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lunedì 3 aprile 2017

I Primi sei mesi di guerra. Maggio-Dicembre 1915 II

APPROFONDIMENTI

Gli Interventisti alla prova
Benito Mussolini
caporale per merito di guerra
7a compagnia, XXXIII battaglione 11° Reggimento Bersaglieri

di massimo coltrinari

Benito Mussolini ebbe, nelle sue linee essenziali la stessa parabola degli eventi che ebbe Pietro Nenni: volontà di partire volontario, partecipare alla guerra. A questo ardore patriottico si contrappose l’atteggiamento delle autorità militari che lo vedevano, come Pietro Nenni, un oppositore e un sovversivo, e in più, come socialista interventista, coglieva l’atteggiamento ostile dei commilitoni, che vedevano in loro i fautori della guerra, e quindi la causa delle loro situazione negativa che dovevano fare la guerra contro la loro volontà.

Mussolini quindi, nonostante il suo desiderio di partire volontario fin dai primi giorni di guerra, fu tenuto a casa da una disposizione dei Comandi Militari che dall’arruolamento volontario erano esclusi alcune classi, tra cui quella di Mussolini, di prossimo ed immediato richiamo. Gli creò un notevole imbarazzo, ma rispose con determinatezza affermando che, nonostante il parere di molti, lui era convinto che la guerra sarebbe stata lunga, non facile e soprattutto costosa anche  in termine di vite umane.  Occorre  da ultimo sottolineare che sia Nenni, sia Mussolini con gran parte degli interventisti dovettero aspettare il richiamo della loro classe di leva per partecipare alla guerra. Un dato interessante sotto l’aspetto prettamente politico.

La classe di Mussolini fu richiamata il 25 agosto ed egli si presentò in caserma. Il 2 settembre partì da Milano, saluto da colleghi ed amici. Nello stesso giorno apparve sul “Popolo d’Italia” le sue parole di commiato. Inizialmente fu inviato a Brescia, in un reparto di addestramento. Fu assegnato alla 8a compagnia, XXXIII battaglione, 11° Reggimento bersaglieri, che aveva la sua sede nell’ambito del VII Corpo d’Armata territoriale, cioè le marche. Nella fattispecie il reggimento di Mussolini aveva la sua sede in Ancona alla caserma Villarey e distaccamenti in varie località elle marche.
Raggiunse il suo reparto in linea il 18 settembre 1915. Dal 9 settembre aveva iniziato a tenere un “Diario di Guerra” che con varie interruzioni tenne fino al 18 marzo 1917 e iniziato a collaborare al “Popolo d’Italia”.Questo diario fu pubblicato a puntate sul suo giornale dalla fine del dicembre 1915 al 13 febbraio 1917.
L’8 ottobre, dopo vari spostamenti, il XXXIII Battaglione bersaglieri  prese posizione a ridosso delle ripide pareti della cima del monte Jaworcek, dalla quale sparavano gli Austriaci. A sua richiesta, era passato dalla 8a compagna alla 7a compagnia, di cui non si conosce la motivazione. Due giorni dopo, il 10 ottobre rischia di essere ucciso, quando uno shrapnel scoppiò a breve distanza. Nel suo diario di guerra così descrive l’episodio:
“Ero in piedi. Ho sentito una ventata violenta, seguita da un grandinare di schegge” Rimase incolume mentre tra i suoi commilitoni si ebbero morti e feriti. “Quando lo spettacolo della morte diventa abitudinario, non fa più impressione. Oggi per la prima volta ho corso pericolo di vita. Non ci penso.”
Qualche giorno dopo, il 17 ottobre, rischiò ancora di morire: una granata da “duecentottanta” venne  ad esplodere nei pressi del suo ricovero, ma anche questa volta rimase illeso. Il 6 novembre, su ordine verbale, il Comando del suo Battaglione lo indica come idoneo a frequentare un corso per Allievi ufficiali. La necessità di avere subalterni è impellente: il bersaglierei Mussolini come l’artiglierie Nenni avevano dimostrato di essere dei bravi e buoni soldati, quindi idonei ad essere segnalati per la frequenza di un corso per allievi ufficiali; non per altri saranno entrambi promossi caporali per merito di guerra. Insieme ad altri cinque commilitoni si recò a Vernazzo, sede del corso. Alcuni giorni dopo, però, Mussolini ebbe lo stesso trattamento di Nenni: ordini superiori rinviavano senza nessuna motivazione il bersaglierei Mussolini al proprio reparto, dimesso d’autorità dal corso. E’ evidente che i Comandi intermedi avevano visto meglio i precedenti politici del bersagliere Mussolini e la decisione era stata rapida. Il 24 novembre 1915, dopo essere rientrato in linea, si ammala di ittero catarrale o di paratifo e fu ricoverato all’ospedale di Cividale. Qui avviene il primo incontro tra il futor Duce  con Vittorio Emanuele III, in vista ai soldati feriti ed infermi. Oltre alla visita del Re, ricevette quella della compagna Rachele, che era incinta del suo secondo figlio. Per questo decise di regolare la sua posizione sposandola a dicembre con rito civile. Dall’ospedale di Cividale passò, il 9 dicembre,  all’ ospedale degli Angioli di Treviglio per poi essere inviato il 22 dello stesso mese in licenza di convalescenza che trascorse a Milano.
In questo frangente pubblicò cinque articoli, firmandosi “Undicesimo”  con evidente riferimento al numero del suo reggimento.
I primi sei mesi di guerra per Mussolini furono un buon banco di prova. Fu coerente con le sue idee interventiste, ma non riuscì a partire volontario, nonostante il suo vivo desiderio; come soldato si comportò bene, ma di fronte alla relatà della trincea, tutte le parole e le idee in merito alla guerra dvettero essere riviste. Si comportò come tanti altri, da bravo e buon soldato[1]  ma dovette affrontare i risvolti del suo interventismo. Da una parte le Autorità Militari diffidavano di lui. Era pur senpre un socialista rivoluzionario, acnhe lui artefice e protagonista di quella Settimana Rossa che tanto aveva allarmato le classi conservatrici del tempo. Inoltre era un socialista interventista e questo insospettiva ancor più queste Autorità.

Scrive  Silvano Fasulo nella sua Storia vissuta del socialismo napolitano:

La tragedia dei socialisti interventisti ed intervenuti in guerra non sarà mai compresa da chi non è stato combattente e socialista nel 1915-1916. Era come se la guerra l’avessero provocata loro…I soldati guardavano bieco. I soldati perseguitavano. Una circolare di Cadorna .. raccomandava ai capi reparto di tenere d’occhio i così detti “socialisti interventisti” che si erano ficcati nell’Esercito per conquistarlo e fare la rivoluzione appena finita la guerra. I capi reparto specialmente se ufficiali di carriera , erano ammiratori ciechi dei tedeschi, e si consideravano loro amici finchè la guerra fu solo contro l’Austria.. Voi avete voluto la guerra: voi dovete farl dicevano; e cacciavano codesti apposta in tutte le azioni più disperate. E cercavano cimenti per metterli alla prova.”[2]

Oltre alla diffidenza delle Autorità militari vi era anche, per coloro che venivano riconosciuti come “socialisti interventisti”, o semplicemente “interventisti”,  l’ostilità di tantissimi commilitoni. Un episodio riportato sempre da Silvano Fasulo, riportato dallo stesso Mussolini a Margherita Sarfatti relativo a come lo stesso Mussolini apprese la notizia della morte di Filippo Corridoni, è estremamente esemplificativo.
Nell’incontrarlo, un commilitone gli chiese:
“Sei tu Mussolini?
“Si”
“Benone, ho una buona notizia da darti: hanno ammazzato Corridoni. Gli sta bene, ci ho gusto. Crepino tutti questi interventisti.”

E quindi possibile dire che i primi sei mesi di guerra furono quanto mai significativi per Mussolini, che, però, non era a livello di Pietro Nenni che era sempre più convinto che la guerra fosse utile e necessaria; per Mussolini la si doveva fare e basta, in tutti i suoi significati, senza retorica e senza esaltazioni, cercandosi di barcamenarsi nelle situazioni contingenti.




[1] Un ampio quadro della attività di Benito Mussolini come militare in guerra si trova in Pini G., Susmel D., Mussolini, L’uomo e l’opera. Firenze, la Fenice, 1963
[2] De Felice R., Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1963. Pag. 323.

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