DIBATTITI
LA MORTE DEL GENERALE MANGIN
Prof. Sergio Benedetto Sabetta
Tratto dalle memorie private ( 1925) di un ex-legionario, il seguente scritto pieno di osservazioni e riflessioni mostra chiaramente la visione che tra Ottocento e Novecento vi era di un militare francese nelle colonie, nonché il rapporto che si instaurava tra le milizie coloniali e il loro comandante, dove lo sprezzo del pericolo costituisce elemento di ammirazione e rispetto in una mentalità ancora tribale.
Una descrizione che ci appare lontana dai nostri attuali canoni, ma che non deve stupire se solo osserviamo con attenzione alcuni attuali scenari geo-politici fuori dall’Europa, dove nella lotta per la sopravvivenza appare difficile riportare i nostri schemi.
La vita del generale Mangin uomo rude, amante delle avventure militari, è una vera epopea. Al Senegal, al Soudan, nel Congo, nell’ Alto Nilo, a Fashoda, nel Tonchino, nell’Africa Occidentale, nel Marocco, egli pagò sempre di persona in ogni combattimento, sprezzante del pericolo, alla testa dei suoi soldati. Il suo nome squillava come una fanfara : uomo dalla fisionomia autoritaria, era chiamato dai suoi nemici “ il macellaio” perché versava senza risparmio il sangue dei suoi soldati; eppure essi lo amavano, perché in lui nulla appariva della boia altezzosa di tanti capi militari, famigliare con tutti, voleva che i suoi soldati fossero ben trattati, ben nutriti, non li sottoponeva a fatiche inutili, e nell’ora del pericolo era sempre in mezzo a loro, dando prova di sublime eroismo.
Questo francese trovava il modo di capire i negri, i soldati senegalesi e di farsene amare, poiché egli fu amato all’uso africano, da migliaia di negri che egli mandò alla morte certa e tragica.
A chi gli osservava le stragi imposte ai battaglioni di negri egli rispondeva che era meglio prodigare il loro sangue che quello dei soldati francesi: e li lanciava all’assalto, alla carneficina, ma non stando a tavolino in una posizione lontana, sebbene andando insieme ad essi, rischiando con la loro vita anche la propria, superba sfida ai suoi detrattori, incapaci di fare altrettanto.
Mangin dava ai soldati negri al servizio della Francia ciò che essi amavano: fantasie, parate, musiche rumorose, medaglie; - li stordiva, e li stordiva egli stesso, - colle loro brillanti fanfare, e quando compariva in mezzo a loro, a cavallo, coll’uniforme rilucente di nastri e di ori, col petto coperto di medaglie, sgargiante, dirò così, come può essere un capo tribù dell’Africa equatoriale, e se li faceva sfilare dinanzi, salutandoli con un sorriso di trionfo dominatore come nessun altro generale ebbe mai sul volto; allora i suoi soldati negri lo applaudivano: egli chiedeva loro la vita, essi gliela davano con gioia selvaggia, perché egli li aveva conquistati.
Come gli antichi schiavi negri di Cartagine adoravano Annibale, che li condusse vittoriosi alle porte di Roma, così i senegalesi adoravano Mangin. Quando essi sfilavano, avanti l’assalto, innanzi a lui che ne contava le file ed i plotoni meditando se vi era là tanta carne negra da tentare un colpo d’audacia sul nemico nascosto nei suoi ripari, essi comprendevano che quello era l’uomo assai forte da poter disporre della loro vita, il padrone assoluto del loro destino.
Questo fu Mangin; l’uomo finora più notevole nel grande tentativo che fa la Francia di difendere la sua civilizzazione raffinata col baluardo delle truppe nere, e di trincerarsi in un grande impero africano, in mezzo al mondo dominato dagli inglesi.
La sua carriera militare fu facile, quasi trionfale; quella politica fu troncata a Magonza, nel 1919, da Clemenceau ,che temendo da lui un colpo di Stato che lo sbalrasse dal potere, lo richiamò in Francia, col pretesto di affidargli una missione diplomatica nell’America Latina, che egli adempì con quello zelo che sempre metteva nel compiere ciò che stimava il proprio dovere.
La morte ha ghermito questo condottiero di masse a Parigi, nel suo letto, mentre il di lui voto più ardente sarebbe stato di morire nel frastuono di una battaglia, in mezzo ai suoi soldati da lui condotti all’assalto ed alla vittoria.
Onore a Lui ! ……
Landi Edoardo
In riva al Mare, presso Genova,
24 maggio 1925
Nessun commento:
Posta un commento