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sabato 2 agosto 2025

PIAVE (Paradiso )

 ARCHIVIO


Sergio  Benedetto  Sabetta

 

Il giorno dell’avanzata bisognava passare su tavole crollanti a cui si dava per eufemismo il nome di ponti, passaggi obbligati dove si varcava lenti e pochi alla volta, anche quando si riusciva a mettere piede sulla sponda opposta si rimaneva con la paura che l’impresa non riuscisse a chi seguiva, perché se non venivano subito i rincalzi e molti si rimaneva in trappola a correre qua e là senza scampo.

Per settimane si osservava lo scorrere delle acque giù dai monti al fine di non sconvolgere i calcoli del Genio, il 16 ottobre del 1918 giorno previsto per l’inizio della battaglia di Vittorio Veneto il fiume era in piena, così che dovette essere ritardata al 24 ottobre sui monti e solo  il 26 ottobre sul fiume.

Il 30 ottobre a Praga la folla in piazza acclamava la repubblica mentre sul Piave continuava la guerra, sebbene con un Paese in subbuglio dietro al fronte l’abitudine al comando, lo spirito militare, il senso d’onore, le notizie frammentarie, l’abitudine a fare il proprio dovere, spingono a continuare il combattimento.

Solo le truppe di rincalzo vennero meno e abbandonarono il fronte ma non le truppe in prima linea che continuarono a combattere fino all’armistizio del 4 novembre, continuando a resistere e a ricevere gli ordini inviati dal comando.

Già da tre giorni la Quarta Armata si dissanguava sul Monte Grappa, quando la sera del 26 ottobre i primi reparti alpini e francesi passavano il Piave davanti a Valdobbiadene.

La mattina del 27 su due soli ponti oltre il Piave in piena l’Ottava Armata costituiva una testa di ponte sulla sinistra del Piave sulla piana di Sermaglia ma l’artiglieria nemica dal San Salvatore distrugge i ponti fermando ogni ulteriore tentativo di passaggio mentre le fanterie austriache cercano di ricacciare nel fiume i reparti che lo avevano passato.

La brigata Cuneo e tutta la 57° divisione resistono, riuscendo addirittura ad avanzare un poco, tuttavia la prima divisione d’assalto spintasi audacemente fin contro Falzè viene ad urtare contro forze soverchianti, decimata è costretta a ripiegare, muoiono quasi tutti gli ufficiali, mentre i serventi delle batterie da montagna cadono uccisi sui pezzi che difendono all’arma bianca.

Tutta la notte seguente si prodigano i pontieri del Genio, sotto il fuoco dell’artiglieria, contro la piena del Piave, per gettare nuovi ponti che tuttavia vengono portati via dalla fiumana.

Allora più a sud sui ponti che dalle Grave di Papadopoli, già conquistate il 24, la Decima Armata lanciava oltre il fiume tutte le riserve, un intero corpo d’armata, con l’ordine di risalire la sinistra del Piave e prendere sul tergo i nemici che premono sui reparti isolati del 27° e 22° corpo.

Questa manovra risulta essere la chiave della vittoria, mentre dal Montello un tiro preciso di artiglierie protegge il passaggio ai reparti dell’Ottava Armata, la minaccia alle spalle dell’avversario lo isola dalla tenacissima Isonzo Armee creando un avvilimento nello stato d’animo degli austriaci.

L’Isonzo Armee si batte ancora, ma a settentrione le truppe austriache iniziavano un ripiegamento che progressivamente si trasformava in una rapida fuga,  il 29 0ttobre l’8° corpo d’armata italiano occupa Susegana, mentre il 29 ottobre il 18° corpo d’armata travolge le difese di Conegliano.

La sera del 29 ottobre le truppe celeri dell’8° corpo d’armata, i lancieri di Firenze e i bersaglieri ciclisti  entrano in Vittorio Veneto, la mattina dopo l’8° armata forza la stretta di Serravalle.

Piombano giù dal Grappa i battaglioni decimati dei Salaroli e del Valderoa  oltrepassando Feltre, respingendo i nemici su per la Val Cismon , ancora qualche sanguinoso scontro contro le Melette in Val d’Assa, a Serravalle e a Mori, poi anche qui l’avanzata si trasforma in un inseguimento, infine la Settima Armata scende dal Tonale e dai ghiacciai giù per la Val Vermiglio prendendo alle spalle con mossa a tenaglia 300.000 nemici.

Già il 30 ottobre la rotta nemica è totale e i soldati sentono che la guerra sta finendo, ma l’ordine del Comando Supremo è di avanzare il più possibile, nonostante le eventuali perdite, sia sui monti che sul piano prima che scoccasse l’ora dell’armistizio, che tutti conoscevano con certezza.

Un quarto d’ora prima che finisse la guerra il capitano comandante il quarto squadrone dei cavalleggeri di Aquila guardò l’ora al polso e disse ai suoi uomini che bisognava caricare e morire per la Patria. I suoi cavalieri caricarono il nemico come se si fosse all’inizio della guerra, contro mitragliatrici ben appostate, caricarono  su un vialone liscio venendo falciati, quelli che giunsero sulle armi nemiche  vi piombarono sopra feriti o morti nello slancio, fu l’ultimo sanguinoso combattimento della guerra. Il luogo si chiama Paradiso.

Dalle rive del Tagliamento venivano insieme con i bersaglieri della 23° divisione, che aveva l’ordine di “spingersi avanti quanto più fosse possibile con marcia celere e ardita”,    alle ore 13 dello stesso giorno 4 novembre in una gara d’audacia i bersaglieri dell’ottavo reggimento e i cavalieri di Aquila e di Mantova prendevano d’assalto il paese di Ariis, qui cadeva correndo incontro al nemico il diciottenne sottotenente bersagliere Alberto Riva Villasanta.

Superato l’ostacolo e valicato alla meglio il fiume Stella i cavalleggeri di Aquila galoppano in avanti, lo squadrone d’avanguardia, il quarto, giungeva poco dopo alle due e mezza a Paradiso.

Siano a Paradiso”, dice il Capitano a chi gli sta vicino, “Sarà questo il nostro Paradiso? ”, due giovanissimi ufficiali diciannovenni galoppano accanto a lui, fra mezz’ora la guerra è finita, sorridono alle parole del capitano, spronano più forte verso un crepitio vicino di pallottole.

Fuori del paese vi è uno stradone drittissimo, fra platani gialli, attorno velata di nebbia la campagna bassa a stoppie, a canne tagliata da fossi e da stagni, gli zoccoli affondano tuttavia per andare avanti non c’è che la strada. Tuttavia questa è battuta dal fuoco nemico e ai lati di essa a circa un chilometro dalle ultime case del paese stanno appiattiti i ciclisti di Aquila e i mitraglieri di Mantova, senza più munizioni, in agguato.

 

Trecento metri più avanti, dove il vialone è tagliato dalla strada Castions-Muzzana, sono appostate sparando ininterrottamente le mitragliatrici della retroguardia austriaca, una ventina, che proteggono fino all’ultimo la ritirata della loro divisione.

Fermatevi”, gridano ai  sopravvenuti  i  cavalieri appiedati , “fermatevi, andare avanti è una pazzia”. 

Quarto squadrone di Aquila”, grida il Capitano, “dietro a me, al galoppo ! “.

Davanti ai compagni sbigottiti passa lo squadrone al galoppo, i primi feriti sono disarcionati, poi la maggior parte dei cavalli sono falciati dalle raffiche trascinando sotto di sé i cavalieri, solo un esiguo manipolo giunge sulle armi nemiche, i sottotenenti Augusto Piersanti romano e Achille Balsamo napoletano alla testa, qui l’ultima scarica li abbatte, piombano a terra colpiti al viso, braccia protese in avanti, altri due cavalleggeri muoiono accanto a loro.

Sono già le 14 e 55 gli austriaci non travolti dalla carica sparano ancora qualche colpo sugli sbandati che galoppano sui campi, poi subentra un grande silenzio sulla campagna nebbiosa, mentre si sentono i gemiti dei feriti.

“Kaputt Kavallerie !” , grida una voce, “ Alles gestorben ! “, risponde un’altra, le ultime raffiche di mitragliatrice si susseguono.

Ma ecco sbucare dalla nebbia un velivolo con due bandiere tricolori agganciate sulla carlinga, un continuo ululare di sirene annuncia che sono le 15,00 , la guerra è finita.  

Dalla parte nemica si sentono comandi concitati, una tromba insistentemente chiama adunata nella retroguardia, sbucano fuori dagli appostamenti i mitraglieri nemici, s’alzano in piedi avvicinandosi allo scoperto.

 

( Da Paolo Monelli, Sette battaglie, Fratelli Treves Editori, 1928 )

 

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