APPROFONDIMENTI
ALBERTO ROVIGHI
IL CONFINE
ITALO-SVIZZERO,
LA NEUTRALITÀ DELLA SVIZZERA
E DELLA SAVOIA
E LE RIPERCUSSIONI
MILITARI SUL REGNO D’ITALIA
Si riporta, in chiusura, una
analisi abbastanza accurata di Alberto Rovighi in merito al confine
italo-svizzero e i riflessi sia di carattere storico e delle relazioni
diplomatiche:
Il nuovo Stato unitario italiano, con le sue estesissime coste e, alle
frontiere terrestri, due grandi Paesi, Francia ed Austria, che ne
condizionavano la politica ulteriore, doveva naturalmente affrontare
immediatamente gravosi problemi di sicurezza militare; e ciò nelle ben note
difficoltà di consolidamento interno e di ordine finanziario.
Di primo acchito, l’avere alla frontiera terrestre settentrionale, o
centrale, un Paese dichiaratamente neutrale come la Svizzera, di minori
dimensioni territoriali e demografiche (41.324 Kmq e 2,5 milioni di abitanti),
costituiva un fattore di sicurezza apprezzabile che consentiva al nuovo Regno
di concentrare la sua attenzione altrove.
Tuttavia, nel prosieguo, le relazioni tra i due Paesi sul piano
militare andranno trovando motivi di tensione e provocando nei nostri militari
non indifferenti preoccupazioni, soprattutto per le condizioni geotopografiche
della frontiera e per le possibilità di azione strategica attraverso il
territorio svizzero, connesse con la sua posizione nel quadro delle Potenze
confinanti.
Non è il caso di dilungarsi in una presentazione dettagliata del
confine italo-svizzero e dei due versanti della dorsale alpina che una buona
carta ci può dare a sufficienza; sembra necessario ricordare però quegli
elementi e quelle caratteristiche geotopografiche che, come si è detto, hanno
avuto un peso determinante nelle relazioni di ordine militare fra i due paesi.
(V. carta n. 1 e schizzi n. 3a, 3b, 3c, 4, 5).
Il confine italo-svizzero non seguiva e non segue, essendo rimasto
sempre praticamente invariato, linee di carattere naturale o etnico; esso ha
carattere esclusivamente politico ed è conseguente ad avvenimenti e situazioni
storiche evolute soprattutto nel XVI secolo nelle relazioni fra i Cantoni
meridionali svizzeri (Vallese, Ticino, Grigioni) e le regioni italiane
confinanti (Piemonte, Lombardia, Venezia). Esso, seguendo limiti di passate
circoscrizioni feudali o comunali locali, ha quindi un andamento spesso
tortuoso e complesso, non rispondente certamente a criteri di sicurezza
reciproca1.
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1 Le innumerevoli contestazioni per minuti particolari del confine vennero
risolte solamente dopo un lungo lavoro di Commissioni di delimitazione che,
iniziato nel 1913 e poi sospeso per lo scoppio della I Guerra Mondiale, fu
ripreso solo nel 1923, condotto a termine nell’anno 1933 e sancito con la
Convenzione stipulata a Berna il 24 luglio 1941.
Partendo dal M.
Dolent (ad est del M. Bianco) fino alla zona dello Stelvio (P.zo Umbrail fino
al 1918; ora al Piz Lat) esso è lungo circa 700 Km e corre per soli 220 km
sulla dorsale elevata e difficile delle Alpi Centrali (Pennine e Lepontine ad
ovest, Retiche ad est). Per la parte rimanente se ne distacca in più punti per
creare salienti che si svolgono per ben 397 km sul versante italiano e per 92
km sul versante svizzero.
I due salienti
italiani, delle valli di Lei e di Livigno, nelle Alpi Retiche, sono di minore
interesse ai fini delle comunicazioni e di eventuali operazioni militari.
Tutti i cinque
salienti svizzeri, invece, in maggiore o minore misura, conferiscono rilevanti
possibilità offensive verso il nostro Paese:
- il
saliente di Gondo o di Val di Vedro permette un controllo assoluto del Passo
del Sempione e dell’accesso alla Valle
dell’Ossola (F. Toce);
- il
grande saliente del Canton Ticino, spingendosi profondamente sul versante
padano fra Lago Maggiore e Lago di Como e giungendo col Mendrisiotto a meno di
50 km da Milano, permette il controllo indisturbato di importanti passi alpini
sull’alto e moltiplica sul basso le possibilità di passaggi della frontiera in
terreni facili;
- il
saliente della Mera o di Val Bregaglia permette di scendere rapidamente a
Chiavenna, tagliando le comunicazioni con lo Spluga, e di qui su Colico
nell’alta Valle dell’Adda;
- il
saliente di Val Poschiavo consente di puntare a tagliare agevolmente, a Tirano,
le comunicazioni della Valtellina tra Sondrio e Bormio e di aprirsi il passo
verso il Colle dell’Aprica e la conca di Edolo in Val Giudicaria;
- infine
il saliente di Val Monastero, per quanto minacciato da quello italiano di Val
Livigno, permette aggiramenti a breve raggio delle difese (Giogo di S. Maria e
Passo di Frach) allo Stelvio e di marciare, quindi, sia verso la Valtellina sia
verso la Val Venosta.
Il confine, là dove corre sulla dorsale o su
contrafforti difficilmente percorribili, garantisce sicurezza; ma i numerosi
salienti a favore della Svizzera moltiplicano i passi percorribili: da
controllare per evitare le sempre fiorenti attività del contrabbando, o da
difendere in caso di conflitto. Mentre poi alle ali, fra Valle d’Aosta e Lago
Maggiore e fra Lago di Como e lo Stelvio,
le condizioni
difensive sfavorevoli per l’Italia trovano una qualche attenuazione per
l’esistenza dei rilievi che dal M. Rosa si spingono sulla destra della Val
D’Ossola, e delle impervie dorsali del- le Prealpi Orobie che corrono lungo il
versante meridionale della Valtellina; nel settore centrale, invece, il confine
si spinge fino alle basse colline fra Lugano e Varese ed alle porte di Como.
Anche i solchi lacustri e fluviali del versante meridionale, con il
loro andamento generalmente perpendicolare alla dorsale alpina, costituiscono
un elemento meno favorevole; la regione fra Ticino ed Adda adduce poi
direttamente alla sezione del Po compresa fra Casale e Cremona ed a quella
Stretta di Stradella, considerata dal tempo della battaglia di Fornovo (1495)
il perno della difesa dell’Italia, quale punto di frattura fra difesa della
Valle Padana e quella della Penisola.
Nel territorio svizzero, anche ammesso il nostro raggiungimento della
dorsale alpina con l’occupazione del Canton Ticino, ulteriori penetrazioni si
presentano difficili: sia per la maggior profondità del versante montano, sia
per l’andamento a quinte trasversali e le difficoltà delle Alpi Bernesi e di
Glarona e poi delle Prealpi Svizzere e delle Alpi Bavaresi, sia - infine - per
l’andamento dei principali corsi d’acqua. Ad ovest del nodo oroidrografico del
Gottardo, infatti, eventuali penetrazioni tendono ad essere dirottate dall’alta
valle del Rodano verso il lago di Ginevra ed il Giura franco-svizzero mentre ad
est le valli del Reno anteriore e posteriore e quella dell’Inn spingono le
penetrazioni verso la stretta di Sargans ed i monti del Voralberg, ad oriente
dell’Altopiano Svizzero.
Al di là della conca di Andermatt, a nord del S. Gottardo, si spingono
solo difficili comunicazioni per le valli dell’Aare (dopo il superamento dei passi
della Furka e del Grimsel) e della Reuss, che presentano strozzature ed
adducono a zone lacustri trasversali, di notevole osta- colo.
Dunque, dal punto di vista militare, la frontiera italo-svizzera
presenta caratteristiche del tutto negative per l’Italia, particolarmente per
le azioni possibili dal Canton Ticino.
Infatti, i due tratti laterali di frontiera sulle Pennine e sulle Reti
che, per quanto negativi, trovano compensazione negli sbarramenti in
profondità; mentre quello centrale consente la condotta di operazioni in forza,
particolarmente dopo che, con il miglioramento delle comunicazioni stradali e
ferroviarie del S. Gottardo (1882) si è reso possibile, da parte svizzera,
l’afflusso rapido di forze ingenti alla zona Locarno - Lugano - Bellinzona.
Esistono certamente alcuni fattori di qualche peso anche a nostro
favore. Uno è rappresentato dalla possibilità di esercitare azioni volte a
recidere alla base ed al centro il saliente ticinese
agendo dai nostri due salienti: ad ovest, dell’alta valle del Toce (V.
Antigorio, Val Formazza e Val Vigezzo); e ad est, del Liro (V. S. Giacomo) e
per il Passo di S. Iorio. Si tratta però di azioni difficili se non condotte di
sorpresa e se destinate a scontrarsi contro una difesa ben predisposta ed
efficiente.
L’altro fattore di maggior peso,
nei riguardi della possibilità di contrapporsi con successo ad una offensiva
avversaria dal Canton Ticino verso Milano, è costituito dalla nostra
possibilità di far affluire forze concentricamente – ad ovest, da sud e da est
– attraverso la ricca rete di comunicazioni della Valle Padana e di concentrare
masse superiori contro quelle eventualmente sboccate dal saliente ticinese
nell’aperta pianura.
Ma questa possibilità non sarebbe attuabile qualora il grosso delle
forze italiane fosse fortemente impegnato ad Oriente o ad Occidente, sull’arco
alpino o sulla pianura. In tal caso una minaccia esercitata nel settore
centrale, dal saliente ticinese, si presenterebbe con caratteri di estrema
gravità: per la difficoltà di contrapporvisi tempestivamente e
sufficientemente; per la prossimità di obiettivi primari; per il suo carattere
avvolgente rispetto al grosso delle forze italiane impegnate ad est o ad ovest.
Oltre alla minaccia costituita dal saliente ticinese, il territorio svizzero
presentava, ad eventuali nostri avversari, altre possibilità, per quanto di
minore pericolosità.
Soprattutto dacché la Savoia era passata sotto la sovranità della
Francia, questa, in caso di conflitto con l’Italia, poteva cercare di estendere
la sua fronte di attacco e di esercitare una pericolosa azione avvolgente
risalendo l’alta valle del Rodano per invadere l’Italia non solo per il Gran
San Bernardo ma anche per il Sempione e, dopo l’apertura delle comunicazioni
per il passo della Furka, perfino per il Gottardo e la valle del Ticino,
violando così la neutralità della Savoia. Così, ad Oriente, fino al 1918 cioè
fino a quando l’Austria ebbe il possesso dell’Alto Adige, questa avrebbe potuto
facilitare una offensiva dallo Stelvio e dal Tonale verso la Valtellina e la
Val Giudicaria aggirandone le difese passando per le valli svizzere dei
Grigioni ed i passi mal difesi di quel confine. E’ vero che queste azioni
avrebbero violato la neutralità svizzera e, la prima, anche quella della
Savoia, stabilite dal Trattato del 1815; ma in entrambi i casi, si trattava di
passaggi di forze attraverso regioni periferiche della Svizzera.
Sicché si poteva sempre temere che circostanze interne ed esterne
potessero impedire alla Svizzera di impegnarsi a fondo per garantire la
neutralità ed opporsi a queste violazioni.
E’ da dire che con simili passaggi attraverso zone periferiche della
Svizzera potranno
apparire possibili,
in particolari circostanze che considereremo nel prosieguo, anche alle Autorità
italiane nel caso di eventuali nostre operazioni offensive contro la Francia in
combinazione con la Germania alleata.
Non ci si nascondeva, peraltro, le difficoltà dell’impresa sia per le
asperità del terreno e successivamente anche per le difese predisposte da parte
svizzera; era una impresa che si riteneva possibile essenzialmente qualora le
pressioni interne ed esterne esercitabili da parte tedesca avessero reso la
Repubblica Elvetica praticamente consenziente.
In questo caso la possibilità di attraversamento della Svizzera
avrebbero potuto consentire due possibilità:
-
o di
estendere le nostre azioni offensive (attraverso il Moncenisio, il Piccolo San
Bernardo, la Tarantasia e la Moriana) verso il fronte Grenoble - Albertville
con altre avvolgenti per il Gran San Bernardo, il Sempione e l’alta valle del
Rodano, in modo da sboccare in forze nella regione di Lione;
-
oppure di
avvalersi delle numerose linee di penetrazione e di arroccamento attraverso il
territorio svizzero per portarsi al confine nord occidentale della Svizzera ad
investire, in combinazione con le Armate tedesche alleate, le posizioni del
Giura Franco-Svizzero e della famosa Trouè de Belfort, concorrendo alla
battaglia decisiva sul Reno.
Va detto chiaramente, poi, che,
nonostante le condizioni topografiche del confine così negative, le
preoccupazioni delle nostre Autorità Militari non erano destate tanto dalle
minacce esercitabili da parte della Svizzera, sulla cui volontà e sul cui
interesse a mantenere la neutralità generalmente si confidava, quanto da quelle
esercitabili attraverso il suo territorio dalle altre grandi Potenze
confinanti.
Si è detto che generalmente si confidava nella volontà e nell’interesse
della Svizzera ad osservare la neutralità; ma si temeva che essa non potesse in
certe circostanze garantirla, oppure che il quadro politico esterno ovvero le
stesse complessività della costituzione interna della Confederazione potessero
indurla a non contrapporsi decisamente a violazioni periferiche del suo
territorio, che non fossero tali da minacciare la sua esistenza o il grosso
delle sue forze arroccate nel ridotto del Gottardo o sull’Altopiano svizzero.
Si era ben convinti, dunque, che la neutralità svizzera fosse a noi
favorevole e che la sua osservanza fosse a noi conveniente; ma si paventava ogni
possibilità che la Svizzera stessa non potesse garantirla. Preoccupavano poi
tutti quei sintomi o quelle opinioni che, nella Svizzera medesima, erano
indicativi di una minore volontà di osservarla. Veniva riconosciuto che la
politica interna della Svizzera era influenzata essenzialmente dalle pressioni
interne ed esterne dell’elemento tedesco e quello francese, mentre non
mancavano, nella libera Svizzera, uomini e forze politiche orientati a vedere
ed a chiedere politiche più attive di quelle ancorate al mantenimento della
neutralità.
Di fatto, nel primo ventennio di questo secolo, una netta prevalenza
dell’elemento tedesco nella popolazione, nelle attività economiche, negli
organi di informazione e, soprattutto, nelle sfere militari, finirono per preoccupare
le nostre Autorità politiche e militari per il caso di un possibile
schieramento della Svizzera al fianco dei nostri avversari oppure di un suo
atteggiamento piuttosto consenziente verso loro iniziative.
Dinnanzi a tali prospettive acquisivano, allora, grande rilevanza tutte
quelle caratteristiche negative della frontiera italo-svizzera che abbiamo
sinteticamente ricordato.*
*Rovigli A., Un secolo di relazioni tra Italia e Svizzera
1861 -1961, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio Storico, 1987.