APPROFONDIMENTI
di Michele Giampieri*
Lo
studio storiografico della prima guerra mondiale ha sempre focalizzato la
propria attenzione e incentrato la stragrande quantità della sua produzione in
merito alle grandi battaglie campali che ebbero luogo nei fronti di guerra
attraverso l’analisi dei diari dei soldati, degli ufficiali, dei generali, dei
civili…, delle testimonianze, dei piani militari, le foto, i primi filmati e
qualsiasi fonte d’archivio possa essere stata selezionata e reputata tale.
Della
grande mole di tematiche, campi d’indagine e quant’altro lo scenario del primo
conflitto abbia potuto offrire, ho sempre reputato scarsamente trattato e messo
alla luce, proprio per la sua relativa segretezza, la storia e l’operato dei
servizi segreti militari; argomento che ho deciso di portare alla mia tesi di
laurea specialistica in Ricerca Storica e Risorse Della Memoria all’Università
di Macerata. Il mio lavoro si è immediatamente prospettato arduo e intricato,
immerso in una zona d’ombra dai molteplici volumi. Le difficoltà incontrate non
sono state poche: scarse pubblicazioni al riguardo, materiale cartaceo di
difficile reperimento e una tematica dalle informazioni spesso contrastanti e
alle volte in negazione fra loro. Questa tesi ha avuto lo scopo primario di
portare all’attenzione del lettore e risvegliare nella comunità degli studiosi,
l’interesse verso la composizione dei Servizi Segreti e lo spionaggio nella
Grande Guerra, argomento a mio avviso caduto in disparte per far posto alle
numerosissime ricerche sul periodo del secondo conflitto mondiale e della
Guerra Fredda. L’analisi del mio studio vuole anche far muovere le coscienze
contemporanee verso un indirizzo di non secondaria importanza per capire e
consolidare l’andamento delle vicende dei nostri tempi: in un momento di
estrema difficoltà e carenza tecnico-sociale-finanziaria, gli italiani hanno
saputo, mossi da obiettivi comuni e non facili visioni d’insieme, far fronte
alle difficoltà, rinascere e portare ai più alti livelli competitivi le proprie
strutture.
Il
mio lavoro si snoda lungo l’arco temporale del primo conflitto mondiale,
analizzando l’operato del Servizio Informazioni (S.I) italiano e i principali
protagonisti: il colonnello Tullio Marchetti, il suo omonimo non imparentato
Odoardo Marchetti, il Capitano Cesare Pettorelli Lalatta detto “Finzi”e
molti altri. Questi uomini furono i fautori della creazione, del
rinnovamento e dell’efficienza del S.I italiano durante il corso della guerra e
coloro che all’indomani dell’esperienza bellica produssero la maggiore
testimonianza cartacea. Nelle loro memorie e in ogni fonte al riguardo, si
concorda sul pessimo stato strutturale e finanziario del nostro S.I in
confronto alle sue controparti europee: si versava in una inadeguatezza totale
e una forte mancanza di mezzi e personale. Questo forte gap era colmato dalla
grande inventiva e maestria di alcuni personaggi, primo fra tutti Tullio Marchetti:
conosciuto come l’Alpino-Spia. All’indomani della parentesi libica venne
nominato responsabile dell’Ufficio Informazioni della I°Armata. Nel corso delle
vicende belliche riuscì, grazie all’efficiente apparato di spie che era
riuscito ad allestire: il famoso “Servizio Periferico” e alla grande bravura
operata sul campo, ad ottenere il comando di altri organi di spionaggio. Tullio
Marchetti fu l’uomo chiave del nostro S.I e l’uomo da battere per i nostri
rivali austriaci, i quali disponevano di un collaudato ed efficientissimo
Servizio Segreto dall’esperienza settantennale. Attraverso il “Servizio
Periferico” riuscì a mettere a
segno numerosi colpi contro il nemico austro-ungarico. Molti dei volontari che
si offrirono per essere reclutati e addestrati come spie, erano degli ardenti
irredentisti. Ricordiamo la vicenda della nostra Fraulein Doktor per
eccellenza, meno famosa della sua blasonata collega germanica: Luigia o Luisa
Zeni. La giovanissima Luisa Zeni, nata ad Arco nel 1896, fu scelta dall’Alpino
spia Tullio Marchetti per una missione molto pericolosa. Avrebbe dovuto
raccogliere informazioni sui movimenti delle truppe, la loro dislocazione e le
intenzioni del nemico. La missione le venne assegnata alla seconda metà di
maggio del 1915. Prima di tale data, la giovane si era impegnata in una
fervente propaganda a favore dell’intervento nel Comitato degli Irredenti
Tridentini ed Adriatici. Perse la madre da piccola e sin da subito mostrò forti
sentimenti irredentisti e nel 1914 fu tra coloro che emigrarono
dall’Austria-Ungheria al di là del confine italiano. Luisa accettò subito la
missione ed a Brescia ricevette istruzioni da Marchetti il quale le consegnò
dei soldi e l’inchiostro simpatico per mantenersi in contatto. Le lettere
venivano indirizzate a dei recapiti sicuri in Svizzera e tramite un agente
della rete di Marchetti. Molte testimonianze di quell’operazione la troviamo
nella biografia della ragazza intitolata “Briciole”.
Analizzando
la situazione italiana all’indomani del Risorgimento, i vari intrighi politici
del tardo-ottocento di matrice colonialista e il complicato gioco politico
della Triplice Alleanza, sono giunto a delineare un quadro sufficiente per far
comprendere la gravità e l’inefficienza in cui versava il nostro S.I alla
vigilia della Prima Guerra Mondiale. Le penurie finanziarie e la mancanza di
fondi rendevano impossibile l’allestimento di un efficiente servizio di
spionaggio e controspionaggio da contrapporre ai colossi europei, in primis fra
tutti: l’Evidenz-Bureau austriaco. La nostra nemesi ebbe modo di mettere a
segno diversi successi contro le nostre forze armate, in particolar modo contro
la Marina Militare: dei gruppi clandestini adibiti al sabotaggio riuscirono a
far esplodere in porto le corazzate “Leonardo Da Vinci” e “Benedetto Brin”. Da
questi atti di sabotaggio nacque e si perfezionò il nostro controspionaggio
interno comandato dal vicequestore Giovanni Gasti e conosciuto con il nome di
Ufficio Centrale Investigazioni (U.C.I). L’organo di controspionaggio lavorò
senza sosta durante il conflitto trovandosi coinvolto in numerosissime vicende
interne, come l’affare Gerlach in Vaticano, il quale supponeva la presenza di
spie al servizio dell’Austria all’interno della Chiesa, la vicenda delle
legioni rosse, le quali furono molto attive all’indomani di Caporetto quando si
paventava il colpo di stato, le sommosse interne e addirittura l’assassinio di
Vittorio Emanuele III, nei mesi precedenti la disfatta sul fronte isontino si
vociferava addirittura di un possibile colpo di mano di Cadorna, il
generalissimo che sin dall’inizio delle operazioni militari tuonava contro la
politica e gli ambienti governativi italiani colpevoli, a suo dire, di non
fornirgli uomini e mezzi per il conseguimento della vittoria. Uno dei
capolavori eseguiti dal nostro controspionaggio fu l’operazione coordinata da
UCI e l’Ufficio del Controspionaggio della Marina. Quattro uomini di cui tre di
loro aventi alle spalle condanne e screzi con la giustizia italiana vennero
scelti per compiere questa missione, premio il perdono e l’assoluzione dalle
condanne. Uno di loro rispondente al nome di Livio Bini ex-avvocato accusato di
bancarotta fraudolenta, si infiltra nella sede dell’Evidenz-Bureau austriaco di
Zurigo, comandato da Rudolph Mayer e dopo diversi giorni di appostamenti e
meticolose analisi, alla sera del 26 febbraio 1917, coadiuvato da due scassinatori: Natale Papini e
Remigio Bronzin e dal tenente Ugo Cappelletti inviato sotto falso nome come
corrispondente dei nostri Servizi Segreti, scassinano la cassaforte
dell’ufficio di Mayer in cui erano contenuti gli elenchi e i nominativi delle
quinte colonne, i conti corrente, la corrispondenza e i piani per i futuri atti
di sabotaggio da compiere contro le nostre forze militari. Da quel momento in
poi, l’operato dello spionaggio austriaco venne notevolmente ridotto. Questa
azione rappresentò il maggior successo del controspionaggio italiano ai danni
del nemico austriaco durante la Grande Guerra.
Per
l’operato e le evoluzioni del S.I procedo sul binario temporale della guerra:
dal 1915 al 1918. Sottolineo l’andamento delle operazioni militari e i vari
rapporti degli Uffici Informazioni (U.I) delle Armate con quello del Comando
Supremo. In ogni ambito e circostanza, sono emersi dissapori, invidie, rivalità
e vicende personali che hanno minato l’efficienza e il lavoro del S.I
contribuendo a disastri militari e successi nemici. Viene rimarcata la
testardaggine di Cadorna di fronte ai suoi metodi ma anche la sua disponibilità
nei confronti degli elementi del S.I, primo fra tutti Tullio Marchetti. Alla
discesa in campo, il 24 maggio 1915, esistevano tre uffici centrali: l’ufficio
di Udine (Ufficio U), Ufficio di Milano (Ufficio M) e l’Ufficio di Roma
(Ufficio R) e numerosi U.I delle Armate operanti sul campo, le quali dipendevano
dall’Ufficio del Comando Supremo, ad eccezione di quello della I°Armata di
Marchetti, il quale grazie all’operosità e alla professionalità dei propri
capi, riuscì sempre a godere di una discreta autonomia arrivando perfino a
supervisionare il lavoro degli altri Uffici. Il Comando Supremo, assistito dal
Corpo di Stato Maggiore era dotato di una Segreteria e di numerosi uffici:
Ufficio Ordinamento, Mobilitazione, Personale, Tecnico, Situazioni di Guerra,
Informazioni e poi ancora Uffici di servizi Aeronautici, Disciplina, Propagandistici
e Avanzamento. Tutti erano in rapporti tra loro e dipendevano dal C.S. Per fare
un esempio l’Ufficio della Stampa e della Propaganda collaborava strettamente
con l’Ufficio Informazioni e quest’ultimo esibiva i propri rapporti all’Ufficio
Situazioni e Operazioni di Guerra. L’intera struttura nel corso del conflitto,
subì modifiche e i vari reparti acquistarono modalità d’azione, competenze e
importanza a seconda delle considerazioni del Capo e dall’evolversi della situazione.
Il Servizio Informazioni fu l’unico ad avere uno sviluppo progressivo e
continuo ed ebbe come contiguo e destinatario l’Ufficio Situazioni di Guerra e
quindi il C.S. Dagli U.I delle Armate,
ma anche dai Centri Informazioni all’estero, dalla Presidenza del Consiglio e
dai Ministeri (Guerra, Interni, Esteri) le informazioni giungevano, per mezzo
di Promemoria Urgenti, al Servizio Informazioni che con telegrammi, bollettini
e relazioni, le trasmetteva all’Ufficio Situazioni di Guerra. Questo, a sua volta,
le vagliava e le girava (spesso facendo valere la propria valutazione!) al
C.S.
Dopo
la Strafexpedition e lo scampato disastro militare, l’organo subì il primo
rinnovamento: vennero creati gli I.T.O (Informazioni Truppe Operanti) che
andavano a sostituire gli Uffici d’Armata sul campo e si occupavano
direttamente delle operazioni. Questo, poiché le informazioni militari vennero
sezionate e divise in due diverse tipologie: la prima era l’informazione
diretta sul campo mentre la seconda era quell’informazione di retrovia o
dall’estero. Nonostante le modifiche non vennero risolti tutti i problemi della
struttura e solamente dopo Caporetto e il successivo rinnovamento generale
dell’apparato bellico italiano contribuirono a cambiare definitivamente le condizioni.
Un
aspetto interessante del mio lavoro ha portato alla luce come nonostante gli
avvertimenti dei nostri agenti e le informazioni preparate in maniera ponderata
e dalla affidabilità solida, i comandanti delle armate, in primis il
Generalissimo Cadorna, si rifiutarono di credere fino all’ultimo ai nostri S.I
quando gli vennero riportate le notizie che gli austro-ungarici avrebbero
attaccato. Il primo caso fu in occasione della Strafexpedition del generale
Conrad Von Hoetzendorf, controparte austriaca di Cadorna, nel 1916 e la seconda
nell’ottobre del 1917, quando l’alto comando austro-ungarico coadiuvato
dall’alleato tedesco, mise in azione l’Operazione Waffentreue, la quale portò allo sfondamento di Caporetto e al
conseguente sbandamento del nostro esercito. Nella prima occasione, Cadorna si
rifiutava di credere che dopo ben cinque “spallate” sferrate tra estate e
autunno del 1915 contro il nemico e l’elevato costo di mezzi e uomini, il
nemico fosse in grado di sferrare una poderosa offensiva. Si ignorava
l’indebolimento dell’esercito russo e la minor pressione esercitata nel fronte
orientale. Nel maggio del 1916 si scatenava la tempesta contro il nostro
fronte. Le nostre forze riuscirono a contenere lo sfondamento del fronte
sull’Altopiano di Asiago grazie all’eroismo di alcuni reparti, i quali vennero
annientati, alle informazioni fornite preventivamente dagli U.I delle Armate e
dalla volontà di sacrificio dei nostri soldati. Soltanto le pressioni di
Cadorna sull’alleato russo affinché scatenasse un’offensiva in Galizia riuscì
ad impedire il disastro militare. Dopo il fallimento dell’operazione,
l’Austria-Ungheria non sarà più capace di sferrare un’offensiva senza l’apporto
militare dei tedeschi. L’economia e le risorse dell’Impero si andavano velocemente
esaurendo e l’isolamento patito dagli Imperi Centrali iniziava a far collassare
la loro struttura sociale. I nostri S.I avvertirono con debito anticipo i
comandi dell’imminente offensiva ma erano rimasti inascoltati. Stesso copione
avvenne l’anno seguente. I nostri agenti erano riusciti ad ottenere le
informazioni grazie alla loro maestria ed ingegno, debitamente controllati e
preparati da Tullio Marchetti. Al contrario di paesi come la Germania o
l’Inghilterra, non vi era una scuola che preparava e assisteva la formazione
delle spie e delle varie tipologie di agenti. Questa prassi fu sempre molto
improvvisata e “casareccia”. Ci si basava sui valori dell’irredentismo, sulla
dedizione alla causa italiana e alla metodologica attitudine del soggetto.
Soltanto nel 1918, a Milano, sarà allestita la prima scuola per la formazione
degli agenti segreti con del personale debitamente preparato ed esperto. Al
quinto capitolo della mia tesi prendo in esame il monitoraggio e lo studio
della linea fortificata austriaca. Un lavoro compiuto dalla squadra fotografica
di osservazione strategica allestita da Tullio Marchetti nel periodo
immediatamente precedente lo scoppio del conflitto (anni 1905-1914). Le carte
hanno messo in evidenza lo sviluppo e lo stato dei lavori di alcuni forti
austriaci posizionati in luoghi strategici e ne riportano periodicamente gli
aggiornamenti. È interessante notare come i lavori si sviluppino fortemente e
accelerino nel periodo 1913-14, come se si presagisse l’imminente inizio delle
ostilità. Queste fortificazioni dovevano svolgere da posizioni difensive ma
anche da basi operative in funzione di un’offensiva in vasta scala contro l’Italia
a partire dall’Altopiano dei Sette Comuni, zona in cui erano maggiormente
concentrati. Questa linea di difesa fu voluta dal feldmaresciallo Conrad Von
Hoetzendorf, acerrimo nemico dell’Italia e ossessionato da una vittoriosa
marcia militare in caso di guerra partendo proprio dall’Altopiano. Questo
disegno non abbandonerà mai il feldmaresciallo durante il corso della guerra.
Conrad non si fidò mai dell’Italia e sin dal terremoto di Messina nel 1908,
aveva proposto un’invasione dell’Italia, colpita dalla catastrofe naturale e
con l’esercito impegnato altrove. Rimase, fortunatamente per la nostra causa,
inascoltato.
Il
ruolo e l’operato della propaganda andava di pari passo con l’andamento del
conflitto e in questo settore in nostri Servizi di Spionaggio e
Controspionaggio ebbero il loro da fare. Il primo si occupava tramite
l’apposito Ufficio Propaganda, di preparare un’efficace azione propagandistica
volta a minare il morale del nemico, il secondo contrastava, sempre tramite il
medesimo ufficio ma supervisionato dalla sezione del controspionaggio, l’azione
della propaganda avversaria. Questa guerra psicologica mirava ad inondare le
trincee avversarie con opuscoli inneggianti all’irredentismo, risvegliare gli
assopiti sentimenti patriottici delle varie etnie di cui era composto l’impero
Austro-Ungarico incitandoli alla sollevazione, e di volantini in cui si
mettevano alla berlina i capi degli Imperi Centrali prospettando il futuro
collasso; d’altronde anche i giornali avversari e i rispettivi Servizi Segreti
svolgevano il medesimo compito, facendo leva su una classe politica
incompetente e traditrice, su generali guerrafondai che mandavano al massacro i
propri uomini e su un’Italia debole e mal comandata. Le nostre azioni
propagandiste ebbero un discreto successo fra le fila dei nostri avversari,
soprattutto nel campo dei volontari di origine Ceca. L’irredentismo Ceco ebbe
un notevole impatto all’interno dell’esercito asburgico. Ci furono
numerosissime diserzioni e si arrivò, in un secondo momento, tramite il capitano
Cesare Pettorelli Lalatta, addirittura ad istituire un battaglione composto
interamente da volontari e disertori cechi. Il contributo di questi irredenti
sarà decisivo al fine di pianificare un’azione che avrebbe potuto, se messa in
atto nel giusto modo e portata a compimento, evitare o quantomeno alleviare il
disastro di Caporetto. Stiamo parlando dell’operazione di Carzano: un episodio
poco conosciuto e trattato nella storiografia relativa alla prima guerra
mondiale, proprio per la grandezza dei suoi obiettivi e l’altrettanta maestria
del suo fallimento.
L’operazione
di Carzano ebbe origini grazie all’efficace azione propagandistica italiana in
merito alle questioni dell’irredentismo. Alla testa dell’operazione vi era il
Lalatta e un ufficiale dell’esercito Austro-Ungarico di origine Ceca, il quale,
sapendo che avrebbe trovato terreno politicamente favorevole alla sua causa
nazionalista presso gli italiani, disertando e passando informazioni con i
nostri S.I, occultando il suo tradimento, attuò un piano dal sapore audace che
avrebbe scardinato buona parte del complesso difensivo austriaco e liberato la
strada di Trento ai nostri. Il suo nome era tenente Ludjevik Pivko. Dopo alcuni
primi incontri avvenuti nell’agosto del 1917 e una laconica approvazione del
piano da parte di Cadorna, si decise che Pivko e i congiurati avrebbero
narcotizzato le truppe nemiche in un settore del fronte, da qui, gli italiani
avrebbero trovato la strada aperta, convergendo successivamente in manovre di
aggiramento. L’azione, programmata per il 4 settembre, si sarebbe svolta nel
silenzio assoluto e la sorpresa sarebbe stata fondamentale per il suo successo.
Il generale Zincone, posto a comando dell’armata che avrebbe dovuto eseguire lo
sfondamento iniziale, non si fidava troppo del piano e dei cecoslovacchi,
tituba perdendo tempo prezioso. Alla prima debole reazione del nemico ordinò la
ritirata facendo fallire il piano. Fu un
vero e proprio fiasco. Un’occasione che analizzando il successo evolversi del
conflitto, avrebbe potuto impedire o quantomeno contenere la disfatta di
Caporetto.
Si
giunge quindi alla tragica battaglia di Caporetto con un copione già scritto
l’anno precedente: il S.I avverte i comandi dell’imminente offensiva e ancora
una volta non viene ascoltato. Cadorna non era convinto dell’effettiva presenza
dei tedeschi e della capacità dell’Austria-Ungheria di sferrare una poderosa
offensiva. Venne smentito la sera del 23 Ottobre 1917. Gli atteggiamenti di
Cadorna furono fatali in quei mesi: il generalissimo tendeva per un’offensiva
strategica minimizzando la parte difensiva. Al vertice delle armate, i generali
erano disorientati in attesa di precise direttive provenienti da un C.S confuso
al suo interno. Le crisi interne del paese e la disgregazione della propaganda
patriottica contribuiranno a fare il resto.
Lo
sfondamento comportò l’abbandono in fretta e furia del Comando di Udine. Molti
documenti vennero trovati dagli austriaci e la grande rete imbastita da
Marchetti rischiò il collasso. L’Evidenz-Bureau si impossessò di gran parte dei
nostri cifrari, anche se la maggior parte era già nota al nemico da diverso
tempo. Nonostante il pessimo comportamento di alcuni nostri comandanti e
l’efficacia dell’assalto austro-tedesco, alcuni reparti si sacrificarono eroicamente
e contribuirono ad impedire lo sfacelo totale. Cadorna, sebbene le ormai
pessime aspettative, riuscì a gestire sapientemente la ritirata e ad improntare
una nuova linea di difesa lungo il fiume Piave. Linea di difesa che sarà poi
ultimata dal suo successore: il generale Armando Diaz. Le commissioni
d’inchiesta addossarono quasi la responsabilità totale della disfatta a
Cadorna, il quale venne silurato e sostituito con il precedentemente citato. Lo
stesso governo e i vari politici non si assunsero le responsabilità della
disfatta anche se in un primo momento nessuno attaccò pubblicamente Cadorna. I
riscontri del generale e la sua nomina a Capo di Stato Maggiore avevano avuto
chiari riscontri politici soprattutto con l’ascesa del Governo Salandra nel 1914.
Di contro, era di dominio pubblico la sua avversione per l’ambiente politico.
Le maggiori divergenze con i poteri politici iniziarono quando venne nominato
Vittorio Emanuele Orlando Ministro degli Interni il quale, fu subito molto
critico nei confronti di Cadorna. I quattro governi che si avvicendarono in
così poco tempo, i venti di fronda di cui si vociferava e i dissapori interni
nell’ambiente militare contribuirono a creare una situazione di tensione nella
quale il generalissimo venne preso come il capro espiatorio di tutta la
faccenda, a causa dei suoi atteggiamenti intransigenti e alle testardaggini
alle quali era propenso. Il contributo della massoneria fu determinante per
mandare assolto il generale Pietro Badoglio (uno dei responsabili dello sfondamento
iniziale nella prima fase della battaglia di Caporetto) e condannava Cadorna.
Lo
stesso S.I ne uscì sconquassato ma seppe riprendersi al meglio e tornare a
nuova vita operativa entro brevissimo tempo. Nonostante i successi, l’esercito
austro-ungarico non fu in grado di mantenere l’offensiva e si attestò sulle
posizioni stabilite. I tedeschi, dal canto loro, non ebbero modo di impegnare
altre risorse nel fronte italiano, così la situazione ritornò alla situazione
che si trascinava avanti da quasi quattro anni. Nel 1918, l’intervento
americano fu decisivo. L’esercito italiano aveva rimpiazzato le perdite e si
preparava a riconquistare il terreno perduto. Il S.I subì un rinnovamento di
grandissima portata. Entro breve tempo surclassò nettamente il suo rivale
austriaco. Tutti gli Uffici del
C.S, questa volta, sentirono una maggiore volontà di vittoria condita da quella
rabbia interna e dalla voglia del riscatto per l’onta subita. Ognuno, nel
proprio settore di competenza, si adoperò permettere in pratica le nuove
disposizioni precedentemente pianificate. Si avviò un programma di
miglioramento del sistema informativo e la prima sezione intaccata fu il
personale. Accanto ai vecchi agenti collaudati, si affiancarono nuove leve in
formazione ma dalla genialità acuta e scelti dopo un’accurata selezione. Si
sostituirono alcuni vecchi informatori creati dal precedente Servizio. Anche
nel contesto dell’operare, il metodo divenne meno empirico e le notizie che
pervenivano erano più precise e circostanziate, il loro vaglio più
scrupoloso. Venne istaurato il rapporto
diretto con lo S.M e le informazioni non subivano più le personali
interpretazioni dei vari uffici. Vennero quindi identificati i nuovi obiettivi:
raccogliere quante più informazioni possibili perché, solo in questo modo si
poteva rispondere efficacemente alle nuove sfide che si facevano sempre più
macchinose e complesse. Venne incentivato lo spionaggio economico, il controllo
della posta e dei giornali attraverso la censura, si ricorse più spesso al
sabotaggio nelle retrovie del nemico, si potenziò il servizio all’estero
dotandolo anche di maggiori fondi per l’acquisizione di informazioni che non si
era in grado di procurarsi in autonomia, si affinarono i sistemi di
intercettazione delle comunicazioni nemiche e si dette priorità alle azioni di
propaganda, insistendo nel seminare zizzania e diffidenza fra le varie etnie
che componevano l’Impero Austro-Ungarico.
Il
S.I era tornato alla riscossa e si preparava ad assestare il colpo definitivo
al nemico. Si era arrivati al punto che grazie a specifici radiogoniometri di
ultima generazione, si evitava di essere intercettati e soprattutto si
intercettavano le intercettazioni. Per il morale della truppa vennero istituite
le “case del soldato” e si rilanciò la propaganda patriottica, il cui massimo
punto venne toccato da D’Annunzio nel suo famoso “Volo Su Vienna”. Gli Imperi
Centrali erano prossimi al collasso. Con la crisi interna sempre più grave e il
peso degli Stati Uniti, gli Imperi cercarono di concludere al più presto la
guerra a loro favore impegnando tutte le forze disponibili. I tedeschi
programmarono quattro furibonde offensive in primavera, le quali non portarono
a risultati definitivi. In giugno, gli austro-ungarici tentarono di sfondare la
linea del Piave nella famosa “Battaglia del Solstizio”. Tutti i tentativi
avversari fallirono. La formazione delle
nuove spie portava i suoi frutti: si conoscevano con largo anticipo gli orari,
i convogli, il loro numero, le direttive d’attacco…ed ogni informazione relativa
alle forze del nemico. Ciò fu determinante nel successo della resistenza sul
Piave. La nostra aviazione surclassava quella avversaria e i rapporti di forza
erano sostanzialmente tornati in parità per poi essere avanzati dal nostro
esercito nell’estate del 1918. Inoltre, il Servizio Segreto nemico disponeva di
pochi e mal organizzati informatori al contrario del nostro. La cooperazione
con gli altri Servizi Segreti delle potenze alleate contribuì a creare una
situazione di superiorità assoluta. Si concorreva addirittura fra i vari organi
d’Intelligence, in una sorta di amichevole rivalità nell’assestare il colpo
peggiore al nemico. In questi frangenti i S.I degli alleati giocarono strane
partite in cui si concedevano informazioni ma allo stesso tempo si mettevano in
difficoltà i Servizi Segreti alleati cercando di semplificare, ma non troppo,
il lavoro. Questo la dice lunga in merito alla convinzione che la guerra si
sarebbe risolta favorevolmente agli alleati e il crollo degli Imperi Centrali
era ormai questione di pochi mesi. Nel corso dei mesi di luglio ed agosto, gli
attacchi delle truppe alleati si risolvevano quasi sempre in discreti se non
ottimi successi tattici e la disfatta nemica si profilava all’orizzonte.
La
battaglia finale iniziò ad un anno esatto da Caporetto: dopo opere di
depistaggio e false intercettazioni fatte pervenire al nemico, all’alba del 24
ottobre 1918, si passava all’attacco sul fronte di Vittorio Veneto. Sebbene i
rapporti di forza tendessero nettamente a favore degli italiani, complice la
presenza di alcune brigate alleate, gli austriaci resistettero. Si combatté
tenacemente per quasi sei giorni ma la superiorità tattica e numerica dei
nostri, riuscì a piegare la resistenza nemica. All’inizio della giornata del 30
iniziava la ritirata austrica: un punto di non ritorno. La nostra aviazione
martellava in continuazione la ritirata nemica e il morale avversario era ai
minimi storici. Al contrario del nostro esercito l’anno precedente, la rotta
austriaca era completa e definitiva. Lo sfondamento del fronte e la liberazione
di Vittorio Veneto avvenne nella giornata del 30, mentre il giorno seguente
iniziavano le trattative per l’armistizio a Villa Giusti, alle quali partecipò
anche il Colonnello Tullio Marchetti, nella delegazione italiana. Dal 1
novembre le operazioni militari italiani assunsero la modalità
dell’inseguimento. Alla giornata del 3, i primi reparti italiani arrivavano a
Trento. Tullio Marchetti fu uno dei membri ufficiali della delegazione italiana
che presero parte alle discussioni di Villa Giusti e firmarono l’armistizio
dell’Austria-Ungheria. Le discussioni iniziarono il 29 ottobre e proseguirono
fino alle tre del mattino del 3 novembre quando ebbe luogo la firma
dell’armistizio. Le diramazioni dell’ordine di “cessate il fuoco” non fu ben
chiaro sin da subito a causa della moltitudine di interpretazione dei primi
attimi e delle stesse parti politiche, le quali da una parte cercavano di
salvare e il salvabile mentre dall’altra si cercava di raggiungere il maggior
risultato positivo possibile in termini di occupazione territoriale,
prigionieri, cattura di mezzi militari e vantaggi socio-economici. Gli scontri
fra sbandati dell’esercito austro-ungarico, ormai disgregato e truppe italiane,
dureranno fino al pomeriggio del 4 novembre. Il Servizio Informazioni aveva
adempito egregiamente al suo compito e uno dei suoi capi: il Colonnello Tullio
Marchetti, responsabile dell’U.I della I°Armata era ora al tavolo delle
trattative e con la sua firma contribuiva a mettere fine ad una delle peggiori,
orrende e devastanti guerre che l’umanità avesse mai conosciuto.
La
mia tesi ha analizzato la parabola ascendente del S.I italiano durante la prima
guerra mondiale. Una facciata della nostra storia poco conosciuta nell’ambito
di quel periodo. Oggi sarebbe utile guardare a questi fatti per non ripetere
gli errori del passato ed evitare di ripercorrere simili esperienze che
annientano l’uomo. Il S.I, così come tutto l’esercito italiano che combatté la
Grande Guerra, sono l’esempio della grande forza degli italiani. Si può vedere
nella sua storia, i tratti tipici della nostra, a mio avviso: la sua difficile
condizione, le penurie iniziali (uno stato ancora giovane rispetto agli altri),
gli smacchi, le sconfitte, gli insuccessi…contribuirono a rafforzare una
tenacia patriottica che si rivelò essenziale per risollevarsi e rendere
migliore un organo che si era contraddistinto e aveva saputo rimanere in piedi
in quella lotta fra titani, grazie alla maestria e alla genialità dei suoi
componenti. Un ingegno tipicamente italiano che ebbe il grande merito di
mostrare ad un nemico superiore e ad un alleato insicuro nei nostri confronti,
la sostanza, il valore e la grande tenacia del combattente italiano, così come
ogni soldato che soffrì in trincea in quei quattro terribili anni, ebbe a
dimostrare. Il soldato italiano così, come il suo agente segreto, ha
combattuto, è morto e ha vinto grazie al suo essere tale e, in tempi come i
nostri, a cento anni di distanza da tali vicende, forse dovremmo guardare con
ammirazione quegli uomini che contribuirono a salvare il nostro Paese e
prenderli come esempio per rialzare la testa in un momento di grave difficoltà
e portare ancora una volta e con fierezza, il tricolore italiano agli occhi del
mondo.
Michele Giampieri.
BIBLIOGRAFIA
ESSENZIALE
Vittorino Tarolli, Spionaggio e Propaganda, il ruolo del Servizio Informazioni
nell’esercito della guerra 1915/18, Chiari, Nordpress, 2001.
Vittorino Tarolli, L’Affare Colpi. Spionaggio e irredentismo alla vigilia della Grande Guerra,
Grafica 5, 2007.
Tullio Marchetti, Ventotto anni nel Servizio Informazioni militare, Museo Trentino
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*SINTESI
TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN “STORIA DELL’EUROPA CONTEMPORANEA”
Giampieri Michele
Titolo Tesi: SERVIZIO INFORMAZIONI – Spionaggio Italiano nella Prima Guerra Mondiale
Corso di Laurea: Ricerca Storica e Risorse Della Memoria – Università di Macerata (Unimc)
Anno Accademico: 2014/2015
Laureando: MIchele Giampieri
Relatore: Prof. Riccardo Piccioni
Correlatore: Prof. Gennaro Carotenuto