà delle potenze internazionali la chiave del
conflitto, nonché la causa del riaffiorare degli scontri confessionali tra sciiti e sunniti, Padre Hadad
non nega il successivo ruolo fondamentale che ha avuto la stessa componente confessionale, tanto
che, come se non bastasse, l'accanimento si è esteso anche alle comunità cristiane in particolare per
mano di Daesh.
Al di là della nota cronistoria degli eventi del conflitto siriano e degli schieramenti che si sono
formati, è interessante far emergere dalla disamina di Padre Hadad due tematiche fondamentali che
oltre ad essere immanenti nel conflitto siriano, ci permettono anche di intraprendere osservazioni
che siano più generali rispetto al solo caso in questione. Tali tematiche sono: la propaganda
mediatica e le migrazioni.
La propaganda è fondamentale sia affinché si riesca a giustificare (mediaticamente appunto), di
fronte agli occhi dell'opinione pubblica, la bontà di un conflitto, sia affinché si cerchi di orientare il
senso comune verso il sostegno nei confronti di un determinato schieramento. Nel caso della Siria la
macchina mediatica si è mossa affinché il governo di Bashar al-Assad perdesse legittimazione e
affinché i ribelli venissero visti come moderati e futuri portatori di diritti e libertà. A proposito del
ruolo avuto dai media nel conflitto siriano gli esempi forniti da Padre Hadad sono numerosi. In
primis vi è il canale esclusivo di provenienza delle informazioni riguardanti la situazione in Siria,
tale canale è l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, la cui indipendenza è stata fortemente messa
in discussione data la vicinanza col governo britannico. A ciò si unisce la mancanza di informazioni
dettata dal non casuale ritiro degli ambasciatori europei dalla Siria stessa. I media avrebbero dunque
contribuito in maniera decisiva a creare una narrazione poco affine alla realtà effettiva, e per farlo,
oltre a manipolare informazioni, hanno sottaciuto riguardo i finanziamenti da parte delle potenti
monarchie del Golfo a beneficio di cui i gruppi ribelli e terroristici, così come sono rimasti ambigui
riguardo il ruolo di USA e Turchia nel conflitto. Ultima manipolazione, in ordine cronologico, è
data dall'incondizionata esaltazione dei cosiddetti Caschi Bianchi.
Per quel che concerne l'altra tematica, quella delle migrazioni, c'è innanzitutto da registrare che a
causa del conflitto, ben 11 milioni di siriani sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni.
Molti di essi, a causa di problemi economici, si trovano ancora in Siria nella condizione di
“sfollati”, mentre una porzione ha lasciato il paese. Oltre a Stati limitrofi, quali Libano e Giordania,
parte delle migrazioni hanno avuto come destinazione l'Europa. Per padre Hadad neanche tale
evento sarebbe casuale, bensì frutto della volontà dei poteri internazionali, visto che masse
islamiche in arrivo nel vecchio continente, oltre a creare malumori, andrebbero a costituire quello
che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”, che contribuirebbe a correggere al ribasso
salari e diritti dei lavoratori, minando così il tessuto economico e sociale europeo.
L'accorata analisi fatta da Padre Hadad sulla situazione siriana oltre ad essere comprensibile (per la
sua origine siriana e per il ruolo che egli attualmente ricopre) è sicuramente apprezzabile,
nonostante possa peccare di alcune semplificazioni. Rientrante in questa categoria c'è sicuramente
la sottovalutazione dell'Esercito siriano libero, poiché è limitativo considerarlo esclusiva proiezione
della volontà internazionale, come fosse completamente avulso rispetto ad una realtà interna, la
quale comunque (seppur minoritaria) esprime dissenso. Inoltre, probabilmente, non vengono
evidenziati con il medesimo vigore utilizzato nei confronti degli “avversari” gli errori commessi dal
governo siriano, né sottolineato a sufficienza il fatto che la Russia (principale alleato della Siria),
allo stesso modo delle altre potenze, si stia muovendo anch'essa soprattutto in funzione dei propri
interessi.
Detto questo c'è però da costatare come molti eventi abbiano avvalorato il punto di vista di padre
Hadad (il quale esprime questa prospettiva da diversi anni). Non a caso, mentre fino a qualche
tempo fa la sua posizione destava stupore e polemiche, oggi invece, ciò non avviene. Questo poiché
la suddetta mistificata narrazione dei media, dopo che per ben sei anni le ostilità si sono trascinate
stancamente, è andata via via scemando, insieme alle stesse speranze di rovesciare il governo di
Bashar al-Assad in tempi ragionevoli. Inevitabilmente, all'affievolirsi della strategia impostata sul
piano internazionale, è corrisposto il rafforzamento del governo centrale di Damasco, che ha
resistito militarmente e non ha perso il consenso interno di cui godeva.
Parlando del conflitto in sé, nell'ultimo anno e mezzo la situazione ha subìto una svolta decisa a
favore dell'esercito ufficiale siriano, coadiuvato dalle forze militari russe, verso la riconquista di
territori occupati dai ribelli (anche da Daesh). Nonostante ciò una soluzione definitiva appare essere
ancora molto lontana, come hanno dimostrato i deludenti esiti dei colloqui di Astana e Ginevra
svoltisi negli ultimi mesi. La Siria attuale è una Siria frammentata, anche se apparirebbe senza
senso la formalizzazione di tale divisione, dal momento che le frammentazioni attuali (forse ad
eccezione del territorio controllato dai curdi) non corrispondono affatto ad una logica e coerente
partizione né su base etnica né su base religiosa.
In conclusione, in via più generale, c'è un significativo paradosso che però rischia di emergere
dall'apprezzabile disamina fatta da Padre Hadad, paradosso che prescinde dalla situazione della
Siria in sé, ma presenta tratti più diffusi. Questo genererebbe proprio dall'enfasi con cui Hadad
sottolinea le difficoltà di adattamento che le popolazioni islamiche troverebbero migrando in
occidente e di come tali difficoltà sarebbero dovute all'incapacità del popolo islamico stesso di
accettare di essere minoranza in un paese straniero, così come il rifiuto di assimilare norme di
diritto potenzialmente non del tutto coerenti con il Corano. Questa impostazione infatti cela una
critica di stampo religioso che, oltre a chiudere le porte ad ogni forma di integrazione e di
avvicinamento tra religione islamica e le altre, potrebbe avere un effetto ancor più deleterio, cioè
quello di esacerbare gli animi dei popoli occidentali nei confronti di quelli islamici. E spesso, è
proprio attraverso questa prospettiva, ed è qui che emerge il paradosso, che i media hanno costruito
(e potranno continuare a farlo in maniera ancor più avvolgente) delle narrazioni volte a maturare
consensi per ribaltare regimi scomodi, con la scusante che si trattasse di governi tirannici che
controllano popolazioni che nell'immaginario collettivo (quello, per l'appunto, mediaticamente
costituito) appaiono ormai incontestabilmente come nemiche (quelle islamiche). Questo a
dimostrazione di come le strategie legate agli interessi economici e geopolitici risultino complesse e
sfuggenti, e, soprattutto, di come ad alimentarle, in maniera del tutto involontaria, possano essere
addirittura soggetti che avrebbero invece la chiara intenzione di contrastarle.
* Dante Gatta.
nato il 31/01/1991. Laureato triennale e magistrale alla Sapienza: laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali con tesi in geografia politica ed economica (votazione finale 109) ; laurea magistrale in Scienze della Politica con tesi in geopolitica (votazione finale 110 con lode).
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