APPROFONDIMENTI
Gli Interventisti alla prova
Benito Mussolini
caporale per merito di guerra
7a compagnia, XXXIII battaglione 11° Reggimento Bersaglieri
di massimo coltrinari
Benito
Mussolini ebbe, nelle sue linee essenziali la stessa parabola degli eventi che
ebbe Pietro Nenni: volontà di partire volontario, partecipare alla guerra. A
questo ardore patriottico si contrappose l’atteggiamento delle autorità militari
che lo vedevano, come Pietro Nenni, un oppositore e un sovversivo, e in più,
come socialista interventista, coglieva l’atteggiamento ostile dei
commilitoni, che vedevano in loro i fautori della guerra, e quindi la causa
delle loro situazione negativa che dovevano fare la guerra contro la loro
volontà.
Mussolini
quindi, nonostante il suo desiderio di partire volontario fin dai primi giorni
di guerra, fu tenuto a casa da una disposizione dei Comandi Militari che
dall’arruolamento volontario erano esclusi alcune classi, tra cui quella di
Mussolini, di prossimo ed immediato richiamo. Gli creò un notevole imbarazzo,
ma rispose con determinatezza affermando che, nonostante il parere di molti,
lui era convinto che la guerra sarebbe stata lunga, non facile e soprattutto
costosa anche in termine di vite
umane. Occorre da ultimo sottolineare che sia Nenni, sia
Mussolini con gran parte degli interventisti dovettero aspettare il richiamo
della loro classe di leva per partecipare alla guerra. Un dato interessante
sotto l’aspetto prettamente politico.
La classe
di Mussolini fu richiamata il 25 agosto ed egli si presentò in caserma. Il 2 settembre
partì da Milano, saluto da colleghi ed amici. Nello stesso giorno apparve sul “Popolo d’Italia” le sue parole di
commiato. Inizialmente fu inviato a Brescia, in un reparto di addestramento. Fu
assegnato alla 8a compagnia, XXXIII battaglione, 11° Reggimento bersaglieri,
che aveva la sua sede nell’ambito del VII Corpo d’Armata territoriale, cioè le
marche. Nella fattispecie il reggimento di Mussolini aveva la sua sede in Ancona
alla caserma Villarey e distaccamenti in varie località elle marche.
Raggiunse
il suo reparto in linea il 18 settembre 1915. Dal 9 settembre aveva iniziato a
tenere un “Diario di Guerra” che con varie interruzioni tenne fino al 18 marzo
1917 e iniziato a collaborare al “Popolo
d’Italia”.Questo diario fu pubblicato a puntate sul suo giornale dalla fine
del dicembre 1915 al 13 febbraio 1917.
L’8
ottobre, dopo vari spostamenti, il XXXIII Battaglione bersaglieri prese posizione a ridosso delle ripide pareti
della cima del monte Jaworcek, dalla quale sparavano gli Austriaci. A sua
richiesta, era passato dalla 8a compagna alla 7a compagnia, di cui non si
conosce la motivazione. Due giorni dopo, il 10 ottobre rischia di essere ucciso,
quando uno shrapnel scoppiò a breve distanza. Nel suo diario di guerra così
descrive l’episodio:
“Ero in piedi. Ho sentito una ventata
violenta, seguita da un grandinare di schegge” Rimase incolume mentre tra i
suoi commilitoni si ebbero morti e feriti. “Quando
lo spettacolo della morte diventa abitudinario, non fa più impressione. Oggi
per la prima volta ho corso pericolo di vita. Non ci penso.”
Qualche
giorno dopo, il 17 ottobre, rischiò ancora di morire: una granata da “duecentottanta”
venne ad esplodere nei pressi del suo
ricovero, ma anche questa volta rimase illeso. Il 6 novembre, su ordine
verbale, il Comando del suo Battaglione lo indica come idoneo a frequentare un
corso per Allievi ufficiali. La necessità di avere subalterni è impellente: il
bersaglierei Mussolini come l’artiglierie Nenni avevano dimostrato di essere
dei bravi e buoni soldati, quindi idonei ad essere segnalati per la frequenza
di un corso per allievi ufficiali; non per altri saranno entrambi promossi
caporali per merito di guerra. Insieme ad altri cinque commilitoni si recò a
Vernazzo, sede del corso. Alcuni giorni dopo, però, Mussolini ebbe lo stesso
trattamento di Nenni: ordini superiori rinviavano senza nessuna motivazione il
bersaglierei Mussolini al proprio reparto, dimesso d’autorità dal corso. E’
evidente che i Comandi intermedi avevano visto meglio i precedenti politici del
bersagliere Mussolini e la decisione era stata rapida. Il 24 novembre 1915,
dopo essere rientrato in linea, si ammala di ittero catarrale o di paratifo e
fu ricoverato all’ospedale di Cividale. Qui avviene il primo incontro tra il
futor Duce con Vittorio Emanuele III, in
vista ai soldati feriti ed infermi. Oltre alla visita del Re, ricevette quella
della compagna Rachele, che era incinta del suo secondo figlio. Per questo
decise di regolare la sua posizione sposandola a dicembre con rito civile. Dall’ospedale
di Cividale passò, il 9 dicembre, all’ ospedale
degli Angioli di Treviglio per poi essere inviato il 22 dello stesso mese in licenza
di convalescenza che trascorse a Milano.
In questo
frangente pubblicò cinque articoli, firmandosi “Undicesimo” con evidente
riferimento al numero del suo reggimento.
I primi
sei mesi di guerra per Mussolini furono un buon banco di prova. Fu coerente con
le sue idee interventiste, ma non riuscì a partire volontario, nonostante il
suo vivo desiderio; come soldato si comportò bene, ma di fronte alla relatà
della trincea, tutte le parole e le idee in merito alla guerra dvettero essere
riviste. Si comportò come tanti altri, da bravo e buon soldato[1] ma dovette affrontare i risvolti del suo
interventismo. Da una parte le Autorità Militari diffidavano di lui. Era pur
senpre un socialista rivoluzionario, acnhe lui artefice e protagonista di
quella Settimana Rossa che tanto aveva allarmato le classi conservatrici del
tempo. Inoltre era un socialista interventista e questo insospettiva ancor più
queste Autorità.
Scrive Silvano Fasulo nella sua Storia vissuta del socialismo napolitano:
“La tragedia dei socialisti interventisti ed
intervenuti in guerra non sarà mai compresa da chi non è stato combattente e
socialista nel 1915-1916. Era come se la guerra l’avessero provocata loro…I
soldati guardavano bieco. I soldati perseguitavano. Una circolare di Cadorna ..
raccomandava ai capi reparto di tenere d’occhio i così detti “socialisti
interventisti” che si erano ficcati nell’Esercito per conquistarlo e fare la
rivoluzione appena finita la guerra. I capi reparto specialmente se ufficiali
di carriera , erano ammiratori ciechi dei tedeschi, e si consideravano loro
amici finchè la guerra fu solo contro l’Austria.. Voi avete voluto la guerra:
voi dovete farl dicevano; e cacciavano codesti apposta in tutte le azioni più
disperate. E cercavano cimenti per metterli alla prova.”[2]
Oltre alla
diffidenza delle Autorità militari vi era anche, per coloro che venivano
riconosciuti come “socialisti interventisti”, o semplicemente
“interventisti”, l’ostilità di tantissimi
commilitoni. Un episodio riportato sempre da Silvano Fasulo, riportato dallo
stesso Mussolini a Margherita Sarfatti relativo a come lo stesso Mussolini
apprese la notizia della morte di Filippo Corridoni, è estremamente esemplificativo.
Nell’incontrarlo,
un commilitone gli chiese:
“Sei tu Mussolini?
“Si”
“Benone, ho una buona notizia da darti:
hanno ammazzato Corridoni. Gli sta bene, ci ho gusto. Crepino tutti questi
interventisti.”
E quindi
possibile dire che i primi sei mesi di guerra furono quanto mai significativi
per Mussolini, che, però, non era a livello di Pietro Nenni che era sempre più
convinto che la guerra fosse utile e necessaria; per Mussolini la si doveva
fare e basta, in tutti i suoi significati, senza retorica e senza esaltazioni,
cercandosi di barcamenarsi nelle situazioni contingenti.
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