DIBATTITi
La Grande Guerra ( 1915 – 1918)
Prof. Sergio
Benedetto Sabetta
In guerra al
medico militare era richiesta la capacità di agire comunque, anche in mancanza
di mezzi e strumenti adeguati, inoltre la sua competenza doveva essere di
carattere generale, in particolare chirurgica. Dalle loro testimonianze
emergono i caratteri più sconvolgenti della guerra moderna, in particolare i
traumi bellici derivanti dalla potenza distruttiva dei moderni mezzi.
Dalla
testimonianza scritta del dott. Tumiati, medico presso l’Ospedale militare
della riserva di Ferrara, si ha la descrizione dei casi di mutismo relativi a
militari provenienti dalla prima linea.
“Portavano ancora nel volto e nei gesti il
terrore del trauma che li aveva colpiti – fragore della granata che esplode,
balzo nell’aria, sepoltura fra le macerie – e lo sgomento per quel silenzio al
quale si credevano per sempre condannati. C’era nei loro occhi l’ansia
supplichevole e disperata di chi ha tante cose da dire e si sente, a ogni tentativo,
strozzata la voce nel petto.”
Riferendosi alle esperienze di medico francese, dopo avere reso
temporaneamente sordo il paziente mediante tappi di cera, lo invitò a ripetere
insieme la parola “mamma”, dopo più
di un mese che non articolava alcuna parola quel contadino del Sud riprese a
parlare, vi era stata collaborazione tra medico e paziente superando la
diffidenza, divenendo un “rieducatore paziente”, come si definisce
lo stesso Tumiati.
Anche nella
disastrosa ritirata di Caporetto si possono cogliere i drammi e le rovine
morali, oltreché materiali, dalle testimonianze degli ufficiali medici, scrive
a riguardo il capitano Frizzoni .
“ In
istrada, intanto, lungo la giornata il movimento del carreggio e dei camions
era andato sempre più aumentando e diventando disordinato. C’era anche molta
truppa a piedi in parte senza armi e senza nessun ufficiale che la guidasse, e
c’era chi aveva l’aspetto affamato e chi, al contrario, era ubriaco. Uno
spettacolo veramente pietoso e umiliante” .
Impressionanti
gli effetti delle armi sui corpi, il maggiore medico Ragucci così descrive la
morte di un bersagliere arrivato già in fin di vita.
“ Aveva il meschino bucato il ventre da una
pallottola esplosiva, e le budella in buona parte erano venute fuori in un groviglio
orrendo di colore vinoso che suscitava ribrezzo e pietà! Si è immediatamente
intervenuto praticando una laparatomia d’urgenza, suturando l’intestino leso,
ma il misero boccheggiando sinistramente, come un uccello ferito, è morto sul
tavolo di operazione, emettendo dei cupi lamenti che mi hanno toccato il cuore!
“
La continua vicinanza con la malattia, la morte e il dolore portano ad
una sorte di assuefazione che non esclude tuttavia la pietà come si rileva
nella testimonianza del tenente Spallicci.
“ Ho visitato un malato che scendeva di
trincea. Feteva di cadavere. Aveva dormito tra morti putrefatti. Non ha che a
chiuder occhi per la vista, perché per l’olfatto il lezzo ce l’ha già”.
Le esplosioni hanno in molti casi effetti devastanti, come descritto dal
maggiore Ragucci, il quale all’Ospedale 040 di Cortina nell’aprile 1917 vede
ricoverare d’urgenza un bersagliere minatore al quale, come in tanti analoghi
casi, è esplosa accidentalmente la carica.
“ Ha il viso ridotto in uno stato orroroso,
tutto bucherellato da schegge di pietre,
che gli hanno fracassato il naso, bucato la fronte, crepati e svuotati
gli occhi, lacerato le orecchie! Ha le due gambe fracassate, e le ossa
fuoriescono in tane lamelle dalle carni sbrindellate! Un vero macello!”.
Nonostante le condizioni disperate il
ferito sopravvive, ricominciando ad alimentarsi, e per incoscienza o per farsi
coraggio canticchia pure, così viene descritto dall’ufficiale medico.
“ ha la testa e il viso completamente
bendati, ha solo la bocca libera, ma le labbra sono bruciacchiate, nerastre,
sanguinanti; le gambe sono immobilizzate in due docce metalliche: è un uomo, un
tronco, una mummia da museo, che incuterebbe spavento a chi non è abituato a
queste scene crudeli”.
Si capisce così il perché dell’autolesionismo
quale strumento di sopravvivenza in un ambiente brutale e con una quotidiana
prospettiva incerta, arrivando ad esporre gli arti fuori la trincea sperando
nei cecchini nemici, oltre che a sparasi direttamente alle mani e ai piedi,
circostanze che obbligavano l’ufficiale medico ad attente valutazioni e a
lunghi rapporti.
L’entusiasmo
iniziale per la gloriosa impresa veniva ben presto a scontrarsi con la dura
realtà della guerra, come descritto nelle memorie del sergente Cesare Pitoni,
che dopo sei mesi di guerra arriva ad invidiare i Defunti il 2 novembre
1915 ”Beati loro!”.
Vi è un profondo disgusto ed amarezza
per i violentissimi e apocalittici bombardamenti, che scuotono il terreno quali
un terremoto, i micidiali shrapnel che tambureggiano sul Carso il terreno a
pochi metri dai ripari, i mitragliamenti aerei radenti il suolo, la scommessa
quotidiana con la morte, insieme alla durezza della disciplina, gli ordini
ritenuti ingiusti, una latente sfiducia verso l’autorità e verso molti commilitoni,
l’accusa agli imboscati, in particolare quegli ufficiali che dalle retrovie si
gloriano della fatica, dei dolori, delle paure di chi è in linea.
Vi sono accenni di pietà quando vede
colonne di prigionieri nemici smunti, allampanati, con le divise lacere.
“Erano
tutti giovani vestiti a mo’ degli spazzini, con un bottone d’ottone al posto
del fregio del berretto ed i graduati con una striscia d’oro nel bavero della
giubba. Erano mal ridotti e sporchi.”
Tuttavia l’orrore ritorna alla vista
dei brandelli di un operaio ucciso dallo scoppio di una granata, i mucchi di
corpi in divisa italiana sparsi sul terreno, il volto dell’appuntato della sua
batteria orribilmente deturpato dalle schegge di granata.
“ Tutto è vanità, tutto è menzogna! Sono molto sciupato. Non mi sento più
di andare avanti.”, la
disperazione porta a tentativi di autolesionismo per creare infezioni o
malattie, solo gli amori momentanei con ragazze del posto creano momenti di
vita contro la presenza incombente e costante della morte.
“ Ieri sera baciai Regina sulla bocca, mentre poco lontano scoppiavano i
proiettili.”
Queste sono le premesse per la
disfatta di Caporetto a cui seguirà la resistenza sul Piave, lo scatto di
orgoglio e la riorganizzazione che la nomina di Diaz a capo dell’esercito
permetterà, dando una nuova fiducia agli uomini e un trattamento materiale e
psicologico più umano.
Bibliografia
-
L.
Martini, Cronaca di un dissenso. Dal diario di guerra di Cesare Pitoni ( 1915 –
1916 ). Una crisi esistenziale sul Carso e sull’Isonzo all’ombra della censura
e della crittografia, RiStampa Edizini, 2018.
-
U.
Frizzoni, Un medico a Caporetto. I diari di guerra di Ugo Frizzoni, a cura di
P. Barcella, Sestante, 2015.
-
N.
Persegati, La Grande guerra di Spaldo. Il diario di guerra di Aldo Spallicci,
medico, repubblicano e poeta di Romagna, Gaspari, 2008.
-
N. Ragucci, Ospedale da campo 040 di Cortina.
La guerra di montagna vista da un medico, a cura di P. Giacomel, Gaspari, 2010.
-
C.
Tumati, Zaino di sanità, a cura di P. Gaspari, Gaspari, 2009
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