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venerdì 16 giugno 2023

Bellum Justum

 UNA FINESTRA SUL MONDO


Sergio Benedetto Sabetta

 

               Gli avvenimenti di questi ultimi giorni  relativi alla guerra in Ucraina, con il mandato di cattura internazionale per crimini di guerra emesso dalla Corte Internazionale  dell’Aja, la reazione russa, con la raccolta a sua volta di dati relativi ai presunti crimini di guerra ucraini e la visita di Putin in Crimea e nei territori occupati, gli scontri negli USA, l’ulteriore accentramento di poteri in Cina, impongono una riflessione sul concetto di “bellum justum”, così come impostato nella seconda metà del ‘900.

               Già Carl Schmitt nel suo “concetto discriminatorio di guerra” poneva il problema del superamento dello “Jus publicum europaeum” che aveva per oltre due secoli governato i rapporti tra gli Stati europei dalla fine delle guerre di religione nel ‘600, limitando la violenza nel riconoscimento reciproco, nonostante lo stato di guerra.

               L’introduzione nel primo dopoguerra della dottrina etico-teologica della “guerra giusta” risultava nei fatti un regresso, trasformando il nemico in un pirata destinato ad essere annientato, magari dopo un processo in cui si dimostrava la sua giusta causa e violenza, il “bellum justum” come “justa causa”, sanzionata da una autorità superiore, che nella dottrina medievale poteva essere il Pontefice romano quale autorità giuridica superiore della Chiesa cattolica.

L’universalismo della Chiesa cattolica viene recuperato negli organismi internazionali, tra i due conflitti mondiali dalla Società delle Nazioni, mentre nel secondo dopoguerra dall’ONU di cui il Tribunale dell’Aja ne è il complemento operativo.

Questo schema per Schmitt è funzionale al nuovo universalismo USA in cui la mancanza di riconoscimento del nemico, che diventa per tale via “nemico pubblico”, ossia un “criminale” da perseguire, ne diventa uno dei pilastri.

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Naturalmente bisogna sempre distinguere tra un giudizio giuridico ed un giudizio storico, nel primo caso interviene il fattore della vittoria o della sconfitta che rende possibile ed operativo il giudizio, che acquista inoltre una valenza anche propagandistica nell’assimilare tutte le guerre ad una guerra civile.

Schmitt parla di una “teoria sistemica della collocazione dei concetti”, osserva infatti che “quando una certa questione viene trattata in un determinato punto del sistema del diritto internazionale, sono state già anticipate conclusioni determinanti. […] la forza persuasiva e la coerenza di una teoria giuridica internazionale, è determinata non solo dal contenuto di un’idea isolata, bensì sostanzialmente dalla collocazione di un concetto entro un sistema di concetti” (13, C. Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra, Laterza 2008).

Anche Grozio, sebbene parli di guerre giuste o ingiuste, riconosce essere la guerra qualcosa di diverso da un giudizio giuridico dove vi è la sanzione e la definizione di pirateria, rapina e omicidio, il definire secondo Lauterpacht il diritto internazionale come privo di lacune e, quindi, in grado di risolvere i conflitti mediante arbitrato, non può sostituire la guerra dove vengono a confluire interessi economici, visioni geo-strategiche e fattori culturali, non potendo dare luogo ad un common law internazionale gestito da una magistratura internazionale che si imponga all’insieme degli Stati.

D’altronde il concetto di “bellum justum” permette di intervenire nel conflitto, coprendo i propri interessi economici o politici, sotto le insegne sacramentali di un’autorità superiore che legittimi una nuova crociata laica, come più volte è avvenuto nelle guerre a cavallo del millennio, inoltre si introduce un elemento di lotta assoluta, dove vi è teoricamente l’impossibilità dell’accordo con la controparte dichiarata “criminale”.

Tuttavia anche ad un altro livello una volta iniziata una guerra, ossia nelle modalità della stessa, vi è l’ambiguità della valutazione dell’atto in funzione della vittoria, chi vince sarà giudicato dalla Storia, chi perde da un tribunale, estremizzando lo scontro nella difficoltà di un accordo, assumendo il giudizio l’ambiguità di un atto comunicativo bellico, di cui vari esempi si possono riscontrare dalla fine della guerra fredda ad oggi.

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Bibliografia

 

·        A. de Benoist, Terrorismo e “guerre giuste”. Sull’attualità di Carl Schmitt, Guida 2007;

·        P.P. Portinaro, La crisi dello Jus publicum europaeum. Saggio su Carl Schmitt, Edizione di Comunità, 1982;

·        G. Preterossi, Carl Schimitt e la tradizione moderna, Laterza, 1996;

·        D. Zolo, I signori della pace, Carocci 1998.

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